Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 201 (47.039) Città del Vaticano sabato 5 settembre 2015 . Nel centenario della facoltà teologica dell’Università cattolica argentina il Papa ricorda il Vaticano II e sottolinea il collegamento dinamico fra tradizione ricevuta e realtà concreta Il fiume vivo «Ogni tentativo di rompere il rapporto tra la Tradizione ricevuta e la realtà concreta mette in pericolo la fede del Popolo di Dio». Perché «la tradizione della Chiesa è il fiume vivo che ci collega alle origini». Lo ha sottolineato Papa Francesco nel videomessaggio ai partecipanti al congresso internazionale di teologia, svoltosi dal 1° al 3 settembre all’Università cattolica argentina di Buenos Aires. Ricordando che l’incontro si è tenuto nella duplice ricorrenza del centenario della facoltà teologica e del cinquantesimo della chiusura del concilio Vaticano II, il Pontefice ha evidenziato come proprio uno dei contributi principali di quell’assise fu il tentativo di superare il «divorzio tra teologia e pastorale. Tra fede e vita», addirittura rivoluzionando «lo statuto della teologia». Per questo, ha spiegato, «siamo di fronte a due momenti di forte coscienza ecclesiale. Cento anni della Facoltà di teologia è celebrare il processo di maturazione di una Chiesa particolare. È celebrare la vita, la storia, la fede del Popolo di Dio che cammina in questa terra. Una fede che cerca di radicarsi, d’incarnarsi, di rappresentarsi, d’interpretarsi di fronte alla vita del suo popolo e non al margine». Da qui l’importanza di aver unito le celebrazioni per l’istituzione accademica ai cinquant’anni dalla chiusura del Vaticano II. Infatti, ha aggiunto il Papa, «non esiste una Chiesa particolare isolata, che possa dirsi sola, come se pretendesse di essere padrona e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito». Così come «all’opposto, non esiste una Chiesa universale che dia le spalle, ignori, si disinteressi della realtà locale». Infine il Papa ha individuato tre caratteristiche del teologo, che dev’essere figlio del suo popolo, credente e profeta. y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!;!z!,! Alla luce del concilio È una riflessione importante sulla realtà della fede e sulla Chiesa il videomessaggio del Papa per il centenario della Facoltà di teologia dell’Università cattolica argentina, ricorrenza che coincide con il cinquantesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. E appunto nella luce del concilio Bergoglio interviene con nettezza sul significato e sulla portata della tradizione cristiana. La memoria — dice il Pontefice — ci permette di ricordare da dove veniamo: così «ci uniamo ai tanti che hanno tessuto questa storia», e si scopre che «il popolo fedele di Dio non è stato solo», ma sempre accompagnato dallo Spirito. E dalla ricorrenza dell’istituzione argentina il Papa prende lo spunto per domande radicali, che interessano non solo i cattolici: Chiesa, che dici di te stessa? Come oggi incarni la tua fede? Non esiste una Chiesa particolare isolata — dice il Pontefice — ma nemmeno esiste una Chiesa universale che volti le spalle e si disinteressi della realtà locale: «La cattolicità esige, richiede questa polarità in tensione tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il molteplice, tra il semplice e il complesso». Tensione dinamica che nasce dallo Spirito e dunque non va annullata, riflettendosi nella relazione fra «tradizione ricevuta e realtà concreta». Questa dinamica, caratteristica delle vicende del cristianesimo nella storia, fu ben presente negli anni del concilio, come sottolineava Giovanni XXIII, citato oggi dal suo successore: «Per la prima volta nella storia i Padri del Concilio apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi». Una fede radicata nella carne delle vicende umane, dunque, dove la tradizione è un concetto dinamico, secondo una definizione di Benedetto XVI ripresa da Francesco: non è infatti — come molti credono o pretendono — «trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti». E aggiunge oggi Bergoglio: «Questo fiume irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura. In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova». In perfetta coerenza con i suoi predecessori Papa Francesco addita poi le tentazioni opposte del conservatorismo fondamentalista e dell’apertura indiscriminata a ogni novità: «Per superare queste tentazioni bisogna prendere molto sul serio la tradizione della Chiesa e molto sul serio la realtà» e metterle tra loro in dialogo. Teologia e pastorale non sono dunque realtà opposte o separate, come opposte non devono essere, in chi crede, la riflessione e la vita. E in questo — sottolinea il Papa — il concilio «ha in certa misura rivoluzionato lo statuto della teologia». Ecco perché il teologo cristiano deve essere figlio del suo popolo, uomo di fede — non è teologo chi «non tenti di sviluppare in se stesso» gli stessi sentimenti di Cristo — e profeta. Per cercare una corrispondenza creatrice con il nostro tempo. g.m.v. Ivo Dulčić, «Piazza con persone. Concilio» (1962-1965) PAGINA 8 L’Europa cerca una strategia comune mentre cresce il flusso di persone che fuggono dai conflitti Momento di verità BRUXELLES, 4. «Qui, a Kos, è il punto in cui inizia l’Europa, a un passo dalla guerra. Siamo di fronte a un problema europeo. Per l’Europa è arrivato il momento della verità: o vinciamo tutti assieme o perderemo, ognuno per conto suo». Ha usato queste parole, oggi, il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, facendo riferimento alle scioccanti foto che hanno fatto Storie di rifugiati e migranti «Ho molti sogni» KARINA ALARCÓN A PAGINA 3 il giro del mondo e che ritraggono il corpo di un bambino siriano morto trascinato dalle onde sulla spiaggia turca di Bodrum. Parole che arrivano in un momento cruciale: i rifugiati da ricollocare potrebbero salire molto presto a 200.000, secondo l’Unhcr. Un segnale incoraggiante è giunto ieri pomeriggio con la notizia di un accordo raggiunto tra Francia e Germania. Il presidente francese, François Hollande, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno detto di sostenere la creazione di un meccanismo permanente e obbligatorio di quote per la ridistribuzione di migranti con diritto di protezione in quanto richiedenti asilo. «L’Unione deve agire in modo decisivo e con- re la richiesta d’asilo nel Paese in cui arriva), stretta sui rimpatri degli illegali, rafforzamento del sistema di soccorso Frontex e navi più attive (@Pontifex_it) nel Mediterraneo. Di questa linea discuteranno i ministri forme ai suoi valori» hanno dichia- dell’Interno dei ventotto nel summit rato i due leader. L’asse Merkel-Hol- del 14 settembre. E oggi, in una letlande sembra voler procedere su una tera alle autorità europee diffusa da linea chiara: condivisione dell’impe- «Le Monde», Hollande e Merkel gno umanitario con quote obbligatohanno chiesto la creazione immediarie (e sanzioni per chi si rifiuta di applicarle), riforma dell’asilo e del ta di hot spot, centri per migranti e regolamento di Dublino (la conven- richiedenti asilo che dovranno essere zione firmata nel 2013 secondo la «pienamente operativi al massimo quale chi fugge dalle guerre deve fa- entro la fine dell’anno». La guerra è madre di tutte le povertà, una grande predatrice di vite e di anime Allo studio una nuova coalizione internazionale che operi in Iraq e Siria Il piano di Putin per fermare l’Is DAMASCO, 4. «È prematuro discutere un diretto coinvolgimento della Russia in azioni militari contro l’Is, tantomeno l’adesione alla coalizione guidata dagli Stati Uniti: Mosca sta attualmente considerando altre opzioni». Questa la linea espressa ieri dal presidente russo, Vladimir Putin, in merito alla situazione in Iraq e Siria, dove prosegue l’avanzata del cosiddetto Stato islamico (Is). Il leader del Cremlino ha detto che l’unica possibile soluzione al terrorismo è la formazione di una nuova coalizione internazionale; ne avrebbe già parlato al presidente statunitense, Barack Obama. «Stiamo facendo passi specifici — ha detto il presidente russo — e lo stiamo facendo pubblicamen- Cattolici nella vita pubblica italiana Un’autobiografia nazionale MARCO BELLIZI A PAGINA 4 te; se siete interessati ai dettagli, vi posso dire che vogliamo creare una sorta di coalizione internazionale per combattere il terrorismo e l’estremismo. Stiamo avendo colloqui con i nostri partner americani». Sempre sul piano diplomatico, l’Iran ha avviato una nuova iniziativa per arrivare a una soluzione politica della crisi. Secondo quanto ha spiegato il viceministro degli Esteri iraniano, Hussein Abdel Lihan, ai media arabi al termine della sua visita di ieri a Damasco, «Assad ha accolto con favore la nostra iniziativa e noi riteniamo che qualsiasi operazione politica su questa crisi, per riuscire deve tenere in considerazione la presenza di Assad sia nel futuro del Paese che nel dialogo con l’opposizione». Proseguono intanto i combattimenti per fermare i miliziani dell’Is. Colpi di mortaio a Damasco hanno causato ieri tre morti e diversi feriti. Almeno undici civili sono stati uccisi e 28 feriti ieri nell’esplosione di cinque bombe in aree commerciali a Baghdad. Spetta ora alla Commissione Ue definire la cornice legislativa entro la quale prendere le decisioni. Non si esclude l’ipotesi di un vertice straordinario del Consiglio Ue. Che questa volta qualcosa si stia muovendo in Europa lo dimostra anche l’apertura del premier britannico, David Cameron, che ieri per la prima volta ha detto di voler accogliere un migliaio di migranti in più. La pressione aumenta. La situazione si fa sempre più complessa. In Ungheria nelle ultime 24 ore si è registrato l’arrivo di 3313 migranti e profughi: un nuovo record in una sola giornata. Come ha riferito la polizia locale, citata dai media serbi, si tratta di circa mille arrivi in più rispetto alle 24 ore precedenti. Secondo i responsabili dell’Unhcr, ieri circa 5600 migranti e profughi sono entrati nella ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia dalla vicina Grecia. Fanno discutere intanto le dichiarazioni del premier ungherese, Viktor Orbán. Ieri a Bruxelles Orbán ha dichiarato che a partire dal 15 settembre chiuderà gradualmente tutti i confini magiari e li controllerà con polizia e soldati. In un editoriale sul quotidiano tedesco «Frankfurt Allgemeine Zeitung», il premier ungherese ha scritto che «il flusso di migranti in Europa minaccia le radici cristiane del continente e i Governi dovrebbero controllare le loro frontiere». Dichiarazioni, queste, che hanno suscitato numerose critiche da parte dell’episcopato ungherese. Ieri, a conclusione dell’assemblea plenaria dei vescovi dell’Ungheria, l’arcivescovo di Budapest-Esztergom, cardinale Peter Erdő, ha detto che «una crisi di questa gravità e di queste proporzioni può essere affrontata solo con politiche statali». La Chiesa ungherese ha aperto anche una negoziazione con il Governo per mettere a disposizione immobili che possano servire per ospitare i rifugiati prima che arrivi il freddo. Sulla speranza cristiana Lo sguardo verso Dio Il luogo di un attentato nella città siriana di Latakia (Ap) HERMANN GEISSLER A PAGINA 5 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 5 settembre 2015 Colombiani cercano di attraversare il fiume Táchira dal lato venezuelano (Ansa) Deciso il rafforzamento del piano di acquisti di titoli di Stato europei per sostenere la ripresa Draghi non molla Ancora presto per dire se il rallentamento della Cina avrà effetti sulla moneta unica FRANCOFORTE, 4. I rischi di un peggioramento del quadro economico sono aumentati e per questo il presidente della Bce, Mario Draghi, ha deciso di aumentare il sostegno alla ripresa. L’annuncio è stato fatto ieri al termine della riunione del consiglio direttivo dell’istituto di Francoforte: sono stati rivisti i meccanismi del piano d’acquisto di titoli (anche di Stato) da 60 miliardi di euro al mese, previsto almeno fino al settembre 2016. Il Quantitative Easing (questo il nome del piano) è stato modificato elevando dal 25 al 33 per cento il limite acquistabile da parte della stessa Bce nell’ambito di una singola emissione pubblica. In pratica, se prima poteva sottoscrivere fino a un quarto del valore di un titolo di Stato, ora può salire a un terzo. È un chiaro segnale che la situazione economica della zona euro si sta complicando, non solo per gli effetti della crisi greca, ma anche per il rallentamento cinese. Draghi ha chiarito che i casi di acquisto di titoli saranno valutati volta per volta, per non creare problemi tecnici o giuridici. Ora — dicono gli analisti — la Bce ha maggior libertà di acquistare titoli a scadenze più lunghe, il che modifica anche gli obiettivi nella strategia di politica economica. Ma quello di Draghi è anche un messaggio ai mercati. Con il rafforzamento del Quantitative Easing Francoforte mostra di credere nella ripresa, anche se per il momento è escluso un allargamento del piano ai titoli greci — si attende l’esito del voto del 20 settembre. Messaggio ben chiaro alle Borse, che hanno chiuso in netto rialzo e con l’euro in calo. Draghi ha infine spiegato in conferenza stampa che nelle ultime settimane a causa degli scossoni creati dal rallentamento cinese sono «emersi rinnovati rischi al ribasso su crescita e inflazione». Tuttavia i banchieri centrali hanno «giudicato prematuro valutare» se questi sviluppi avranno effetti stabili o se sono solo di natura transitoria. La ripresa «continuerà a un tasso più lento delle attese» e anche sul fronte dei prezzi «è attesa una crescita dell’inflazione inferiore alle attese». Il presidente della Bce in conferenza stampa (Afp) Alla frontiera tra Colombia e Venezuela Trecento bambini senza genitori BO GOTÁ, 4. Nella zona di frontiera tra Venezuela e Colombia, al centro da giorni di una grave crisi diplomatica, quasi trecento bambini sono rimasti senza genitori, dopo la decisione di Caracas di chiudere il confine ed espellere più di 1100 immigrati colombiani. A denunciarlo sono fonti da Bogotá, precisando che il Governo si sta occupando del caso. «Stiamo facendo tutto il possibile con le autorità venezuelane per giungere alla Dopo gli scossoni in Borsa Regge il cessate il fuoco tra le truppe ucraine e i separatisti Le turbolenze cinesi al vertice del G20 Donetsk e Lugansk adottano il rublo russo ANKARA, 4. Doveva essere un meeting prettamente tecnico volto alla messa a punto di