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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIV n. 291 (46.833)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 21 dicembre 2014
.
Don Oreste Benzi ricordato dal Pontefice nell’udienza alla comunità fondata dal sacerdote romagnolo
A gennaio i primi provvedimenti di rimozione dell’embargo
Schiavitù e liberazione
Obama fissa le tappe
del disgelo con Cuba
La miseria più pericolosa è quella di chi ha la presunzione di poter fare a meno di Dio
Parlano «di schiavitù e di liberazione», di «egoismo» e di «generosità»
le voci di quanti, grazie alla comunità Papa Giovanni XXIII, hanno ritrovato speranza e voglia di riscatto da
una vita di emarginazione e degrado. Da quelle testimonianze — risuonate nell’Aula Paolo VI sabato mattina, 20 dicembre — ha preso spunto
Papa Francesco per denunciare «le
tante forme di povertà da cui purtroppo è ferito il nostro mondo». E
soprattutto per ricordare che «la mi-
seria più pericolosa, causa di tutte le
altre», è «la lontananza da Dio, la
presunzione di poter fare a meno di
lui». Questa — ha sottolineato — «è
la miseria cieca di considerare scopo
della propria esistenza la ricchezza
materiale, la ricerca del potere e del
piacere e di asservire la vita del prossimo al conseguimento di questi
obiettivi».
Di fronte a migliaia di volontari
dell’associazione fondata da don
Oreste Benzi il Pontefice ha richia-
mato insistentemente la testimonianza del sacerdote riminese. Il cui
esempio — ha affermato — dimostra
che «la fede sposta davvero le montagne dell’indifferenza e dell’apatia,
del disinteresse e dello sterile ripiegamento su sé stessi. La fede apre la
porta della carità facendoci desiderare di imitare Gesù, ci incita al bene,
fornendoci il coraggio per agire».
L’amore di don Benzi «per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli
abbandonati — ha evidenziato Fran-
cesco — era radicato nell’amore a
Gesù crocifisso, che si è fatto povero
e ultimo per noi. La sua coraggiosa
determinazione nel dare vita a tante
iniziative di condivisione in diversi
Paesi sgorgava dal fiducioso abbandono alla Provvidenza di Dio; scaturiva dalla fede in Cristo risorto, vivo
e operante, capace di moltiplicare le
poche forze e le risorse disponibili,
come un tempo moltiplicò i pani e i
pesci per sfamare le folle».
Proprio dal desiderio di coinvolgere gli adolescenti — ha ricordato il
Papa — nacque nel sacerdote l’idea
di organizzare per loro un «incontro
simpatico con Cristo», ossia «un incontro vitale e radicale con lui come
eroe e amico, mediante testimonianze di vita vissuta, che mostrassero in
pienezza il messaggio cristiano, ma
in modo gioioso e persino scherzoso». Fu così che prese vita la comunità, oggi presente in 34 Paesi con le
sue case-famiglia, le cooperative sociali ed educative, le case di preghiera, i servizi per accompagnare le maternità problematiche e diverse altre
iniziative. Una realtà, ha rimarcato il
Pontefice, sostenuta dalla Provvidenza e dalla «vitalità del carisma del
fondatore», il quale amava ripetere
che «per stare in piedi bisogna stare
in ginocchio».
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WASHINGTON, 20. «Le cose a Cuba non cambieranno dall’oggi al
domani e continueremo a pressare
sul fronte delle riforme democratiche. Ma siamo di fronte a una
grande opportunità». Così si è
espresso, ricevendo ieri la stampa
per gli auguri di fine anno, il presidente degli Stati Uniti, Barack
Obama, in particolare riguardo alla
questione della tutela dei diritti
umani, specificando di comprendere e condividere le preoccupazioni
degli attivisti in questo campo.
L’annuncio della normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, dato tre giorni fa contemporaneamente al presidente cubano Raúl Castro, è stato l’argomento principale
dell’incontro. Obama ha confermato l’intenzione di accelerare i passi
necessari a concretizzarlo e non ha
mostrato timore per la possibilità
che il partito repubblicano, maggioritario al Congresso, possa bloccare, come annunciato da diversi
suoi esponenti, la sua storica decisione di porre fine a un embargo e
a un conflitto ideologico durati oltre mezzo secolo.