proposte da sottoporre ai leader al vertice di metà novembre ad Antalya. Ma le turbolenze sui mercati delle ultime settimane, innescate dalle mosse della Banca del Popolo cinese, e le preoccupazioni crescenti per le conseguenze sulle economie mondiali del rallentamento di Pechino — e degli altri Paesi emergenti — fanno della Cina il “piatto forte” sul tavolo del G20 dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali, che si apre oggi ad Ankara. La serie di dati negativi, con il pil (prodotto interno lordo) inchiodato a un deludente più sette per cento per quest’anno (con il sospetto che i dati reali siano anche inferiori) e, da ultimo, anche la contrazione dell’attività produttiva annunciata dal Pmi manifatturiero — l’indice è sceso ad agosto sotto la soglia dei 50 punti, ai minimi da tre anni — spaventano tanto quanto l’incertezza prodotta dalle ripetute svalutazioni della valuta da parte della Banca centrale cinese. Quest’ultima è intervenuta con due iniezioni di liquidità da 150 miliardi di yuan ciascuna, scatenando il panico sui mercati finanziari. Dopo la crisi greca, che ha dominato i lavori dell’ultimo G20 finanziario di Istanbul, è insomma la bufera cinese al centro dell’attenzione e dei timori internazionali. E questo perché la ripresa — ha fatto sapere l’Fmi in un paper inviato al G20 — resta moderata: possibili ulteriori ribassi. La priorità per la Cina, spiega il Fmi nello stesso documento, dovrebbe essere quella di pilotare «una transizione dolce verso una crescita più sostenibile, contenendo le vulnerabilità» mentre «la recente correzione del mercato non dovrebbe scoraggiare le autorità a portare avanti riforme per dare ai meccanismi di mercato un ruolo decisivo nell’economia». Riforme invocate anche dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che fa sapere di voler far pressione sul presidente cinese Xi Jinping sui temi delle riforme e dei tassi di cambio. Il segretario al Tesoro americano, Jack Lew, ritiene che Pechino debba guardare al mercato e «lasciare che le forze del mercato muovano lo yuan in alto e non solo verso il basso». L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va KIEV, 4. I separatisti del sud-est ucraino adottano il rublo russo come unica moneta per tutte le operazioni finanziarie: una mossa annunciata già sei mesi fa dai leader dei ribelli e che sancisce un ulteriore allontanamento da Kiev. Finora nei territori controllati dai miliziani delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, sono stati accettati, oltre al rublo russo, anche la grivnia ucraina e il dollaro americano. Ma i ribelli hanno deciso che dal primo settembre l’unica valuta utilizzabile è quella di Mosca, che pure si è fortemente indebolita nell’ultimo anno e mezzo a causa del crollo del prezzo del greggio e delle sanzioni occidentali per la crisi ucraina. Del resto, la grivnia dell’Ucraina in guerra ed economicamente in ginocchio non naviga di certo in acque migliori. Sul fronte sembra per ora più o meno reggere l’accordo tra le autorità ucraine e i separatisti per far tacere i cannoni a partire dal primo settembre, giorno in cui è iniziato il nuovo anno scolastico, per non mettere in pericolo la vita degli scolari. Anche se le forze armate di Kiev denunciano che martedì sono stati uccisi in un’imboscata dei ribelli due civili mentre sei militari sono rimasti feriti. La Russia comunque ha ieri salutato «con soddisfazione la sistema- tica riduzione delle violazioni della tregua» nel Donbass dal 28 agosto e «l’assenza di violazioni dal primo settembre». E da parte sua anche la presidenza ucraina ha sottolineato che, dopo un incontro a Kiev con Petro Poroshenko, il senatore statunitense Jack Reed ha manifestato la sua soddisfazione per il «rispetto del cessate il fuoco» definendolo «un risultato degli sforzi diplomatici fatti a Berlino e Bruxelles». La situazione nel Donbass rimane comunque incandescente, così come i rapporti tra Kiev e Mosca. Il segretario del Consiglio di sicu- Allarme violenza in Guatemala Militare dell’esercito di Kiev durante esercitazioni (Afp) Promessi aiuti agli agricoltori francesi PARIGI, 4. Il Governo francese ha annunciato ieri sera che stanzierà nuovi aiuti per il settore agricolo, dopo che Parigi è stata invasa da più di 1500 trattori per la protesta degli agricoltori, giunti da tutto il Paese, per denunciare la crisi nel settore della carne e dei prodotti caseari. Il premier, Manuel Valls, ha spiegato che il settore sta affrontando una crisi profonda e ha assicurato che la priorità del Governo è aiutare la categoria. Il piano, annunciato da Valls, prevede investimenti, finanziati in parte dall’Unione europea e dalle regioni, per tre miliardi di euro in GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini La Spagna verso le elezioni tre anni. L’Esecutivo congelerà inoltre l’adozione di nuove regole ambientali e ridurrà le imposte per gli imprenditori del settore. Dopo un viaggio durato anche due giorni, i mezzi degli agricoltori hanno percorso ieri le principali arterie dell’Île de France, creando una quasi paralisi del traffico. La protesta a Parigi fa seguito a un’estate di tensioni dopo le promesse di aiuti governativi e punta a mettere pressione sui ministri dell’Agricoltura dell’Ue che lunedì si riuniranno per discutere dei problemi dell’industria del bestiame, colpita dal crollo dei prezzi. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione rezza ucraino, Oleksandr Turcinov, ha chiesto nuovamente armi agli Stati Uniti, mentre la Russia ha criticato le esercitazioni congiunte delle forze americane e ucraine nel Mar Nero dichiarando che non aiutano nella ricerca di una soluzione pacifica al conflitto nel Donbass. riunificazione delle famiglie. Non è possibile che ci siano dei bambini separati dai propri genitori», ha sottolineato Cristina Plazas, responsabile dell’Istituto colombiano per il benessere delle famiglie. «È importante precisare che alcuni dei bambini i cui diritti sono stati violati sono venezuelani, e cioè nati appunto in territorio venezuelano», ha precisato, ricordando inoltre che a Cúcuta, la città colombiana vicino alla frontiera, le autorità hanno aperto undici punti di accoglienza per ricevere i connazionali espulsi, tra i quali molti bambini. A manifestare «la preoccupazione e l’indignazione» del Governo di Bogotá per quanto sta accadendo alla frontiera è stato anche il rappresentante colombiano presso l’Osa, l’Organizzazione degli Stati americani, Andrés González: tra i connazionali allontanati dal Venezuela ci sono appunto, ha precisato, «molti bambini, i quali non sono certo paramilitari». Nel giustificare la propria politica di «espulsione degli stranieri irregolari» nella zona di confine, le autorità di Caracas hanno sottolineato che l’obiettivo del Governo Maduro è quello di combattere il contrabbando, il narcotraffico e i paramilitari. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va MADRID, 4. Le elezioni in Spagna si terranno molto probabilmente il prossimo 20 dicembre: lo ha annunciato il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, ieri, durante un’intervista all’emittente radiofonica Cope. Si tratta di una data non definitiva, ha precisato il leader dei Popolari. L’annuncio ufficiale verrà dato nelle prossime settimane, dopo l’approvazione del bilancio 2016 da parte del Parlamento. Rajoy ha quindi confermato che sarà lui il candidato del partito Popolare per la guida dell’Esecutivo. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Senza dubbio — sottolineano gli analisti — il presidente Rajoy si presenterà al voto potendo contare sugli ottimi risultati ottenuti dall’economia spagnola. Risultati che hanno ricevuto anche l’elogio del Governo tedesco: «La Spagna è il miglior esempio che abbiamo fatto molte cose abbastanza giuste in Europa» ha detto di recente il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Il Governo di Rajoy ha assicurato inoltre che il deficit pubblico verrà contenuto nei limiti fissati dai Trattati europei senza la necessità di ulteriori misure di austerità. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 CITTÀ DEL GUATEMALA, 4. La difficile situazione in Guatemala ha indotto l’Onu a lanciare un allarme per il rischio di violenze in occasione delle elezioni generali di domenica prossima. Parallelamente agli sviluppi politici delle ultime ore, con le dimissioni del presidente, Otto Pérez, accusato di corruzione e frode, sono arrivate segnalazioni di tensioni e possibili disordini. Il tribunale supremo elettorale ha classificato ad alto rischio di violenze settantaquattro comuni in sei dipartimenti: le aree più sensibili sono nelle regioni settentrionali e nel nordovest, nella costa meridionale e nel settore sudorientale. Una folta delegazione dell’Alto commissariato per i Diritti umani in Guatemala si recherà in diverse zone del Paese per verificare il regolare svolgimento delle operazioni di voto e di scrutinio: lo hanno confermato alla stampa locale fonti dell’organismo. Frattanto, il Parlamento ha accettato le dimissioni di Pérez — indicato come sospetto capo di una rete illegale che aveva organizzato una “dogana parallela” nei principali punti di accesso del Paese, intascando milioni di dollari da parte di importatori che non volevano pagare tasse e dazi sulle loro merci — e formalizzato l’investitura alla presidenza del suo vice, Alejandro Maldonado, che dovrà governare il Paese fino a gennaio del 2016, quando inizierà il mandato del nuovo capo di Stato, che sarà scelto dai cittadini nelle elezioni di domenica prossima. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 5 settembre 2015 pagina 3 Unica strada per la pace con i palestinesi Il centro di Homs devastato dai bombardamenti (Ap) Rivlin rilancia il dialogo TEL AVIV, 4. «Lo Stato di Israele chiede con forza il ritorno ai negoziati diretti con la leadership politica palestinese. Ogni altro modo non porterà la pace e la tranquillità nella nostra regione». Lo ha detto il presidente israeliano Reuven Rivlin, incontrando la comunità ebraica di Roma. «Il negoziato sia aperto, con ascolto reciproco e il rispetto della sicurezza reciproca. Questa è l’unica strada». Il presidente Rivlin ha anche commentato il recente accordo tra Stati Uniti e Teheran sul dossier nucleare. Israele è infatti «fortemente preoccupato per l’accordo sul nucleare iraniano perché un vero cambiamento non può accadere in un attimo», ma «richiede educazione dei giovani, costruzione di fiducia, un dialogo prolungato». Parole alle quali si è unito anche il premier Benjamin Netanyahu, che ieri a Gerusalemme ha incontrato i funzionari del ministero degli Esteri: «La maggior parte dei cittadini statunitensi è d’accordo con Israele sui pericoli che vengono dall’Iran». E sulla possibilità di una ripresa diretta dei negoziati è intervenuto anche il primo ministro palestinese, Rami Hamdallah, che ha accusato il Governo israeliano di «eliminare la possibilità della soluzione a due Stati attraverso la sua continua politica di espansione degli insediamenti». In effetti, la questione delle attività edilizie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est rappresenta uno dei punti nodali del contenzioso con gli israeliani. Secondo Hamdallah, che ha incontrato a Ramallah una delegazione parlamentare britannica, le politiche israeliane «minano le possibilità di raggiungere la pace e il sogno di un contiguo Stato palestinese nei confini del 1967». Hamdallah ha chiesto alla comunità internazionale «protezione per il popolo palestinese». I negoziati diretti tra israeliani e palestinesi sono fermi da almeno due anni. Colloquio tra Obama e il re saudita Sanguinosi combattimenti nello Yemen Obama e il re saudita alla Casa Bianca (Ap) SANA’A, 4. Violenti combattimenti ieri a Taiz tra le truppe fedeli al presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour Hadi — costretto con il suo Governo a riparare a Riad — e le milizie sciite huthi che dall’inizio dell’anno, dopo aver conquistato la capitale Sana’a, avanzano nel sud del Paese. L’intervento in marzo di una coalizione a guida saudita ha fermato l’offensiva degli huthi costringendoli a ritirarsi verso nord. Anche ieri si sono registrati una serie di raid aerei contro obiettivi dei ribelli huthi nella capitale e a Taiz. I raid su Sana’a avrebbero colpito due basi militari. Al momento non ci sono notizie di vittime. Nel frattempo c’è attesa per l’incontro di oggi alla Casa Bianca tra il presidente statunitense, Barack Obama, e il re saudita Salman, alla sua prima visita negli Stati Uniti da quando, a gennaio, è salito al trono. Ben Rhodes, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha parlato di una «visita importante in un momento importante con molti sviluppi nella regione in cui abbiamo interessi comuni con l’Arabia Saudita». Nella fitta agenda dei colloqui anche la crisi nello Yemen con la «profonda preoccupazione» degli Stati Uniti per il peggioramento della situazione umanitaria nel Paese. Storie e testimonianze di rifugiati e migranti siriani a contatto con la realtà europea «Ho molti sogni» da Winterthur KARINA ALARCÓN «Ich bin stolz, weil ich kurde». È questo lo stato di Whatsapp di Meskin Hagi, 27 anni. Ci sono due errori grammaticali in tedesco, ma l’idea è chiara: «sono orgogliosa di essere curda». Dopo nove mesi trascorsi in Svizzera, ha superato tre livelli elementari della lingua. È arrivata con sua madre, con due fratelli minorenni e un altro di 19 anni. Suo fratello maggiore già si trovava qui e ha richiesto il visto d’ingresso per i suoi familiari a motivo del conflitto bellico in Siria. Sono andati a piedi fino al confine meridionale con la Turchia, dove hanno preso un volo diretto per Zurigo al costo di 550 euro. Un’agenzia svizzera in Turchia si è occupata di tutte le pratiche. Non tutti riescono a entrare in Europa con la stessa fortuna. Dal 2011, quando è scoppiata la guerra civile in Siria tra le forze armate del Governo di Bashar Al Assad e i gruppi ribelli, più di un milione di siriani sono fuggiti in Libano. Per questo piccolo Paese l’arrivo precipitoso di rifugiati è un carico pesante. Il Governo fa tutto il possibile perché i siriani non rimangano, perciò la situazione è esasperante. «Dormo su un materasso nel salone in attesa di trovare un appartamento solo per me» racconta Hagi, perché, a parte suo fratello e sua madre, è l’unica ad avere lo status F (Flüchtlinge), quello di rifugiata. Ciò le consente di ricevere