Al riguardo, la Casa Bianca ha
indicato che intende varare già
all’inizio del 2015 i primi decreti
esecutivi che allentino la morsa
delle sanzioni politiche ed economiche. Il dipartimento del Tesoro
ha pronte le nuove regole per facilitare le esportazioni agricole e ristabilire le relazioni bancarie tra i
due Paesi. Quello del Commercio
Duecentocinquanta morti e novantamila nuovi sfollati per le violenze nel Nord Kivu
Senza pace l’est congolese
KINSHASA, 20. Oltre duecento cinquanta morti e quasi altri novantamila sfollati sono le drammatiche
conseguenze dei massacri che stanno
insanguinando la regione del Nord
Kivu e in generale l’est della Repubblica Democratica del Congo,
da decenni teatro di una delle maggiori e irrisolte crisi internazionali.
In un comunicato dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati
(Unhcr) si esprime estrema preoccupazione «per le uccisioni e le altre
gravi violazioni dei diritti umani ai
danni dei civili a Beni, nella regione
del Nord Kivu». L’Unhcr ricorda
che la zona è colpita ogni settimana
Storia architettonica
di un’istituzione universale
Quando si viaggiava
per biblioteche
PAOLO VIAN
A PAGINA
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da violenze, abusi e attacchi con
machete sferrati da parte di gruppi
armati che hanno provocato finora
256 vittime, tra le quali diversi bambini. Le popolazioni dell’area hanno
bisogno di aiuti umanitari immediati. «Se non si interviene subito, questa situazione provocherà livelli crescenti di malnutrizione che potrebbe
diventare vera e propria carestia»,
ha detto il portavoce dell’Unhcr,
Adrian Edwards. Le persone sono
costrette a vivere nelle scuole e nelle
chiese. Inoltre, sono stati distribuiti
volantini che minacciano nuovi attacchi e che stanno terrorizzando la
popolazione, innescando così altre
fughe verso città più grandi. I gruppi armati cercano infatti di terrorizzare la popolazione in modo tale da
farla scappare e avere libero accesso
alle importanti risorse minerarie della regione, da sempre causa dei conflitti che la lacerano.
L’Unhcr esorta quindi il governo
della Repubblica Democratica del
Congo e i caschi blu della Monusco, la missione dell’Onu in territorio congolese, a fare di più per proteggere la popolazione civile e a ga-
Miliziani di uno dei gruppi armati dell’est congolese (Afp)
rantire la sicurezza delle forniture
umanitarie. A partire da ottobre,
nell’area di Beni ci sono state diverse incursioni dei ribelli delle Forze
alleate democratiche - Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu), uno dei tanti gruppi
armati, locali e stranieri, che deva-
stano da decenni l’est congolese.
Tuttavia, l’Unhcr ritiene difficile individuare quale gruppo sia responsabile degli attacchi in questa zona
colpita da un altro «grado di illegalità», e con «vari gruppi ribelli con
alleanze mutevoli», come ha ricordato Karin de Gruijl, la responsabile
delle attività dell’agenzia dell’O nu
nell’area.
Pochi giorni fa, tra l’altro, è fallita
un’operazione concordata tra i Governi di Kinshasa e di Kampala per
il rimpatrio di un migliaio di ex
combattenti della ribellione congolese del Movimento del 23 marzo
(M23) riparati in Uganda un anno
fa, dopo la sconfitta inflitta loro dalle forze congiunte dell’esercito congolese e della Monusco. Un migliaio di uomini dell’M23 sono fuggiti dal campo che li accoglieva a
Bihanga, durante un’operazione che
avrebbe dovuto portare appunto al
loro rimpatrio. «Hanno detto di temere per la loro sicurezza se fossero
stati rimpatriati» ha comunicato il
portavoce dell’esercito ugandese,
Paddy Ankunda.
Le credenziali degli ambasciatori dei Paesi Bassi, della Repubblica di San Marino e di Argentina
Bandiere esposte al balcone
di una casa all’Avana (LaPresse/Ap)
sta già lavorando a un provvedimento per eliminare una serie di limiti alle esportazioni, a partire da
attrezzature per costruzioni, strumenti per telecomunicazioni, ricambi per auto e prodotti di bellezza. È previsto che a questi acquisti siano autorizzati privati e
non imprese di proprietà del Governo cubano.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Altezza Reale Jaime Bernardo
Principe de Bourbon de Parme,
Ambasciatore dei Paesi Bassi,
per la presentazione delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Clelio Galassi, Ambasciatore della Repubblica di San Marino, per la
presentazione delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Eduardo
Félix Valdés, Ambasciatore di
Argentina, per la presentazione
delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha nominato
Camerlengo di Santa Romana
Chiesa Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale
Jean-Louis Tauran, Presidente
del Pontificio Consiglio per il
Dialogo Interreligioso, e Vice
Camerlengo di Santa Romana
Chiesa Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Giampiero
Gloder, Arcivescovo titolare di
Telde, Nunzio Apostolico, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
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Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di Ciudad Juárez
(Messico), presentata da Sua
Eccellenza
Reverendissima
Monsignor Renato Ascencio
León, in conformità al can. 401
§ 1 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Nella mattina di sabato 20 dicembre il Papa ha ricevuto Sua Altezza Reale
Jaime Bernardo principe de Bourbon de Parme, ambasciatore dei Paesi Bassi,
per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede.
Nella mattina di sabato 20 dicembre Francesco ha ricevuto Sua Eccellenza
il Signor Clelio Galassi, ambasciatore della Repubblica di San Marino,
per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede.
Nella mattina di sabato 20 dicembre il Pontefice ha ricevuto Sua Eccellenza
il Signor Eduardo Félix Valdés, ambasciatore di Argentina,
per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede.
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Ciudad Juárez
(Messico) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor José
Guadalupe Torres Campos, finora Vescovo di Gómez Palacio.
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domenica 21 dicembre 2014
La cerimonia del 6 agosto davanti al memoriale
delle vittime di Hiroshima (Afp)
I nuovi
ambasciatori
Paesi Bassi
Intervento della Santa Sede
La sfida etica del disarmo nucleare
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento pronunciato il 9 dicembre a Vienna dall’arcivescovo Silvano
M. Tomasi, Osservatore permanente
della Santa Sede a Ginevra presso
l’ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni specializzate in occasione della conferenza di Vienna sull’impatto umanitario delle armi nucleari.
Le armi nucleari sono un problema
globale. Non riguardano solo gli
Stati dotati di armi nucleari, ma anche gli altri firmatari non nucleari
del Trattato di non proliferazione, i
non firmatari, gli altri Stati possessori non riconosciuti e gli alleati
«sotto l’ombrello nucleare». Hanno
un impatto sulle future generazioni
e sull’intero pianeta, che è la nostra
casa. La riduzione della minaccia
nucleare e il disarmo esigono un’eti-
ca globale. Ora più che mai, i fatti
dell’interdipendenza tecnologica e
politica richiedono un’etica di solidarietà nella quale lavorare gli uni
con gli altri per un futuro globale
meno pericoloso e moralmente responsabile. La risposta data dalla
comunità internazionale interesserà
le generazioni future e il nostro pianeta.
Tutti conosciamo i rischi collegati
alle armi nucleari, non ultimo quello
dell’instabilità che esse causano. È
ragionevole pensare che l’equilibrio
del terrore è la base migliore per la
stabilità politica, economica e culturale del nostro mondo?
Lo status quo è insostenibile e indesiderabile. Se non è pensabile immaginare un mondo in cui le armi
nucleari siano a disposizione di tutti, è però ragionevole immaginare
un mondo in cui nessuno le possiede. Inoltre, è proprio così che leggiamo le parole e lo spirito del Trattato di non proliferazione.
Sono stati compiuti alcuni passi
positivi in direzione dell’obiettivo di
un mondo senza armi nucleari (TNP,
CTBT, START, NEW START, e così
via). La Santa Sede continua però a
ritenere che questi passi siano limitati, insufficienti e congelati nello
spazio e nel tempo. Le istituzioni
che dovrebbero trovare soluzioni e
nuovi strumenti sono in una situazione di stallo. Il contesto internazionale attuale, compreso il rapporto
tra gli stessi Stati nucleari, non porta all’ottimismo.
Il mondo deve affrontare sfide
immense (problemi ambientali, flussi
migratori, conflitti militari, povertà
estrema, regolari crisi economiche e
Varate dal Canada e dagli Stati Uniti per la crisi ucraina
Altre sanzioni contro la Russia
KIEV, 20. Non si attenua la pressione dei Paesi occidentali nei confronti del Cremlino per il suo comportamento nella crisi ucraina. Il
Canada ha annunciato ieri sera
nuove sanzioni contro la Russia per
il sostegno di Mosca ai ribelli separatisti del sud-est dell’Ucraina. Le
sanzioni riguardano il settore petrolifero e del gas nonché il divieto
per 20 dirigenti politici russi di
viaggiare in Canada.
E sempre ieri il presidente statunitense, Barack Obama, ha firmato
un ordine esecutivo che proibisce
l’esportazione e l’importazione «di
beni, tecnologia o servizi in Crimea, e anche gli investimenti in
Crimea». Lo rende noto la Casa
Bianca. L’ordine esecutivo, ha affermato il presidente americano
«ha lo scopo di fare chiarezza per
le aziende americane che fanno affari nella regione e di riaffermare
che gli Stati Uniti non accettano
l’occupazione russa e l’annessione
della Crimea». Obama esorta quindi «di nuovo la Russia a mettere fine alla sua occupazione e ai tentativi di annessione della Crimea, a far
cessare il sostegno ai separatisti
nell’Ucraina orientale e ad adempiere i suoi impegni in base agli accordi di Minsk». L’Amministrazione di Washington, conclude la nota
rilasciata dalla Casa Bianca, «continuerà ad aggiornare e calibrare le
sanzioni, in stretto coordinamento
con i nostri partner internazionali,
per rispondere alle azioni russe».