aiuto sociale dal cantone: 700 franchi svizzeri al mese per cibo, trasporti e spese personali, il pagamento degli studi di tedesco e dell’assicurazione medica, come pure una quota fino a 1000 franchi al mese per affittare un appartamento. Sebbene i rifugiati in questo Paese ricevano i soldi per pagare un affitto, la loro missione praticamente impossibile è di trovare qualcuno che decida di dare loro un appartamento. Il timore è che il contratto non duri, che ci vivano più persone di quelle pattuite e che non conservino in buono stato l’immobile: sono questi i principali pregiudizi in gio- co. Nel frattempo i rifugiati vivono in case assegnate dallo Stato o in centri di passaggio dove condividono cucina, salone e servizi igienici. D all’inizio di quest’anno, in Europa occidentale vivono come profughi quasi quattro milioni di siriani, di cui il quaranta per cento è costituito da bambini al di sotto dei 12 anni. Dodici milioni di siriani hanno bisogno di aiuto di emergenza secondo la Acnur, ossia più della metà della popolazione. Circa 15,5 milioni di persone si trovano in questa condizione di emergenza in Medio oriente. Nel 2014 Medici senza Frontiere (Msf) ha registrato 60 milioni di rifugiati e dislocati, la cifra più alta dalla seconda guerra mondiale. Il «New York Times» (nel numero del 31 agosto di quest’anno) ha pubblicato una statistica sul numero delle richieste di asilo ricevute tra gennaio e giugno 2015: la Svezia è al primo posto con 2359 richieste per ogni 100.000 abitanti, seguita da Montenegro, Ungheria, Austria, Svizzera e Norvegia. Germania, Danimarca e Grecia occupano il nono, decimo e undicesimo posto, rispettivamente, mentre la Spagna è il Paese occidentale con meno richieste di asilo: appena 45. In un’intervista alla rete radiotelevisiva svizzera (SRF3), Florian Westphal, direttore della sezione tedesca di Msf, ha detto che la Ue fa troppo poco al riguardo, come si vede nelle tragedie che avvengono nel mar Mediterraneo, dove le persone continuano a morire affogate. «La Ue commette errori politici fondamentali» poiché proibendo l’accesso in modo legale e sicuro in Europa alle persone di regioni in conflitto come Siria e Afghanistan, «le getta direttamente tra le braccia dei trafficanti di persone». I fratelli minorenni di Hagi hanno ricevuto lo status N. Tuttavia «N qui è niente», precisa Hagi, poiché in tal modo i suoi fratelli non possono spostarsi né cercare lavoro. «Devono aspettare che li chiami l’avvocato da Berna e dica loro che cosa fare. Perciò io qui mi sento reclusa». Prima Meskin viveva in un centro comunale. Se suo fratello andava a Presenti a Kabul delegazioni di settanta Paesi e organismi internazionali Per la prima volta dopo oltre trent’anni Conferenza economica sull’Afghanistan Un tamil leader dell’opposizione nello Sri Lanka KABUL, 4. Si conclude questa sera la sesta conferenza di cooperazione economica regionale sull’Afghanistan che si è aperta ieri a Kabul in presenza di delegazioni di settanta Paesi e organismi internazionali, comprese la Banca mondiale e la Banca di sviluppo asiatico. L’agenda dell’incontro comprende temi vitali per l’Afghanistan come la cooperazione economica, le telecomunicazioni, i trasporti e la gestione delle risorse naturali. Nel suo intervento introduttivo il viceministro degli Esteri afghano, Hekmat Khalil Karzai, ha rilevato che un altro dei temi in discussione è il rafforzamento del ruolo del settore privato nelle attività economiche fra i Paesi della regione. La conferenza, ha poi sottolineato, «è un processo di cooperazione economica regionale importante che è messo a punto, guidato e gestito dall’Afghanistan». In occasione dello svolgimento di questa conferenza, le misure di sicurezza a Kabul sono state rafforza- te al massimo e lungo le strade che portano al centro della capitale afghana sono stati istituiti numerosi posti di blocco per prevenire azioni terroristiche da parte dei talebani. In Afghanistan, infatti, non si fermano i combattimenti e le azioni terroristiche da parte degli insorti. Scontri tra fazioni di talebani favorevoli e contrarie al nuovo leader designato dopo la morte del mullah Omar sono avvenuti ieri nella provincia occidentale afghana di Herat, con un bilancio di almeno 18 morti. Ehsanullah Hayat, portavoce del Governo provinciale, ha indicato che almeno dieci insorti sono rimasti feriti negli incidenti cominciati nell’area di Okal del distretto di Shindand. Gli scontri avvengono fra militanti fedeli al nuovo leader talebano mullah Akhtar Mansour, e altri che si oppongono alla sua designazione e vorrebbero che la guida fosse assegnata al figlio di Omar, mullah Yaqub. Nel frattempo, per la terza volta in una settimana un folto gruppo di studentesse e insegnanti di una scuola femminile afghana sono state ricoverate in ospedale sempre nella provincia di Herat con sintomi da avvelenamento. Altre due volte negli ultimi quattro giorni molte decine di ragazze sono finite in ospedale dopo aver accusato perdita di conoscenza, vertigini, mal di testa e forti dolori allo stomaco. Abdul Razaq Ahmadi, responsabile del dipartimento della Pubblica istruzione di Herat, ha detto in una conferenza stampa che «è evidente che i nemici dell’Afghanistan non possono tollerare lo sviluppo della provincia di Herat, per cui per la terza volta in una settimana dobbiamo far fronte a un caso di avvelenamento di studentesse». Nessun gruppo di ribelli ha finora rivendicato l’operazione, ma secondo gli analisti esse sono realizzate da gruppi fondamentalisti islamisti che si oppongono all’istruzione delle giovani donne afghane. COLOMBO, 4. Per la prima volta da oltre trent’anni, un tamil, Rajavarothayam Sampanthan, leader dell’Alleanza nazionale tamil, è diventato capo dell’opposizione nel Parlamento dello Sri Lanka, costituito lo scorso primo settembre. Una mossa interpretata dagli analisti come un gesto di riconciliazione e di integrazione, l'ultimo in ordine di tempo da quando lo scorso gennaio Maithripala Sirisena ha strappato la presidenza a Mahinda Rajapaksa. Dal 1983, e per ben ventisei anni, il Paese asiatico è stato al centro di una sanguinosa guerra civile che ha opposto il movimento autonomista delle Tigri per la liberazione dell’Eelam tamil all’esercito di Colombo. Il conflitto si concluse nel maggio del 2009 con la sconfitta della guerriglia e la morte di migliaia di civili. L’annuncio della nomina è stato fatto dal nuovo presidente del Parlamento, Karu Jayasuriya. Ciò è stato possibile, ha detto Jayasuriya ai giornalisti, perché i responsabili della Alleanza per la libertà del popolo unito (Upfa), secondo gruppo parlamentare per importanza, non hanno rivendicato la carica. Nel 1977, un deputato tamil, Appapillai Amirthalingam, divenne per la prima volta leader dell’opposizione parlamentare, ma diede subito le dimissioni dopo essersi rifiutato di garantire che non avrebbe mai lottato per uno Stato separato tamil. Nel nuovo Parlamento, espressione delle elezioni legislative del 17 agosto scorso, vinte dal Partito nazionale unito (Unp) del primo ministro, Ranil Wickremasinghe, l’Unp dispone di centosei seggi (sette meno della maggioranza assoluta), seguito dall’Upfa, di cui è esponente di spicco l’ex presidente, Mahinda Rajapaksa, con novantacinque seggi. Terza forza parlamentare è l’Alleanza nazionale Tamil (sedici seggi). trovarla, c’era sempre chi chiamava la polizia perché controllasse quando doveva andare via, non più tardi delle 22. «E se io volevo dormire dalla mia famiglia, accadeva la stessa cosa. A parte che condividevo la stanza con un’altra donna, una siriana che era matta» dice mostrando le sue mani graffiate. «Mi sono stancata e perciò ho chiesto il permesso al municipio per andarmene da mia madre». In futuro Meskin vuole lavorare come oculista, la sua professione. Ma, soprattutto, vuole tornare nel suo Paese e sentirsi libera. Sebbene in Svizzera viva in condizioni migliori della maggior parte dei rifugiati o immigrati illegali, ha di fronte vari ostacoli per ottenere un passaporto (B) che le consenta di trovare un lavoro, affittare un appartamento e trasferirsi dove vuole senza dover rendere conto dei suoi spostamenti né avere il marchio incerto di rifugiata. «Per questo voglio lavorare in nero (senza contratto ufficiale) perché se ottengo un lavoro fisso l’assistenza sociale non mi pagherebbe né il corso di tedesco né l’appartamento. Non m’importa lavorare persino gratis. Voglio imparare la lingua e avere un’occupazione» dice Meskin. Sei mesi fa ha chiesto al comune di trovarle un qualche impiego. «Altri che non volevano lavorare li hanno già chiamati», dice sorridendo. «Ci andrò di nuovo». Un’altra cosa che Meskin non capisce è perché i luoghi pubblici non siano divisi per aree, come le piscine, tra uomini e donne. «Mio fratello piccolo mi prega sempre di entrare in acqua con lui, ma io non posso perché ci sono altri uomini. Mio fratello maggiore si infastidirebbe se lo facessi. Non gli piace neppure che usi pantaloni corti o indumenti senza maniche». La storia di Meskin è come quella di tante altre profughe. Una volta arrivata in Germania, suo marito è diventato violento: la perseguitava in tutte le case protette a cui veniva assegnata e perciò è fuggita in Svizzera attraverso la frontiera di Costanza con l’aiuto di una volontaria di una chiesa tedesca. Suo figlio maggiore, diciassettenne, era rimasto volontariamente con il padre per evitare problemi. «La mia sorella maggiore è rimasta in Siria con il marito e i figli. Stanno bene, per ora». Meskin ha anche un’altra sorella in Germania, Wafa, che dopo un breve soggiorno in Svizzera con le sue due figlie minori, Mefa e Merva, è dovuta tornare ad Amburgo. All’inizio sono fuggite non solo per evitare il conflitto, ma anche per trovare cortisone per la figlia più piccola, che è malata. In Siria stava per morire dopo sette giorni senza questo medicinale. «Wafa mi ha scritto, dice Meskin al telefono. Mi ha chiesto di raccontarle che suo figlio ora sta con lei. È andata dall’avvocato e ci è riuscita. Siamo felici!». A marzo di quest’anno il Consiglio federale della Svizzera ha deciso di aprire le frontiere ai rifugiati della Siria. In teoria riceveranno lo status di rifugiati senza lunghi processi di richiesta di asilo. L’obiettivo è di dare protezione ad almeno 3000 persone nei prossimi tre anni. Inoltre 1000 siriani con parenti già in territorio svizzero, riceveranno un visto umanitario. «Quando potremo tornare nel nostro Paese? Non lo so. Il mio sogno è di poter restare in Siria, con il mio lavoro e la mia famiglia; vivere con persone buone e in pace, anche se persone buone s’incontrano pure qui» dice Meskin. «In realtà ho molti sogni». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 5 settembre 2015 Zahi Hawass È un’identità politica mai formata compiutamente la cui crisi è in radice quella della Chiesa Vista da un’altra prospettiva Cattolici nella vita pubblica italiana Un’autobiografia nazionale di MARCO BELLIZI A colloquio con l’archeologo egiziano Zahi Hawass Giù le mani dalla Sfinge di Giza di ROSSELLA FABIANI appena arrivato dal Cairo con un volo di linea. Lo aspettano per portarlo a Cortona dove sabato sera riceverà il Premio Cortonantiquaria 2015 perché Zahi Hawass non è semplicemente un grande archeologo, ma è anche un divulgatore instancabile e lo strenuo difensore di una storia millenaria. In questa occasione, Hawass presenterà al pubblico italiano in anteprima mondiale il suo ultimo libro Magia delle Piramidi. Le mie avventure in archeologia per i tipi di Harmakis Edizioni (Montevarchi, 2015, pagine 256, euro 24). «Un’anteprima italiana che vuole essere un omaggio al Belpaese. E anche un invito a venire in Egitto», ci dice Hawass. Questo libro dedicato all’area della piana di Giza — dove ha lavorato per quarant’anni — significa molto per lui: «Per scriverlo ho impiegato un anno, durante il quale ho ripercorso con la mente gran parte della mia vita; è il primo libro che parla dei nuovi scavi nell’area di Giza. Ma anche dei rischi che corre il nostro patrimonio a causa dell’urbanizzazione delle aree archeologiche come pure mette in guardia da scelte scellerate, come quella di organizzare un concerto rock proprio a ridosso della Sfinge, che ha causato danni non lievi al monumento». Su quale sia stata la scoperta più sensazionale nella zona delle piramidi, Hawass non ha dubbi: «La porta segreta ritrovata all’interno della piramide di Cheope, il villaggio degli operai che hanno costruito le piramidi e gli scavi sotto la Sfinge». Lo scorrere del tempo non si è posato soltanto sulle antiche vestigia: ha trasformato la ricerca e gli strumenti con cui gli egittologi conducono i loro studi e i loro scavi, tanto che oggi si parla di archeologia spaziale, vale a dire di rilevamenti archeologici fatti dai satelliti. «L’uso della tecnologia all’avanguardia ha completamente trasformato la disciplina. Oggi riusciamo a È guendo l’esempio di tanti studiosi appassionati e tenaci, «come l’archeologo americano Mark Lehner che ha lavorato con me per quarant’anni a Giza e al quale ho voluto dedicare questo mio ultimo libro». Tra i progetti futuri di Zahi Hawass ci sono lo studio del Dna della mummia di Nefertiti e la ricerca di nuovi passaggi segreti dietro la porta ritrovata all’interno della piramide di Cheope. A metà settembre è invece previsto l’arrivo al Cairo, su invito del Ministro delle Antichità, Mamdouh El Damaty, dell’archeologo inglese Nicolas Revees che tanto ha fatto discutere con la sua recente scoperta di un passaggio segreto all’interno della tomba di Tutankhamon. «La teoria di Revees che dalla tomba di Tutankhamon ci sia un passaggio che la colleghi alla tomba di Nefertiti — chiosa Hawass — non è supportata da nessuna evidenza. Revees ha soltanto visto una parete in 3D e in questo modo si può immaginare qualunque cosa. Howard Carter che ha scoperto la tomba di Tutankhamon e vi ha lavorato per dieci anni, se ci fosse stato un pas- per la prima volta un presidente voluto dal popolo che lavora per fare andare avanti il Paese. C’è molta sicurezza ovunque e anche le zone archeologiche sono sicure. La distruzione dei monumenti da parte dell’Is è un atto barbarico. L’Unesco è debole e non fa niente di concreto per proteggere i monumenti. Bisognerebbe dar vita a una task force internazionale che difendesse il patrimonio. La vicenda dell’archeologo di Palmira è ignobile e purtroppo tutto il mondo è in silenzio e non fa nulla per