Intanto, il conflitto in Ucraina
ha causato — dal primo settembre
— la chiusura di almeno 147 scuole
nelle aree della provincia di
Donetsk dove sono in corso i combattimenti e ha impedito a 50.000
bambini di ricevere un’istruzione.
Molte scuole sono state danneggiate e altre sono ancora chiuse per
problemi di sicurezza. Nell’area
controllata da Kiev, 187 istituti scolastici sono stati danneggiati o distrutti. Lo ha sottolineato ieri in
una nota il Fondo delle Nazioni
Unite per l’infanzia (Unicef).
«È fondamentale che i bambini
tornino a scuola e riprendano a studiare. I bambini continuano a sopportare il peso del conflitto perché
l’istruzione viene sospesa e l’accesso ai servizi di base ostacolato.
Molti hanno assistito a combattimenti violenti e bombardamenti.
Ricordiamo alle parti in conflitto in
Ucraina di garantire a tutti i bambini la protezione dalle violenze in
corso», ha dichiarato Marie-Pierre
Poirier, direttore regionale dell’Unicef per l’Asia centrale e l’Europa
centrale e orientale. «Durante
un’emergenza, le scuole sono fondamentali per mantenere stabilità,
organizzazione e normalità. In
Ucraina, l’istruzione aiuta a superare i traumi e lo stress ai bambini
che vivono nelle zone di conflitto»,
rileva ancora l’Unicef.
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«Per oltre 1,7 milioni di bambini
colpiti dalla crescente crisi in
Ucraina orientale — aggiunge la
nota dell’Unicef — la situazione rimane molto grave. Da marzo 2014,
oltre un milione di persone sono
sfollate dalle aree di conflitto, incluse le circa 530.000 persone che
sono rimaste all’interno dell’Ucraina, 130.000 delle quali sono bambini». L’Unicef chiede 32,4 milioni di
dollari per ampliare la risposta
umanitaria alle famiglie ucraine.
Tre bambini tra i nove morti nel naufragio di un barcone
Ancora vite
disperse in Mediterraneo
MADRID, 20. Nove migranti, compresi tre bambini, sono morti ieri
nel naufragio in Mediterraneo, al
largo delle coste marocchine, del
barcone sul quale stavano tentando di raggiungere la Spagna. Altre ventuno persone sono state
tratte in salvo.
Sempre ieri era stato respinto il
tentativo di oltre duecento migranti, tutti di origine subsahariana, di entrare a Melilla, una delle
due enclavi spagnole, con Ceuta,
in territorio marocchino. Secondo
fonti della prefettura locale, il tentativo di massa di scavalcare la
doppia barriera metallica di protezione frontaliera, alta sei metri, è
avvenuto a Villa Pilar, dove vari
migranti sono riusciti ad arrampicarsi, sfidando i controlli della
polizia, che poi li ha respinti. Si
tratta del terzo episodio analogo
in una settimana. Secondo stime
della prefettura, oltre ventimila
migranti hanno tentato quest’anno di entrare a Ceuta e Melilla.
In duemila vi sono riusciti.
Migranti nel Mar Mediterraneo (Ansa)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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così via). Solo la cooperazione e la
solidarietà tra le nazioni sono in
grado di farvi fronte. È paradossale
continuare a investire in costosi sistemi di armi. In particolare, è illogico continuare a investire nella produzione e nella modernizzazione
delle armi nucleari. Ogni anno vengono sprecati miliardi per sviluppare
e mantenere scorte che, si suppone,
non verranno mai usate. Si può giustificare un costo così elevato solo
per ragioni di status?
L’espressione sicurezza nazionale
salta fuori spesso nei dibattiti sulle
armi nucleari. Pare che questo concetto venga utilizzato in maniera
parziale e tendenziosa. Tutti gli Stati
hanno il diritto alla sicurezza nazionale. Perché la sicurezza di alcuni
può essere garantita solo con un
particolare tipo di arma, mentre altri
Stati devono fare senza? D’altro
canto, ridurre, in pratica, la sicurezza degli Stati alla sua dimensione
militare è artificiale e semplicistico.