salvare persone e antichità. Non credo però che l’Is possa raggiungere i nostri territori e distruggere le nostre aree archeologiche. Anche i siti come il monastero di Sant’Antonio nel deserto orientale o lo stesso monastero di Santa Caterina nel Sinai sono in sicurezza. L’Egitto è un Paese sicuro. E sono qui in Italia, con il supporto dell’Ente del turismo, anche come ambasciatore del mio Paese. Venite a visitare l’Egitto e il nostro patrimonio culturale». Di sicuro è un’occasione preziosa per gli appassionati di egittologia l’annuncio fatto pochi giorni fa dal Ministro delle Antichità, Mamdouh La pesatura delle anime nell’Aldilà saggio che portava alla tomba di Nefertiti l’avrebbe di sicuro scoperto. E ancora. Non è possibile che Nefertiti sia stata sepolta vicino alla tomba del figlio Tutankhamon. Nefertiti adorava Aton e i sacerdoti di Amon non avrebbero mai permesso che fosse sepolta accanto a Tutankhamon, devoto al culto L’uso della tecnologia all’avanguardia tebano di Amon. Mettere poi due tomha completamente trasformato be insieme è una prala ricerca sul campo tica che troviamo soltanto dalla XIX dinaOggi riusciamo a compiere indagini stia e mai durante la inimmaginabili fino a poco tempo fa XVIII dinastia di Nefertiti e Tutankhamon. A metà di questo mese abbiamo incompiere delle indagini inimmagivitato Revees a venire in Egitto per nabili fino a qualche tempo fa; mediscutere insieme la sua ipotesi e vetodologie scientifiche, informatiche dere che cosa realmente ci sia dietro e genetiche non possono più essere questo passaggio della tomba di Tuignorate». Quello che non deve mai tankhamon». mancare a chi voglia intraprendere Dire Zahi Hawass significa dire lo studio delle antichità «è una Egitto. E del suo Paese l’archeologo grande passione e un carattere forte, ha una visione chiara e fiduciosa nel capace di fronteggiare i tanti ostacofuturo: «Il nostro patrimonio gode li che si troveranno davanti», sedi buona salute. Oggi l’Egitto ha El Damaty che dal 1 dicembre fino al 7 gennaio del prossimo anno sarà permesso per la prima volta in assoluto scattare fotografie nel museo egizio di piazza Tahrir. Non a caso Hawass rivolge il suo invito all’Italia che da sempre ha rapporti molto stretti con l’Egitto e che la recente scoperta dell’Eni del grande giacimento di gas sottomarino rafforza ancora di più. «Italia ed Egitto sono insieme da sempre e mi rende felice che il Governo italiano abbia stanziato dieci milioni di euro per il restauro del museo greco-romano di Alessandria. Anche Cortona non fa che testimoniare questo nostro antico legame». Perché oltre a celebrare quest’anno il decennale del Museo dell’Accademia etrusca e della città che conserva un’importante collezione di reperti egiziani, Cortona ha un’antica relazione che la lega all’Egitto con gli etruschi che tanto vennero influenzati dalla civiltà egizia come documenta la mostra «Antiche tracce d’Egitto» allestita a Palazzo Casali, sede del museo. Un antico fil rouge che oggi la lega ad Hawass. all’irrilevanza alla centralità. Andata e ritorno». Nel titolo dell’introduzione generale al librointervista La politica dei cattolici dal Risorgimento ad oggi. Paolo Pombeni in dialogo con Michele Marchi (Roma, Città Nuova, 2015, pagine 205, euro 15) è evidentemente incluso un giudizio. Anche se il conduttore del colloquio, Marchi, sottolinea con cortesia come si tratti di una scelta «volutamente provocatoria», per illustrare schematicamente l’evoluzione del cattolicesimo con l’intento, apprezzabile, di contribuire alla stesura di un’«autobiografia nazionale» a oggi assente. Al di là di ogni valutazione sul punto — lo studioso tende sempre a inquadrare i fatti in grandi flussi, trascurando, anche per dovere scientifico, il peso delle passioni umane e la portata delle scelte individuali nei momenti cruciali della storia — questa agile ma accurata conver- «D Una storia del rapporto fra le gerarchie ecclesiastiche e l’attivismo laicale in un periodo che ha visto eventi di portata globale sazione condotta con lo storico Paolo Pombeni, qui nella veste di intervistato, ha senza dubbio il merito di mettere in rilievo le grandi direttrici dell’impegno dei cattolici italiani in politica, quali si sono dispiegate in un arco di tempo attraversato da eventi di portata globale, cercando di ridurre il tanto e l’universale alla sintesi domestica di quello che una volta era definito il “Bel Paese”. Il libro, arricchito da un’utile cronologia dei fatti, narra in sintesi la storia di un rapporto. Quello, in primo luogo, fra le gerarchie ecclesiastiche (Santa Sede e Conferenza episcopale) e l’attivismo laicale. Per scelta, trattandosi appunto di una conversazione ispirata da un intento chiaramente divulgativo, la storia di questa relazione non è supportata qui da estesi riferimenti documentali, anche se è presente una bibliografia utile per il lettore che fosse interessato a svolgere studi più approfonditi. Le rispettive istanze, le ragioni che determinarono il clima di questo rapporto, le ricadute del magistero petrino sull’esperienza dei movimenti laicali, sono però sintetizzate efficacemente, consentendo di identificare un percorso, una storia non dettata dal caso. E del resto è lo stesso Marchi, sempre nell’introduzione, a lasciare intendere che, per esempio, la fine dell’unità politica dei cattolici non sia affatto «avvenuta accidentalmente», come più spesso si è portati a considerare. Certo — e Pombeni, forse inconsapevolmente, suffraga tale impressione nelle sue risposte, certamente condizionate dalla necessità della sintesi — la politica dei cattolici in Italia appare, alla luce di questa conversazio- ne, più definita per sottrazione che frutto di una reale elaborazione programmatica. In poche parole, una reazione alle necessità contingenti. È così nella stagione del non expedit, strumentale, ricorda Pombeni, alle rivendicazioni legate alla “questione romana”. Così al momento della nascita dei movimenti socialisti e comunisti e poi del regime fascista, con l’esperienza del popolarismo sturziano prima e del centrismo degasperiano post Lo spartiacque è l’assassinio di Aldo Moro e la fine della stagione del compromesso storico bellico poi. Così appare anche nella risposta alla modernità e alle sfide del Vaticano II, con la Democrazia cristiana obbligata ad affrontare la questione del collateralismo e del «dissenso cattolico». E ancora appare definita per sottrazione dopo l’esperienza traumatica del referendum sul divorzio del 1974 e soprattutto alla fine della cosiddetta “Seconda Repubblica” (e qui sembra almeno ingeneroso definire «cosmetico», come fa Marchi, il tentativo di Mino Martinazzoli di una riforma del suo partito alle prese con la tempesta di Tangentopoli). In quel momento in particolare, afferma Pombeni, «il sospetto è che il sistema cattolico, cioè tanto la Chiesa ufficiale quanto i vari movimenti cattolici, per tacere della Dc», si scoprissero «incapaci di quella guida morale della società che pure avevano affermato in altre circostanze drammatiche». Ancora più per sottrazione appare definirsi la politica dei cattolici in Italia con l’avvento di Silvio Berlusconi, la diaspora cattolica e l’illusione «che il nuovo leader, che era capace di tenere in pugno una massa di consenso in sé scarsamente omogenea ma molto rilevante, potesse comunque diventare, opportunamente ispirato, uno strumento della ricostruzione “paracattolica”». È la storia, dunque, di una identità mai formata compiutamente. Tanto che, sembra emergere dal libro, la crisi dell’unità politica dei cattolici è in fondo solo la crisi della Chiesa vista appunto dalla prospettiva del rapporto con la politica. C’è però, come sembra emergere in questo libro intervista — che non a caso in copertina presenta un’elaborazione della foto della Renault 5 fatta ritrovare dalle Brigate rosse in via Caetani il 9 maggio 1978 — un momento che fa da spartiacque, almeno nella storia più recente della politica dei cattolici in Italia. La morte dell’allora presidente della Dc, Aldo Moro, per opera dei terroristi, segna la fine dell’ultimo tentativo, almeno fino ai giorni nostri, di un’operazione programmatica di ampio respiro, quella del compromesso storico e della solidarietà nazionale, dopo la quale ci saranno solo alcuni inefficaci tentativi di rifondazione del cattolicesimo politico italiano, dalla leadership democristiana di Ciriaco De Mita fino all’esperienza del progetto volto a salvaguardare l’unità culturale dei cattolici, a partire dal convegno ecclesiale di Palermo del 1995. Qui c’è uno dei passaggi più problematici del libro, quello relativo all’illusione dei vertici ecclesiastici che il tentativo di «inquadramento della modernità entro una cornice di comprensione religiosa» potesse essere in grado di rimodulare i risultati e i successi del concilio Vaticano II «a fronte delle inquietudini del tardo XX secolo». In realtà, spiega Pombeni, «si trattava di una missione impossibile, perché avrebbe richiesto o un radicalismo profetico, che era lontano dagli approdi vaticani di quegli anni, o la capacità di un’umile condivisione delle angosce del presente senza presunzione di avere chiavi di soluzione immediate, cioè quell’atteggiamento che si sarebbe visto all’opera solo con Papa Francesco». Ma, chiaramente, questa è un’altra storia. Ancora da scrivere. Aldo Moro L’OSSERVATORE ROMANO sabato 5 settembre 2015 pagina 5 Sulla via di Santiago Newman apprezza il progresso e i mezzi del mondo ma mette in guardia davanti allo spirito mondano Radici del nostro mondo di GIOVANNI ZAVATTA Sulla speranza cristiana Lo sguardo verso Dio di HERMANN GEISSLER Nel primo dei discorsi dopo la conversione, intitolato La salvezza degli ascoltatori come motivo del predicatore, Newman cerca di immedesimarsi nei pensieri degli abitanti di Birmingham, che ancora non conoscono né lui né i suoi confratelli dell’Oratorio, e di rispondere alle domande che, secondo lui, portano probabilmente nei loro cuori: cosa spinge loro (i membri di questa nuova comunità) a venire qui? Cosa vogliono? Cosa predicano? Cosa promettono? Newman sa che non è semplice rispondere a queste domande fondamentali. Egli apprezza il progresso e i mezzi del mondo, ma mette in guardia davanti allo spirito del mondo. A che cosa mi- ra lo spirito del mondo? Secondo Newman, mira alla buona fama, all’influenza, al potere, alla ricchezza, al prestigio; talvolta al superamento dei mali terreni come, a esempio, l’ignoranza, la malattia, la povertà. Una persona che nasce in questo mondo, e viene educato secondo i principi di questo mondo, può imparare molte cose, acquisire buone abitudini, formare proprie convinzioni. Ma già in giovane età cade facilmente nella tentazione di adeguarsi completamente allo spirito del mondo e di coltivare interessi puramente mondani. E se questa persona diventa adulta, esercita una professione e gioca il suo ruolo sulla scena del mondo, con gli anni crescono i suoi rapporti con gli altri, acquisisce una propria fama e un suo in- flusso nella società: una fama e un influsso che appartengono a una persona ritenuta saggia, prudente e abile. E il mondo le esprime apprezzamento e lode. Il problema di una tale persona consiste nel fatto che non pensa né a Dio né all’eternità. «Cosa dire della sua anima? Della sua anima?», domanda Newman. «Oh, la sua anima; l’aveva dimenticato». E aveva dimenticato che la sua vita terrena avrà una fine e che l’aspetta quella eterna. Questa è, secondo Newman, la storia dell’uomo per cui il Vangelo non è diventato una realtà e in cui il buon seme non ha messo radici. Questa è la storia dell’uomo mondano, che è in grave pericolo di perdere la vera vita perché vive senza Dio e quindi senza speran- za. A questo punto Newman svela ai suoi ascoltatori il motivo della sua predicazione: «È da meravigliarsi che ci rivolgiamo a una tale popolazione, per la quale Cristo è morto, cercando di convertirla a Lui e alla sua Chiesa? [...] Esiste uno stimolo più forte per la predicazione della convinzione certa che si tratta dell’annuncio della verità? Cosa ci spinge di più a impegnarci per la conversione delle anime che la consapevolezza che sono attualmente nell’errore e nel pericolo? [...] Veniamo da voi come servitori di quella straordinaria grazia di Dio di cui avete bisogno; veniamo da voi perché abbiamo ricevuto da Dio stesso una grande grazia e sentiamo il desiderio di rendervi partecipi della nostra gioia; sta scritto infatti: “Gratuita- Sulla Civiltà cattolica Alla vigilia del sinodo Junípero Serra e i santi missionari Riflessioni lungo un cammino È dedicato alle figure di Angela da Foligno, Pietro Favre, Giuseppe de Anchieta, santa Maria dell’Incarnazione, Francesco de Laval, san Giuseppe Vaz e infine Junípero Serra, che Papa Francesco canonizzerà durante il prossimo viaggio negli Stati Uniti, l’articolo, scritto da Diego Fares, con cui si apre l’ultimo numero della Civiltà Cattolica, in uscita in questi giorni. Si tratta di «santi evangelizzatori di popoli», per i quali, come ricordato da Papa Francesco durante il volo per Manila il 15 gennaio scorso, è stato usato il metodo della «canonizzazione equipollente», ovvero il culto precettivamente esteso dal Pontefice per i servi di Dio non ancora canonizzati. «La spiritualità e la teologia dell’Evangelii gaudium e della Laudato si’ — scrive a conclusione del suo articolo Fares — trovano ispirazione in santi e sante come questi, evangelizzatori di popoli, con un Vangelo testimoniato con la loro stessa vita. Sono santi camminatori, santi gioiosi, santi comunicativi, che escono, che cercano, che vanno… non sotto la spinta del loro carattere soggettivo, né per un incarico divino unilaterale, ma perché, alzando lo sguardo — come il Signore nella sera della moltiplicazione dei pani — hanno visto folle di popoli che vagano come pecore senza pastore e si sono commossi nel sentire l’amore del Buon Pastore che ha dato la vita per quelle pecore, che ne sono ignare». Il «volto concreto» dei popoli a cui sono inviati, si legge ancora, «insieme con i loro paesaggi, la flora e la fauna, attira i santi tanto quanto li spinge il mandato del Signore e del suo Spirito. È zelo per “l’unico gregge”, presente misteriosamente in quelle “altre pecore” che il Signore sognava di andare a cercare. Come dice Papa Francesco: “Il Vangelo è lievito che fermenta tutta la massa, e città che brilla sull’alto del monte illuminando tutti i popoli” (Evangelii gaudium, 237), aiutando a stabilire “una sana relazione col creato” (Laudato si’, 218)». mente avete ricevuto, gratuitamente date” (Matteo, 10, 8)». John Henry Newman, che sin da giovane fu toccato dalla realtà affascinante di Dio e venne guidato dalla luce gentile della sua provvidenza, non può tacere sulla grazia ricevuta. Deve rendere testimonianza dell’invisibile amore di Dio, che, secondo lui, è più reale della realtà visibile, deve rendere testimonianza della grande speranza che riempie il suo cuore. Ha sperimentato la forza della verità che Benedetto XVI ha espresso meravigliosamente con queste parole: «La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio — il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora “sino alla fine”, “fino al pieno compimento” (cfr. Giovanni, 13, 1 e 19, 30). Chi viene toccato dall’amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe “vita”. Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la “vita eterna” — la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita» (Spe salvi, n. 27). di ANTONIO SPADARO A giudizio di Papa Francesco, il «processo sinodale» aperto dovrà sempre di più plasmare la vita della Chiesa (cfr. Evangelii gaudium 32; 244; 246). Papa Francesco lo aveva già annunciato chiaramente nell’intervista che ha concesso a «La Civiltà Cattolica» — pubblicata il 19 settembre 2013 — con queste parole: «Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del sinodo, perché quella attuale mi sembra statica». Il presente volume serve come materia per camminare insieme. Le riflessioni proposte ai lettori e alle lettrici hanno in comune una visione della teologia che è espressione di una Chiesa «ospedale da campo», che vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. Ogni autore ha espresso con parrēsía il frutto della propria ricerca che ha costituito, nella quasi totalità, il tessuto vivo e condiviso de «La Civiltà Cattolica», rivista fondata nel 1850 e dunque espressione di una lunga tradizione. Altra caratteristica del volume — che è propria della rivista — consiste nel fatto che tutti i saggi portano la firma di un gesuita. Il nostro «discutere» non vuole necessariamente «mettere in discussione», ma aprire uno spazio ampio di approfondimento teso a comprendere meglio. Il Vangelo non si cambia, piuttosto ci chiediamo: abbiamo già scoperto tutto? Su questa strada aperta di comprensione ci sono anche tentazioni, alle quali il Papa ha fatto riferimento alla fine del sinodo. Esse sono quella dell’irrigidimento ostile dentro la legge e ciò che conosciamo, che ci impedisce di capire che abbiamo ancora da imparare; quella di una misericordia buonista che fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; quella di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo e pesante, ma anche quella di trasformare il pane in pietra da scagliare contro i peccatori e i deboli. Esiste anche la tentazione di scendere dalla croce, per piegarsi allo spirito mondano, invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. E infine la tentazio- Ai fatebenefratelli il premio Principessa delle Asturie ne di considerarsi proprietari e padroni della fede o, dall’altra parte, di trascurare la realtà utilizzando un linguaggio per dire tante cose, ma in definitiva per non dire niente. La luce del cammino della Chiesa — lungo il quale le tentazioni citate non mancano — deve rimanere Cristo servo, che vuole una «Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani». Questo ha confermato il Mes- Ospedale da campo Pubblichiamo uno stralcio della prefazione scritta dal direttore della Civiltà Cattolica per presentare il volume La famiglia, ospedale da campo (Editrice Queriniana, Brescia, 2015, pagine 304, euro 22), che raccoglie articoli realizzati da vari autori del quindicinale dei gesuiti italiani. Nei diversi interventi si affrontano i temi caldi del dibattito sulla famiglia, nell’ottica di fornire un contributo qualificato in vista del prossimo sinodo. saggio della assemblea generale straordinaria del sinodo a tutte le famiglie: «Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno». E questo ha confermato la stessa Relatio Synodi al n.11, che è forse il cuore più evangelico di questo testo, esente da timidezze: occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono. Metto dunque il presente volume nelle mani del lettore, ribadendo il motivo per cui è stato pensato: esso è un contributo alla riflessione personale in occasione di un processo sinodale che ha vissuto già una prima tappa straordinaria, che all’uscita di questa raccolta si appresterà a vivere una seconda tappa, ma che poi proseguirà nel tempo, illuminato dall’anno santo della misericordia. Potremmo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo se queste pagine aiuteranno il lettore a pensare e a maturate — anche dialetticamente — una propria visione, nutrita dalla riflessione e dalla preghiera personale. OVIED O, 4. Per la sua esemplare opera assistenziale portata avanti da oltre cinque secoli, in particolare per il servizio svolto di recente dai centri in Liberia e in Sierra Leone durante il dilagare dell’epidemia di ebola, che ha provocato nell’ultimo anno la morte di diciotto confratelli e collaboratori nel loro lavoro accanto ai malati: è la motivazione con la quale l’O rdine ospedaliero di San Giovanni di Dio (fatebenefratelli) ha ricevuto mercoledì scorso a Oviedo, in Spagna, il prestigioso premio Princesa de Asturias de la Concordia 2015. Si tratta di uno degli otto riconoscimenti internazionali che la fondazione Principessa delle Asturie assegna ogni anno, dal 1981, per meriti in ambito tecnico, scientifico, culturale e umano. La scelta è ricaduta sui fatebenefratelli, oggi presenti in più di cinquanta Paesi, la cui opera si concentra su situazioni difficili quali appunto l’epidemia di ebola, la crisi migratoria e, in generale, la tutela delle persone più svantaggiate e a rischio di esclusione. I candidati erano ventisette, di ventisei diverse nazionalità. L’Ordine gestisce più di quattrocento fra centri, ospedali, servizi sociosanitari, e assiste circa ventisette milioni di persone. «È un premio — ha commentato il priore generale, fra Jesús Etayo Arrondo — che appartiene alle persone che frequentano la nostra istituzione nel mondo. Molti di loro sono a rischio di esclusione sociale, con un elevato livello di vulnerabilità e tra essi ci sono malati, non autosufficienti, senza fissa dimora, immigrati, persone con disabilità e anziani». Il premio consiste in una scultura di Joan Miró, in 50.000 euro in contanti, un diploma e un distintivo. Il settimanale spagnolo «Vida Nueva» lo ha definito il primo pellegrinaggio interreligioso della storia. Si concluderà domenica 6 settembre, dopo centosette chilometri, ed è stato intrapreso da circa centoventi fedeli cattolici, ebrei, buddisti, musulmani, bahai e induisti, lungo il cosiddetto «Cammino francese verso Santiago de Compostela». Partito il 30 agosto con lo slogan Un mondo differente è possibile, il pellegrinaggio — promosso da molteplici organismi delle religioni partecipanti — cerca di mostrare alla società che «le diverse vite spirituali sono un segno chiaro di dialogo, convivenza e sviluppo, dove le differenti religioni non separano ma uniscono». L’obiettivo è quindi «superare le frontiere delle diverse confessioni, aiutarsi reciprocamente nel rinnovamento spirituale, dando al mondo un messaggio chiaro di pace e di cambiamento». I partecipanti sono partiti dal monastero di Santa María de Carbajal, a León, e hanno poi intrapreso un percorso a piedi scandito da sei tappe che li condurrà (passando per Astorga, Ponferrada, Villafranca del Bierzo, Sarria, Portomarín, Melide e Arzúa) fino a Santiago de Compostela. Lungo il tragitto, varie attività, momenti di celebrazione, di riposo e di silenzio, rispettando sempre i tempi di preghiera di ciascuna fede. Non semplicemente un evento — sottolineano gli organizzatori — ma il «punto di origine per un nuovo processo di incontro interreligioso». Il Camino Francés in realtà comincia molto prima, a Saint-JeanPied-de-Port, sul versante francese dei Pirenei, ed è lungo complessivamente settecentosettanta chilometri. Il fascino di questo pellegrinaggio, «la sua fama, la sua capacità di attrarre viaggiatori grazie alla combinazione di bellezza e spiritualità, non cessa di conquistare nuovi territori», scrive Guillermo Altares su «El País» di giovedì 3 settembre, ricordando che l’ambasciatore giapponese in Spagna, Kazuhiko Koshikawa, ha appena firmato con il presidente della Xunta de Galicia, Alberto Núñez Feijóo, un accordo per gemellare la Ruta Jacobea (il tragitto compreso fra Oviedo e Santiago de Compostela che, a Melide, si unisce al Camino Francés) con un pellegrinaggio buddista e shintoista nell’isola di Shikoku, lo Shikoku-Henro. Va ricordato che anche il Giappone possiede una serie di vie di pellegrinaggio, il Kumano Kodō, nella penisola di Kii, considerato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ma adesso vuole approfittare della grande capacità di attrazione rappresentata da Santiago de Compostela (da quando, nel nono secolo, venne scoperta lì la tomba dell’apostolo Giacomo il Maggiore) per diffondere una testimonianza di fede che oltrepassa le frontiere. Sul Camino de Santiago film e libri. Nel 2010 la pellicola The Way, scritta e diretta da Emilio Estevez, ha attratto su quel sentiero migliaia di viaggiatori statunitensi. Vi ha dedicato un romanzo il brasiliano Paulo Coelho, un volume il francese Jean-Christophe Rufin, un racconto di viaggio il tedesco Hape Kerkeling. E il celebre storico e medievalista francese Jacques Le Goff ne parla in modo approfondito nel libro L’Europe est-elle née au Moyen Âge? (2003), spiegando il ruolo cruciale che il pellegrinaggio ha avuto nella costruzione dell’Europa. Altares, nell’articolo, cita una delle ultime interviste di Le Goff nella quale sottolineò che «la rete ecclesiastica, con i suoi vescovadi, monasteri, strutturò il continente da nord a sud». Radici europee, del mondo, si incontrano ovunque, qua e là, lungo il suo suggestivo itinerario e la “ricchezza” del Medioevo forse sarebbe stata monca senza il Cammino di Santiago, oggi trasformato in una strada planetaria, in un «marchio globale registrato», come titola il quotidiano spagnolo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 5 settembre 2015 Dal Wcc un incoraggiamento a ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili Scelte etiche e più convenienti Manifestazione in Orissa dei sopravvissuti alle violenze del 2008 Sette anni dopo in cerca di giustizia BHUBANESWAR, 4. Oltre 5.000 cristiani delle minoranze dalit e adivasi sono scesi nei giorni scorsi per le strade di Raikia, nel distretto di Kandhamal (Orissa), chiedendo che sia fatta giustizia e che ritorni la pace e l’armonia, a sette anni di distanza dall’ondata di violenza consumata ai danni dei cristiani. La manifestazione è stata organizzata dall’associazione Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj, che riunisce i sopravvissuti delle violenze e i loro famigliari. Quanto accaduto nel 2008 rappresenta una pagina ancora aperta. Secondo Mani Shankar Aiyar, ex ministro del Governo centrale, dimenticare quello che è accaduto «sarebbe un crimine» e dunque «giustizia deve essere fatta». Alcuni leader politici dell’opposizione hanno criticato il Bjp (Bharatiya Janata Party) sostenendo che il partito «punisce persone innocenti, invece di assicurare i criminali alla giustizia». Sembra dunque essere lontana la verità riguardo alle circostanze e ai moventi che portarono ai massacri del 2008. Quel che appare sicuro è che tutto ebbe inizio a partire dalla morte di Laxamananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, gruppo ultranazionalista indù), ucciso il 23 agosto da un grup- Governatorato della Città del Vaticano Ufficio delle poste e del telegrafo Annullo postale speciale in occasione dell’emissione del foglietto filatelico «I viaggi di Papa Francesco nel mondo — Anno 2014 (Terra Santa)» (2 settembre 2015) In occasione dell’emissione congiunta con Israele del foglietto filatelico «I viaggi di Papa Francesco nel mondo — Anno 2014 (Terra Santa)», le Poste Vaticane porranno in uso uno speciale annullo del quale si riproduce l’impronta: Nel bozzetto è riprodotta una vista della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, visitata dal Santo Padre Francesco il 25 maggio 2014. Completano l’annullo le scritte: «CITTÀ DEL VATICANO — ISRAELE», «PAPA FRANCESCO IN TERRASANTA», «POSTE VATICANE» e «DIE EMISSIONIS 2. IX . 2015». Il bozzetto è stato realizzato dall’Ufficio Filatelico e Numismatico. Il materiale filatelico da obliterare dovrà pervenire all’Ufficio Obliterazioni delle Poste Vaticane entro il 3 ottobre 2015. po maoista. Nonostante i guerriglieri ammisero subito la loro responsabilità, i radicali indù nei giorni seguenti scaricarono la colpa sui cristiani, da tempo criticati dal guru per il loro impegno sociale a favore di tribali e dalit (fuori casta) e accusati — insieme a vescovi, sacerdoti e suore — di fare proselitismo. Aiyar ha testimoniato quello che lui stesso ha vissuto durante quei drammatici giorni: «In qualità di ministro del Governo centrale, visitavo queste bellissime terre. Ora torno qui dopo i massacri e provo profondo dolore. Qui vivevano in pace diverse religioni e caste. Ma all’improvviso tantissime persone furono uccise o costrette alla fuga; case e chiese furono distrutte, donne stuprate o molestate. Ancora oggi molti sopravvissuti non sono riusciti a fare ritorno nelle proprie abitazioni». L’associazione Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj stima che almeno diecimila bambini siano stati costretti ad abbandonare gli studi. Inoltre, molte minorenni sono state vendute come schiave o come domestiche; la maggior parte di loro ha subìto violenze dai datori di lavoro, che le hanno costrette a non denunciare gli abusi. Tra coloro che hanno subìto la violenza dei persecutori anche padre Thomas Chellan, direttore del centro pastorale Divyiajyoti, e suor Meena Barwa, che era con lui al momento dell’aggressione. Entrambi sono ancora in vita, a differenza di padre Bernard Digal, morto in ospedale dopo mesi di sofferenze. Secondo l’ex ministro, «il Bjp non rappresenta la religione indù. Rappresenta invece la politica di odio in nome della religione». E questo allontana la verità. Il riferimento è ai sette innocenti condannati all’ergastolo per l’omicidio del guru Laxmanananda dopo una serie di rinvii e processi sulla cui legalità si sono avanzati molti dubbi. Oltretutto, afferma l’avvocato Dibakar Parichha, che segue le azioni legali delle vittime, «le proprietà dei cristiani hanno subito danni per un valore di novanta crore (dodici milioni di euro), ma le vittime hanno avuto risarcimenti solo per un totale di settanta lakh (circa novantaquattromila euro)». Ajaya Kumar Singh, attivista del Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj, che ha presieduto la manifestazione, ha sottolineato che «la pace non è assenza di violenza, ma vivere liberi dalla paura e dall’insicurezza. Abbiamo diritto all’uguaglianza, alla libertà e alla giustizia. Questi sono diritti universali e inalienabili». PARIGI, 4. «La logica della riduzione dell’utilizzo dei combustibili è semplicissima: se è sbagliato distruggere il clima, è anche sbagliato trarre profitto da questa pratica distruttiva». È quanto ha affermato il reverendo Henrik Grap, in rappresentanza del World Council of Churches (Wcc), durante una conferenza internazionale sulle riduzioni dell’utilizzo dei combustibili fossili che si è svolta lo scorso 1° settembre a Parigi. L’incontro, organizzato dallo stesso organismo ecumenico, ha avviato il dibattito sulla necessità di adeguare gli stili di vita e le logiche commerciali alla difesa dell’ambiente, in vista della conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop21) che si terrà a dicembre nella capitale francese. Durante l’incontro, quindi, i relatori — fra questi, oltre a Grap, Stephen Heintz, presidente della fondazione Rockefeller Brothers e James Randerson del quotidiano «The Guardian» — hanno focalizzato la loro attenzione sulla crescente tendenza a ridurre gli investimenti nel settore dei combustibili fossili, accusati di produrre emissioni nocive e indirettamente gli effetti più negativi del cambiamento climatico. Alla base del discorso c’è la consapevolezza che se tutte le riserve di combustibile fossile globale conosciute venissero bruciate, le emissioni prodotte superebbero del triplo il livello massimo che l’atmosfera potrebbe sopportare, provocando aumenti catastrofici del livello del mare, eventi meteorologici estremi e la rovina della pesca e dell’agricoltura. Secondo i partecipanti alla conferenza, per la sicurezza dell’umanità, questi combustibili fossili devono rimanere dove sono: nel terreno. Nel corso del suo intervento Grap ha spiegato che «i Paesi più Musulmani e cristiani protagonisti di un progetto in Niger Per convivere in pace NIAMEY, 4. Ripristinare un clima di serenità, prevenendo nuove violenze e rafforzando la coesistenza pacifica: è l’obiettivo del progetto «Rivalorizzazione del vivere insieme», finanziato in Niger dall’Unione europea e gestito dall’organizzazione non governativa statunitense Care International. Ne sono protagoniste le comunità musulmana (preponderante nel Paese africano) e cristiana che — otto mesi dopo le tragiche manifestazioni seguite alla pubblicazione delle caricature di Maometto su «Charlie Hebdo» (dieci morti, quarantacinque fra chiese, hotel, negozi, scuole cristiane saccheggiati e incendiati nella capitale Niamey e a Zinder) — cercano faticosamente di riannodare i fili del dialogo in una nazione attraversata da correnti radicali islamiste e vittima degli assalti dei miliziani di Boko Haram. Da allora, ha spiegato alla France Presse il responsabile del progetto, Ibrahim Niandou, sono stati organizzati incontri nelle otto regioni in cui è suddiviso il Niger, ai quali hanno partecipato «tutte le tendenze, comprese quelle più radicali. Cristiani e musulmani si confrontano per migliorare la convivenza pacifica, secondo le raccomandazioni della Bibbia e del Corano». Un centinaio fra ulema, pastori, teologi musulmani e cristiani erano presenti la settimana scorsa a un forum sull’argomento. Si tratta, aggiunge Boubacar Seydou Touré, rappresentante dell’Associazione islamica del Niger, di un dialogo urgente dopo i fatti di gennaio: «Le crisi sono spesso generate da leader religiosi attraverso i loro sermoni infuocati nelle moschee o nelle chiese», accusa, mentre, per il pastore Baradjé Diagou, gli scontri di gennaio «hanno accentuato la necessità di vivere insieme nella coesione. Se noi viviamo ognuno per sé, è molto difficile che possiamo comprenderci». Giorni fa, evangelici e cattolici si sono riuniti a uno stesso tavolo per discutere a loro volta di coesistenza pacifica. «Accettare di ascoltarci per progredire insieme è molto importante», ha osservato Boureima Kimso, presidente dell’Alleanza delle chiese e delle missioni evangeliche del Niger. Dopo le violenze, «i cristiani sono avvisati: per poter sopravvivere, sono obbligati a rivedere le proprie posizioni e a nuove condizioni». È così avvenuto che molti cristiani hanno guadagnato la simpatia di musulmani che prima mal li sopportavano, ricevendo anche una mano nella ricostruzione delle chiese distrutte. poveri dei Tropici stanno in particolare già sperimentando i disastri dei cambiamenti climatici, e le Chiese membro del World Council of Churches in tutto il mondo lo possono testimoniare. Ma le prolungate siccità e gli altri eventi meteorologici con effetti sempre più gravi stanno colpendo anche altre aree del mondo». «Il 1° settembre — ha spiegato Grap, che appartiene alla Church of Sweden — è l'inizio del tempo per la creazione, un tempo di preghiera per la creazione. L’intera famiglia ecumenica delle comunità di fede si riunisce per pregare e agire per un mondo più sostenibile. E anche il digiuno per la giornata per il clima unisce le comunità di fede nel mondo per un’azione efficace riguardo al cambiamento climatico. Queste — ha precisato ancora — non sono azioni senza senso. Pregare e digiunare ci spingono a intraprendere azioni concrete. Le nostre preghiere e le azioni devono essere coerenti, dobbiamo agire con i fatti». Secondo Grap, «la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili è una questione etica e in base a criteri etici il World Council of Churches ha deciso di non investire in questo settore. Le Chiese membro hanno fatto lo stesso; così come abbiamo fatto nelle nostre comunità in Svezia. E da quando c’è una riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili — ha spiegato il reverendo — le rendite dei nostri investimenti sono cresciute. Per il terzo anno consecutivo, il rendimento del nostro portafoglio totale ha superato i rendimenti del portafoglio di riferimento». Grap non ha dubbi nell’affermare che «il cambiamento climatico è la sfida principale per il nostro tempo»: occorre invece favorire «un vero cambiamento per evitare un futuro che sarà difficile per le nuove generazioni. La giustizia e l’equità sono parte della visione spirituale di cui sono portatrici le comunità di fede. La speranza è un primo passo per camminare sulla via della trasformazione». Grap ha continuato citando sant’Agostino: «La speranza ha due belle figlie. I loro nomi — ha detto il rappresentante del Wcc — sono la rabbia e il coraggio; la rabbia per il modo in cui stanno le cose, e il coraggio di fare in modo che non restino come sono». Le fedi — ha concluso — possono essere «portatrici della speranza e delle sue belle figlie, la rabbia, nei confronti delle disuguaglianze e dell’avidità che distrugge la terra e le opportunità per le generazioni future, e il coraggio per dare inizio alle trasformazioni necessarie per un mondo più giusto ed equo». Tawadros II agli egiziani L’acqua del Nilo deve essere usata con saggezza IL CAIRO, 4. Un invito all’uso razionale delle acque del Nilo è stato rivolto giovedì a tutti gli egiziani da Tawadros II, patriarca ortodosso copto. Il richiamo a razionalizzare lo sfruttamento delle risorse idriche del fiume più lungo del mondo è arrivato nell’omelia pronunciata dal patriarca durante la liturgia che ha celebrato nella chiesa della Vergine Maria e di Sant’Atanasio, nel sobborgo cairota di Heliopolis. Nella stessa occasione — riferisce Fides — Tawadros II ha dato la notizia di un protocollo di collaborazione sottoscritto dalla Chiesa copta e dalla Al Ahram Foundation finalizzato alla creazione di un sito web dedicato alla civiltà egiziana, in cui verrà messo in risalto anche il contributo fornito dai cristiani. Il patriarca punta a favorire anche la maturazione di una nuova sensibilità ecclesiale rispetto ai rischi connessi con lo sfruttamento non pianificato e disordinato delle risorse del territorio. In questa prospettiva, alcuni sacerdoti seguiranno dei corsi di formazione presso gli enti pubblici che gestiscono i sistemi di irrigazione alimentati dal Nilo, per poi contribuire a sensibilizzare la popolazione, anche attraverso le omelie e le catechesi, sulla necessità di salvaguardare dal punto di vista ecologico la grande arteria fluviale. In diverse occasioni il patriarca ortodosso copto ha sottolineato che la vita del Paese dipende dalla “buona salute” del Nilo, dove lungo il percorso è concentrata una buona parte della popolazione di città e villaggi. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 5 settembre 2015 pagina 7 Messa a Santa Marta Sparlare degli altri è terrorismo, è come buttare una bomba per distruggere le persone e poi darsela a gambe e mettere in salvo se stessi. Il cristiano per essere santo deve invece portare sempre «pace e riconciliazione» e per non cedere alla tentazione della chiacchiera deve arrivare anche a mordersi la lingua: sentirà male, avvertirà il gonfiore ma almeno non avrà scatenato qualche piccola o grande guerra. Sono i consigli suggeriti da Papa Francesco, insieme a un esame di coscienza, nella messa celebrata venerdì 4 settembre nella cappella della Casa Santa Marta. Mordersi la lingua Paolo, ha fatto subito notare il Papa, «nel brano della Lettera ai colossesi (1, 1520) dà come la carta d’identità di Gesù». Insomma, domanda l’apostolo, «questo Cristo, che noi abbiamo visto che era fra noi, chi è?». E dà questa risposta: «Lui è il primo, è il primogenito di Dio, è il primogenito di tutta la creazione. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e L’ottico Alessandro Spiezia racconta l’incontro con il Papa Due da lontano e uno da vicino Sorpresa nel centro di Roma per l’arrivo del Papa che si è presentato, alle ore 19 di giovedì 3 settembre, in un negozio di ottica di via del Babuino, a due passi da piazza del Popolo, per cambiare le lenti degli occhiali. Giunto in automobile, Francesco è entrato mentre all’esterno si è formato immediatamente un capannello di persone che hanno voluto testimoniargli tutto il loro affetto. Il gesto del Pontefice ha suscitato una grande eco sui media e sui social di tutto il mondo, specialmente negli Stati Uniti d’America dove è molto forte l’attesa per l’ormai imminente viaggio apostolico. Ad accogliere Francesco sono stati il proprietario Alessandro Spiezia, settantunenne, e il figlio Luca. Il Papa — ci ha riferito l’ottico che abbiamo incontrato nel suo laboratorio — non gli ha chiesto «una montatura nuova, ma solo di rifare le lenti, due per vedere da lontano e una da vicino, per non spendere troppo, se non il dovuto». Insomma, «il Papa si è comportato come un cliente qualunque, facendosi misurare la vista e spiegando nei dettagli di cosa avesse bisogno». Per Spiezia, in realtà, non è stata una sorpresa vera e propria: infatti ha già avuto modo di preparare gli occhiali per Francesco, «Proprio il paio che indossa ora» precisa. E di servire, in passato, anche Benedetto XVI, fornendogliene due paia («ma in quelle occasioni ricevetti la richiesta dal Vaticano e inviai le montature»). L’ottico ha avuto occasione di incontrare personalmente anche Giovanni Paolo II in Vaticano. «Fu — ricorda — quando, in qualità di presidente dell’Associazione italiana ottici, richiesi nel giorno di santa Lucia, nostra patrona, un’udienza col Pontefice», poco prima della sua morte. A Papa Wojtyła però Spiezia non dovette mai preparare lenti: «Lui era ambliope, con un occhio vedeva da vicino e con l’altro da lontano, in pratica con l’uno compensava le debolezze dell’altro, e quindi non ne aveva bisogno». Di recente monsignor Guillermo Javier Karcher aveva portato all’ottico un paio di occhiali di Francesco «per una riparazione del costo di cinque euro». Il Papa ha voluto assolutamente pagare e quella banconota — confida l’artigiano mostrandocela orgoglioso — «da allora la conservo gelosamente nel portafogli», così come nel negozio il posto d’onore è riservato alle fotografie che lo ritraggono insieme ai tre Pontefici. Ma «l’emozione di vedere entrare il Papa nel mio piccolo locale è stata indescrivibile» aggiunge Spiezia. Un incontro che ha fatto il giro del mondo: «Ho ricevuto telefonate da ovunque, anche una mail di felicitazioni dall’Australia». Dopo circa quaranta minuti, Francesco è uscito e, intrattenutosi per un po’ con le persone accorse per salutarlo, sempre in auto è rientrato in Vaticano. in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte le cose in Lui sussistono» e cioè «hanno consistenza». Ai colossesi Paolo «presenta Gesù-Dio: Gesù è Dio, è più grande. Prima di tutto è il primo, è il Creatore. Primogenito di tutti perché sia Lui ad avere il primato su tutte le cose». E continua su questa linea tanto che, ha detto il Pontefice, «sembra un po’ esagerato, no?» quando «parla di chi è Gesù». Sì, «questo Gesù, il Padre lo ha inviato perché “per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce”». Rilanciando le affermazioni di Paolo per spiegare «qual è stata l’opera di Gesù», Francesco ha suggerito due parole chiave: riconciliare e pacificare. Gesù, ci dice Paolo, «ha riconciliato l’umanità con Dio dopo il peccato e ha pacificato, ha fatto la pace con Dio». E così «la pace è opera di Gesù, del suo sangue, del suo lavoro, di quell’abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di croce». Dunque, ha proseguito Francesco, «Gesù ci ha pacificato e ci ha riconciliato». Tanto che «quando noi parliamo di pace o di riconciliazione — piccole paci, piccole riconciliazioni — dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione, quella che ha fatto Gesù». Con la consapevolezza che «senza di Lui non è possibile la pace; senza di Lui non è possibile la riconciliazione». E questo discorso vale ovviamente anche per «noi che tutti i giorni sentiamo notizie di guerre, di odio». Di più, «anche nelle famiglie si litiga». E così «il nostro compito è andare su quella strada» per essere «uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione». A questo punto il Papa ha suggerito un vero e proprio esame di coscienza: «Ci farà bene domandarci: io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?». E ha aggiunto: «Quante volte abbiamo sentito dire di una persona che ha una lingua di serpente, perché fa sempre quello che ha fatto il Con le cellule parrocchiali di evangelizzazione Un nuovo metodo di annuncio di MARIA NOEMI GRANDI L’aereo toccò il suolo della Florida in tarda mattinata. Sei persone lo attendevano in aeroporto. Tre di queste vollero raccontargli la gioia della loro conversione. «Un convertito si ascolta sempre» pensò, senza poter però nascondere, in cuor suo, dello stupore. Strano sentir parlare di conversioni in uomini già vicini a Dio. Quando gli fu chiesto di testimoniare la propria conversione, ricordò la sua prima comunione, la sua vocazione, la consacrazione sacerdotale, la nomina a parroco, ma non risultò purtroppo «né convinto né convincente». Perché quella situazione di disagio? «Perché in quel momento iniziava la mia conversione alla nuova evangelizzazione», dice oggi don Pier Giorgio Perini — don Pigi, come ormai tutti lo chiamano — classe 1929, della parrocchia di Sant’Eustorgio a Milano. Era il 6 novembre è la 1986. Ore 13. Miami. Due anni dopo, nel 1988, grazie a quel viaggio in Florida, fonda il sistema delle cellule parrocchiali di evangelizzazione. A distanza di ventisette anni, giungono oggi a una fase meravigliosamente importante della loro missione. A termine del Riconoscimentum ad experimentum iniziato nel 2009, lo scorso 15 aprile, il Pontificio Consiglio per i laici le ha approvate in via definitiva. E il 5 settembre le cellule di tutto il mondo sono attese in udienza da Papa Francesco. «È il riconoscimento dell’incidenza pastorale del metodo sulla Chiesa parrocchiale. Mi aspetto una carica e una giustificazione. Si tratta della Chiesa, che esiste per evangelizzare. Il 5 settembre è una tappa importante del cammino verso la nuova evangelizzazione»: queste le parole del fondatore. Il riconoscimento e l’incontro con il Pontefice rendono, infatti, questo sistema parte integrante della Chiesa esaltandone e legittimandone l’operato. Una cellula è un gruppo di laici che si incontra in una casa privata una volta ogni settimana. Una cura particolare è rivolta agli ultimi arrivati, per i quali si è di- numero di partecipanti, si moltiplicano per diffondersi nel mondo. I Paesi in cui le cellule esistono sono molti: Italia, Slovenia, Brasile, Colombia, Spagna, Repubblica Ceca, solo per citarne alcuni. Il Vangelo si annuncia fino in Cina. Preoccupanti dolci sonni sono invece quelli di molte nostre parrocchie sopite e inermi. Su questo don Pigi è irremovibile: «È un sonno letale che porta alla morte perché man mano si vede ridurre il numero di partecipanti, di coloro che sono attivi, innamorati di Cristo. Ci si adagia. C’è sempre del bene e molta buona fede nei pastori e nelle parrocchie ma, di fatto, non c’è crescita. Non è un tempo comune quello in cui viviamo, ma un tempo drammatico in cui si perde l’identità cristiana in modo spaventoso. Non si ha più il desiderio di conoscere Gesù Cristo e di innamorarsi di lui.» Innamorarsi. Di un «I piccoli ruscelli fanno i grandi fiumi»: amore coraggioso, rivignetta dedicata alle cellule parrocchiali dalla Croix schioso ma al tempo stesso fertile, sicuro e sposti a intraprendere dal princi- salvifico. Galleggiamo in acqua pio il cammino compiuto, alla che ristagna e non nutre alberi scoperta di Gesù come Signore che potrebbero fiorire mentre della vita. dall’altra parte del mondo le radiÈ il ringraziamento ad aprire ci della cristianità si rinvigoriscogli incontri. Se non si sanno co- no tra le crepe di una terra arida. gliere i doni di Dio e per questo Le parrocchie devono dunque ringraziare, come scoprire il suo recuperare il motivo fondante delamore? Cosa ha fatto Gesù per la loro esistenza. L’evangelizzame ma, soprattutto, cosa ho fatto zione è il fine primo della religioio per lui? Questo è il cardine del momento successivo, la condivi- ne cristiana e di conseguenza la sione di ciò che ognuno ha nel Chiesa non può dirsi tale se non cuore. In ultimo le preghiere d’in- evangelizza. Senza timori, perché gli ostacoli si dissolvono nella tercessione. Niente è più caratteristico di profondità delle intenzioni. «Andate in tutto il mondo, anuna cellula biologica per definire questa realtà. Le cellule nascono, nunciate il Vangelo a ogni creatucrescono e, raggiunto un certo ra» (Marco, 16, 15). Affinché si realizzi questa presa di coscienza, fondamentale è il ruolo dei preti. Le parole del fondatore sono spilli di verità. Ridestano. «Per prepararsi alla nuova evangelizzazione — sostiene — bisogna innanzitutto soffrire perché la situazione ci sta scappando dalle mani e, perciò, essere allerta e insoddisfatti del proprio essere sacerdoti. L’opera sacerdotale è quella che prepara evangelizzatori laici». Questo è l’obiettivo delle cellule, della nuova evangelizzazione. Così definita perché nuova nei metodi, nell’applicazione e, soprattutto, nell’entusiasmo. Interrogarsi, avvertendo l’ansia del tempo che sfugge, è determinante: «Cosa fa ognuno di noi per un mondo cristianizzato?» non smette di ripetere il fondatore delle cellule. La linfa vitale è l’affidamento completo al Signore, l’umiltà di riconoscersi inadempienti per comprendere quanto lunga sia ancora la strada e accarezzare così i cuori di coloro i quali non conoscono Dio o se lo sono dimenticato, affinché scorgano nella sua Parola lo spiraglio di luce per rivoluzionare la loro vita. Chi si è lasciato scottare dalla fiamma che arde negli occhi di questo anziano testimone non potrà dimenticare la forza di una vita donata al Signore, riposta nelle sue mani per evangelizzare, l’infusione d’amore, la carica a mettersi in cammino. Che il riconoscimento del Pontificio Consiglio per i laici e l’incontro del 5 settembre con Papa Francesco rappresentino il gioioso inizio di una lunga e ricca storia. L’invito è, dunque, a riscoprire l’evangelizzazione per essere veri cristiani, attivi in prima persona. Laici intimamente evangelizzatori. Cristiani capaci di accendere nel mondo il fuoco della fede così come quando la Chiesa, perseguitata ma innamorata, ha mosso i suoi primi passi. serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace». Ma questo, ha messo in guardia il Pontefice, «è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, non seminare la pace». Francesco ha proseguito nella sua proposta di esame di coscienza con una domanda che, ha detto, sarebbe bene porsi tutti i giorni: «Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?». E a nulla vale provare a giustificarsi dicendo «ma alle volte si devono dire le cose perché quello e quella…». In realtà, ha rimarcato, «con questo atteggiamento tu cosa semini?». Tornando, così, al passo paolino il Papa ha ripetuto che Gesù, «il Primo, è venuto da noi per pacificare, per riconciliare». Di conseguenza, «se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa!». Però, ha avvertito, «dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere». E sulle chiacchiere il Papa ha voluto soffermarsi chiedendo «cosa sono» veramente. Apparentemente, ha spiegato, sono «niente»: consistono nel «dire una parolina contro un altro o dire una storia» del tipo: «Questo ha fatto…». Ma in realtà non è così. «Fare chiacchiere è terrorismo — ha affermato Francesco — perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene!». Riprendendo, di nuovo, il brano della Lettera di Paolo, il Pontefice ha ricordato che in Gesù sono «riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce». Dunque «il prezzo è alto» ha affermato. E così «ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro» il consiglio giusto è «mordersi la lingua!». E ha insistito: «Io vi assicuro che se voi fate questo esercizio di mordervi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere!». Prima di continuare questo sacrificio — «questo è il sacrificio di riconciliazione, qui viene il Signore e noi facciamo lo stesso che nel Calvario» — Francesco ha così pregato: «Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non m’importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri». E ha concluso invitando a ringraziare il Signore per averci riconciliato col Padre, perdonato i peccati, dandoci «la possibilità di avere pace nelle nostre anime». A Gerona la beatificazione di tre martiri della persecuzione del 1936 Fino alla fine accanto ai malati rispondere eroicamenTre martiri, tre vittime te al pressante appello della sanguinosa perdel Signore insieme a secuzione religiosa che suor Josefa Monrabal colpì la Spagna nelMontaner che venne l’estate 1936. L’azione uccisa insieme a lei a preziosa di Fidela OlXeresa. ler, Josefa Monrabal Josefa era molto più Mantaner e Facunda giovane, essendo nata Margenat — che sabaa Gandía il 3 giugno to 5 settembre il cardi1901. Pia e caritatevole nale Angelo Amato, con le sue compagne e prefetto della Congrecon i poveri, sin da gazione delle cause piccola aveva sentito il dei santi, beatifica in desiderio di consacrarrappresentanza di Pasi, ma la situazione fapa Francesco nella miliare glielo aveva cattedrale di Gerona — Fidela Oller inizialmente impedito. si è dipanata nelle corEntrata nell’istituto di sie degli ospedali e san Giuseppe di Geronelle case dove malati na nel 1928, facendo e sofferenti cercavano la prima professione assistenza e conforto. nel 1931 e quella perSuore dell’istituto petua nel 1934. Era delle religiose di san stata inviata nella coGiuseppe di Gerona, munità di Villareal erano tutte e tre infer(Castellón) con il miere, completamente compito di prestare coinvolte nella missioassistenza a quei malane del loro istituto. ti che servì sempre Esso infatti — oggi con amore e dediziopresente in Europa, ne. Per lei ogni cosa Africa, America del aveva un grande valosud e America centrale re. Ripeteva: «Vorrei — fu fondato nel 1870 essere martire, offrire dalla venerabile María la mia vita per la conGay Tibau con il cariJosefa Monrabal Montaner versione dei peccatori sma di dare assistenza se questa è la volontà agli infermi, alleviare di Dio». All’inizio il loro dolore e semidella persecuzione, nel nare la pace nei loro 1936, insieme alle sue cuori smarriti, ponenconsorelle venne do l’opera sotto la espulsa dalla comunità protezione di san Giue trovò rifugio nella seppe. casa del fratello a Fidela Oller era naGandía. Lì fu arrestata ta l’11 settembre 1869 a e condotta al martirio Bañolas. Aveva sentito insieme a madre Fidela vocazione a 17 anni la. Aveva soli 35 anni. e nel 1882 aveva emesFacunda Margenat so i voti tra le suore di era invece originaria san Giuseppe di Gerodi Gerona: vi era nata na. Prestò servizio in il 6 settembre 1876. vari ospedali prendenEntrata nell’istituto dosi cura dei malati nel 1894, aveva fatto la con grande amore e professione nel 1896. carità. Fu superiora in Facunda Margenat Era stata in diverse varie comunità, in parcomunità, sempre al ticolare fu fondatrice e superiora della comunità di Gandía (Va- servizio dei malati, distinguendosi come lencia), distinguendosi per il dono del una sorella esemplare, piena di amore e consiglio, per la sua vicinanza alla gente, compassione. Durante la persecuzione, per una vita contrassegnata da pietà, nel 1936 si trovava a Barcellona: vedendo prudenza e semplicità. Un vero esempio il disordine che regnava, disse alle consoper le consorelle. relle: «Desidero offrire la mia vita per la Perseguitata come superiora e come conversione di costoro che perseguitano religiosa, venne arrestata e torturata lungo la strada di Xeresa la notte del 29 Dio e la Chiesa». Quando la sua comuagosto 1936, mentre tutta la comunità era nità fu espulsa, lei si rifugiò nella casa di stata condotta in carcere a Valencia dove un malato che stava assistendo. Fu però le consorelle vennero arrestate. Quella di denunciata dalla portiera dello stabile e suor Fidela è stata una vita in prepara- lì la cercarono per condurla al martirio, zione continua che la portò a 67 anni, a che avvenne tra il 26 e il 27 agosto. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 Nel centenario della facoltà teologica dell’Università cattolica argentina il Papa ricorda il Vaticano sabato 5 settembre 2015 II Il fiume vivo E sottolinea il collegamento dinamico fra tradizione ricevuta e realtà concreta In occasione del congresso internazionale di teologia, svoltosi dal 1° al 3 settembre a Buenos Aires nel centenario della facoltà teologica dell’Università cattolica argentina (Uca), Papa Francesco ha inviato ai partecipanti il messaggio che pubblichiamo di seguito in una traduzione dallo spagnolo. Mi rallegro di potermi collegare con voi in questo evento così importante per la nostra Chiesa in Argentina. Grazie per avermi dato l’opportunità di unirmi a questa azione di grazie nel celebrare i cento anni della Facoltà di Teologia della Uca, vincolandoli ai cinquanta anni del Concilio Vaticano II. Vi siete riuniti per tre giorni facendo di questa festa un’occasione per ricordare, per recuperare la memoria del passaggio di Dio per la nostra vita ecclesiale e fare di tale passaggio un motivo di ringraziamento. La memoria ci permette di ricordare da dove veniamo e, così facendo, ci uniamo ai tanti che hanno tessuto questa storia, questa vita ecclesiale nelle sue molteplici vicissitudini, e certo non sono state poche. Memoria che ci spinge a scoprire, nel mezzo del cammino, che il Popolo fedele di Dio non è stato solo. Questo po- La sede della facoltà di teologia dell’Uca polo in cammino ha sempre potuto contare sullo Spirito che lo guidava, lo sosteneva, lo spronava dal di dentro e dal di fuori. Questa memoria grata che oggi diventa riflessione, anima il nostro cuore. Ravviva la nostra speranza per suscitare oggi la domanda che i nostri padri si sono fatti ieri: Chiesa, che cosa dici di te stessa? Non celebriamo e riflettiamo due eventi minori, siamo bensì di fronte a due momenti di forte coscienza ecclesiale. Cento anni della Facoltà di teologia è celebrare il processo di maturazione di una Chiesa particolare. È celebrare la vita, la storia, la fede del Popolo di Dio che cammina in questa terra e che ha cercato di “intendersi” e di “dirsi” a partire dalle proprie coordinate. È celebrare i cento anni di una fede che cerca di riflettere di fronte alle peculiarità del Popolo di Dio che vive, crede, spera e ama in terra argentina. Una fede che cerca di radicarsi, d’incarnarsi, di rappresentarsi, d’interpretarsi di fronte alla vita del suo popolo e non al margine. Mi sembra di grande importanza e di lucida accentuazione unire questo evento ai cinquanta anni dalla chiusura del Vaticano II. Non esiste una Chiesa particolare isolata, che possa dirsi sola, come se pretendesse di essere padrona e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito. Non esiste una comunità che abbia il monopolio dell’interpretazione o dell’inculturazione. Come, all’opposto, non esiste una Chiesa Universale che dia le spalle, ignori, si disinteressi della realtà locale. La cattolicità esige, chiede questa polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire questa tensione va contro la vita dello Spirito. Ogni tentativo, ogni ricerca di ridurre la comunicazione, di rompere il rapporto tra la Tradizione ricevuta e la realtà concreta, mette in pericolo la fede del Popolo di Dio. Considerare insignificante una delle due istanze è metterci in un labirinto che non sarà portatore di vita per la nostra gente. Rompere questa comunicazione ci porterà facilmente a fare della nostra visione, della nostra teologia un’ideologia. Sono quindi lieto che la celebrazione dei 100 anni della Facoltà di Teologia vada di pari passo con la celebrazione dei cinquanta anni del Concilio. Il locale e l’universale si incontrano per nutrirsi, per stimolarsi nel carattere profetico di cui ogni Facoltà di Teologia è portatrice. Ricordiamo le parole di Papa Giovanni a un mese dall’inizio del Concilio: «Per la prima volta nella storia i Padri del Concilio apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi» (Discorsi-Messaggi-Colloqui, AAS 54, 1962, 520528). Poi sottolinea che uno dei principali contributi dei Paesi in via di sviluppo in quel contesto universale sarebbe stata la loro visione della Chiesa, e continua così: «La Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». C’è un’immagine proposta da Benedetto XVI che mi piace molto. Riferendosi alla tradizione della Chiesa afferma che «non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti» (Udienza generale, 26 aprile 2006). Questo fiume irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura. In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova (cfr. Evangelii gaudium, n. 115). Tutto ciò ci porta a riflettere sul fatto che non si è cristiani allo stesso modo nell’Argentina di oggi e nell’Argentina di cento anni fa. In India e in Canada non si è cristiani allo stesso modo che a Roma. Pertanto uno dei compiti principali del teologo è di discernere, di riflettere: che cosa significa essere cristiani oggi? “nel qui e ora”; come riesce quel fiume delle origini a irrigare oggi queste terre e a rendersi visibile e vivibile? Come rendere viva la giusta espressione di san Vincenzo di Lerino: «ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorio primo, cap. XXIII). In questa Argentina, di fronte alle molteplici sfide e situazioni che ci presentano la multidiversità esistente, l’interculturalità e gli effetti di una globalizzazione uniformante che relativizza la dignità delle persone facendone un bene di scambio; in questa Argentina, ci viene chiesto di ripensare come il cristianesimo si fa carne, come il fiume vivo del Vangelo continua a rendersi presente per saziare la sete del nostro popolo. E per affrontare questa sfida, dobbiamo superare due possibili tentazioni: condannare tutto, coniando la già nota frase «il passato è sempre migliore» e rifugiandoci in conservatorismi o fondamentalismi; oppure, al contrario, consacrare tutto, negando autorità a tutto ciò che non ha “sapore di novità”, relativizzando tutta la saggezza coniata dal ricco patrimonio ecclesiale. Per superare queste tentazioni, il cammino è la riflessione, il discernimento, prendere molto sul serio la Tradizione ecclesiale e molto sul serio la realtà, facendole dialogare. In questo contesto penso che lo studio della teologia assuma grandissima importanza. Un servizio insostituibile nella vita ecclesiale. Non sono poche le volte in cui si genera un’opposizione tra teologia e pastorale, come se fossero due realtà opposte, separate, che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. Non sono poche le volte in cui identifichiamo dottrinale con conservatore, retrogrado; e, all’opposto, pensiamo la pastorale a partire dall’adattamento, la riduzione, l’accomodamento. Come se non avessero nulla a che vedere tra loro. In tal modo si genera una falsa opposizione tra i cosiddetti “pastoralisti” e gli “accademicisti”, quelli che stanno dalla parte del popolo e quelli che stanno dalla parte della dottrina. Si genera una falsa opposizione tra la teologia e la pastorale; tra la riflessione credente e la vita credente; la vita, allora, non ha spazio per la riflessione e la riflessione non trova spazio nella vita. I grandi padri della Chiesa, Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio, solo per citarne alcuni, furono grandi teologi perché furono grandi pastori. Uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare questo divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente. Non posso dimenticare le parole di Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio quando disse: «Una cosa è la sostanza dell’antica dottrina del Deposito della Fede, e altra è la forma con cui essa è presentata». Dobbiamo affrontare il lavoro, l’arduo lavoro di distinguere il messaggio di Vita dalla sua forma di trasmissione, dai suoi elementi culturali in cui un tempo è stato codificato. Una teologia «risponde agli interrogativi di un tempo e non lo fa mai in altro modo che negli stessi termini, poiché sono quelli che vivono e parlano gli uomini di una società» (Michel de Certeau, La debilidad del creer, 51). Non fare questo esercizio di discernimento porta in un modo o nell’altro a tradire il contenuto del messaggio. Fa sì che la Buona Novella smetta di essere nuova e soprattutto buona, divenendo una parola sterile, svuotata di tutta la sua forza creatrice, risanante e risuscitante, e mettendo così in pericolo la fede delle persone del nostro tempo. La mancanza di questo esercizio teologico ecclesiale è una mutilazione della missione che siamo invitati a realizzare. La dottrina non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi. All’opposto, la dottrina cristiana ha volto, ha corpo, ha carne, si chiama Gesù Cristo ed è la sua Vita a venire offerta di generazione in generazione a tutti gli uomini e in Fondata da Benedetto XV Era il 23 dicembre 1915 quando, su richiesta dei vescovi argentini, per volontà di Papa Benedetto XV vennero erette le facoltà di teologia e di filosofia presso il seminario maggiore di Buenos Aires. Durante i primi quarant’anni di attività l’insegnamento fu affidato alla Compagnia di Gesù, dopodiché passò al clero dell’arcidiocesi. Nel frattempo, sempre per iniziativa dell’episcopato, nel 1958 venne fondata la Universidad Católica Argentina Santa María de los Buenos Aires per rispondere — si legge nella dichiarazione dell’epoca — al «mandato di Gesù Cristo, di insegnare a tutte le genti le verità e i precetti contenuti nella divina rivelazione». Due anni dopo, per decreto della Santa Sede, l’università fu riconosciuta come pontificia e la facoltà di teologia venne a essa integrata come la prima delle sue facoltà. Come ha sottolineato il decano della facoltà, Fernando José Ortega, l’acquisizione di un profilo accademico ha garantito un decisivo passo in avanti nel rapporto tra teologia, società e mondo della cultura. Uno stile che si è ulteriormente rinnovato dopo il concilio Vaticano II dal quale i professori della facoltà hanno tratto le linee guida per il loro impegno successivo. Proprio all’assise conciliare fa diretto riferimento il convegno organizzato in Giacomo occasione del centenario della facoltà e che si è svolto all’università dal 1° al 3 settembre: «El Concilio Vaticano II. Memoria, presente y perspectivas». Oltre agli interventi del rettore, arcivescovo Víctor Manuel Fernández, e del decano, relatori principali sono stati il cardinale Walter Kasper, e gli studiosi gesuiti Mario França Miranda e Santiago Madrigal. Attualmente l’insegnamento nella facoltà è affidato a novantasei professori organizzati in venticinque cattedre. Centoventisei sono gli studenti che, nell’anno accademico, stanno seguendo un corso di laurea. Isabella Ducrot, «Vaticano II» (2012) tutti i luoghi. Custodire la dottrina esige fedeltà a quanto ricevuto e — al tempo stesso — che si tenga conto dell’interlocutore, del destinatario, che lo si conosca e lo si ami. Questo incontro tra dottrina e pastorale non è opzionale, è costitutivo di una teologia che intende essere ecclesiale. Le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi c’interrogano. Tutto ciò ci aiuta ad approfondire il mistero della Parola di Dio, Parola che esige e chiede che si dialoghi, che si entri in comunione. Non possiamo quindi ignorare la nostra gente al momento di fare teologia. Il Nostro Dio ha scelto questo cammino. Egli si è incarnato in questo mondo, attraversato da conflitti, ingiustizie, violenze; attraversato da speranze e sogni. Pertanto, non ci resta altro luogo dove cercarlo che questo mondo concreto, questa Argentina concreta, nelle sue strade, nei suoi quartieri, nella sua gente. Lì Egli sta già salvando. Le nostre formulazioni di fede sono nate nel dialogo, nell’incontro, nel confronto, nel contatto con le diverse culture, comunità, nazioni, situazioni che richiedevano una maggiore riflessione di fronte a quanto non esplicitato prima. Perciò gli eventi pastorali hanno un valore considerevole. E le nostre formulazioni di fede sono espressione di una vita vissuta e ponderata ecclesialmente. In un cristiano c’è qualcosa di sospetto quando smette di ammettere il bisogno di essere criticato da altri interlocutori. Le persone e le loro diverse conflittualità, le periferie, non sono opzionali, bensì necessarie per una maggiore comprensione della fede. Perciò è importante chiedersi: A chi stiamo pensando quando facciamo teologia? Quali persone abbiamo davanti? Senza questo incontro con la famiglia, con Manzù, «Papa Giovanni con camauro» (1960) il Popolo di Dio, la teologia corre il grande rischio di diventare ideologia. Non ci dimentichiamo, lo Spirito Santo nel popolo orante è il soggetto della teologia. Una teologia che non nasce nel suo seno ha l’olezzo di una proposta che può essere bella, ma non reale. Questo ci rivela la sfida insita nella vocazione del teologo, quanto sia stimolante lo studio della teologia e la grande responsabilità che si ha nel realizzarlo. Al riguardo mi permetto di chiarire tre tratti dell’identità del teologo: 1. Il teologo è in prima istanza un figlio del suo popolo. Non può e non vuole disin- teressarsi dei suoi. Conosce la sua gente, la sua lingua, le sue radici, le sue storie, la sua tradizione. È l’uomo che impara a valorizzare ciò che ha ricevuto, come segno della presenza di Dio, poiché sa che la fede non gli appartiene. L’ha ricevuta gratuitamente dalla Tradizione della Chiesa, grazie alla testimonianza, alla catechesi e alla generosità di tanti. Questo lo porta a riconoscere che il Popolo credente nel quale è nato ha un significato teologico che non può ignorare. Sa di essere “innestato” in una coscienza ecclesiale e s’immerge in quelle acque. 2. Il teologo è un credente. Il teologo è qualcuno che ha fatto esperienza di Gesù Cristo e ha scoperto che senza di Lui non può più vivere. Sa che Dio si rende presente, come parola, come silenzio, come ferita, come guarigione, come morte e come resurrezione. Il teologo è colui che sa che la sua vita è segnata da questa impronta, da questo marchio, che ha lasciato aperte la sua sete, la sua ansia, la sua curiosità, la sua esistenza. Il teologo è colui che sa di non poter vivere senza l’oggetto/soggetto del suo amore e consacra la sua vita per poterlo condividere con i suoi fratelli. Non è teologo chi non può dire: «non posso vivere senza Cristo», e pertanto, chi non vuole farlo cerca di sviluppare in se stesso gli stessi sentimenti del Figlio. 3. Il teologo è un profeta. Una delle grandi sfide poste nel mondo contemporaneo non è solo la facilità con cui si può prescindere da Dio ma, socialmente, si è fatto anche un ulteriore passo. La crisi attuale s’incentra sull’incapacità che hanno le persone di credere in qualsiasi altra cosa oltre se stesse. La coscienza individuale è diventata la misura di tutte le cose. Ciò genera una crepa nelle identità personali e sociali. Questa nuova realtà provoca tutto un processo di alienazione dovuto alla carenza di passato e pertanto di futuro. Per questo il teologo è il profeta, perché mantiene vivi la coscienza del passato e l’invito che viene dal futuro. È l’uomo capace di denunciare ogni forma alienante perché intuisce, riflette nel fiume della Tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa, la speranza alla quale siamo chiamati. E a partire da questo sguardo, invita a risvegliare la coscienza sopita. Non è l’uomo che si conforma, che si abitua. Al contrario, è l’uomo attento a tutto quello che può danneggiare e distruggere i suoi. Perciò, c’è un solo modo di fare teologia: in ginocchio. Non è solamente un atto pietoso di preghiera per poi pensare la teologia. Si tratta di una realtà dinamica tra pensiero e preghiera. Una teologia in ginocchio è osare pensare pregando e pregare pensando. Comporta un gioco, tra il passato e il presente, tra il presente e il futuro. Tra il già e il non ancora. È una reciprocità tra la Pasqua e tante vite non realizzate che si domandano: Dov’è Dio? È santità di pensiero e lucidità orante. È, soprattutto, umiltà che ci consente di porre il nostro cuore, la nostra mente in sintonia con il “Deus semper maior”. Non dobbiamo aver paura di metterci in ginocchio davanti all’altare della riflessione e di farlo con «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et spes, n. 1), dinanzi allo sguardo di Colui che fa nuove tutte le cose (cfr. Ap 21, 5). Allora c’inseriremo sempre più in quel popolo credente che profetizza, popolo credente che annuncia la bellezza del Vangelo, popolo credente che «non maledice, bensì è accogliente e sa realizzare la vita benedicendola. Cerca così una corrispondenza creatrice con i problemi della nostra epoca» (Olivier Clement, Un ensayo de lectura ortodoxa de la Constitución, 651).