Lo sviluppo socioeconomico, la partecipazione politica, il rispetto dei
diritti umani fondamentali, il rafforzamento dello Stato di diritto, la
cooperazione e la solidarietà a
livello regionale e internazionale, e
così via, sono essenziali per la sicurezza nazionale degli Stati. Non è
forse urgente rivedere, in modo trasparente, come gli Stati, specialmente quelli dotati di armi nucleari,
definiscono la propria sicurezza nazionale?
Stiamo ora assistendo, dopo due
decenni persi, a una rinnovata sensibilità alla causa del disarmo nucleare. Durante l’ultimo decennio della
guerra fredda, Chiese, Ong, accademie, gruppi di esperti e movimenti
popolari si sono impegnati per un
mondo senza armi nucleari. L’obiettivo, le intenzioni e gli argomenti
continuano ad essere validi anche se
il contesto internazionale è mutato.
L’«iniziativa umanitaria» è una
nuova speranza per compiere passi
decisivi verso un mondo privo di armi nucleari. La collaborazione tra
Stati, società civile, Cicr, organizzazioni internazionali e Nazioni Unite
è un’ulteriore garanzia di inclusione,
cooperazione e solidarietà. Non si
tratta di un’azione di circostanza. È
un cambiamento fondamentale che
risponde alla ricerca profonda di
molte popolazioni del mondo, che
sarebbero le prime vittime di un
evento nucleare.
Sin dagli inizi dell’era nucleare, la
Santa Sede sostiene l’abolizione di
queste armi che, a quanto pare, sono prive di qualsiasi logica militare.
D all’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) la Santa Sede
continua a mettere in discussione la
base etica della cosiddetta dottrina
della deterrenza nucleare. Le conseguenze etiche e umanitarie del possesso e dell’utilizzo di armi nucleari
sono catastrofiche e vanno ben oltre
la razionalità e la ragionevolezza.
Questa Delegazione è consapevole che l’obiettivo di un mondo senza
armi nucleari non è facile da raggiungere. Per questo sono necessarie
tutte le energie e l’impegno. Lo sono ancora di più in questo tempo di
tensioni internazionali. Il ruolo delle
Chiese e delle comunità religiose,
della società civile e delle istituzioni
accademiche è essenziale per non far
morire la speranza, per non permettere al cinismo e alla realpolitik di
prendere il sopravvento. Un’etica
basata sulla minaccia e sulla mutua
distruzione assicurata non è degna
delle generazioni future. Solo un’etica radicata nella solidarietà e nella
pacifica coesistenza è un grande
progetto per il futuro dell’umanità.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Sua Altezza Reale Jaime Bernardo
Principe de Bourbon de Parme,
nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi
presso la Santa Sede, è nato a
Nijmegen il 3 ottobre 1972. È sposato e ha una figlia.
Laureato in relazioni internazionali alla Brown University, negli
Stati Uniti d’America, ha intrapreso
la carriera diplomatica nel 2001, lavorando prima a Baghdad e poi
presso la direzione dei Diritti Umani del ministero degli Affari Esteri.
In seguito, ha ricoperto i seguenti
incarichi:
segretario
particolare
dell’Euro commissario Kroes presso
la Commissione europea a Bruxelles (2005-2007); collaboratore politico senior presso la sezione Gestione di crisi e Operazioni di pace del
ministero degli Affari Esteri (20072011); rappresentante speciale per le
Risorse naturali presso la direzione
Ambiente, Clima ed Energia del
ministero degli Affari Esteri (dal
2011 a oggi).
A Sua Altezza Reale Jaime Bernardo Principe de Bourbon de Parme, nuovo ambasciatore dei Paesi
Bassi presso la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a
ricoprire l’alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale.
Repubblica di San Marino
Sua Eccellenza il Signor Clelio Galassi, nuovo ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la
Santa Sede, è nato a a Serravalle il
2 marzo 1950. È sposato e ha due
figli.
Ha conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale presso l’istituto San Gabriele, a Roma,
nel 1970. Oltre ad aver svolto la libera professione di commercialista,
ha ricoperto, tra gli altri, i seguenti
incarichi: membro del Consiglio
Grande e Generale della Repubblica di San Marino (1974-2012); capitano reggente della Repubblica nel
semestre aprile-ottobre 1976; depu-
tato all’Industria, Artigianato e
Commercio (1978); membro del
consiglio di amministrazione della
Cassa di risparmio della Repubblica di San Marino (1978-1988); vice
segretario del Partito Democratico
Cristiano (1985-1988); deputato al
Commercio, ai rapporti con le
Giunte di Castello e ai rapporti con
l’Azienda di Stato servizi produzione (Assp) (1989-1990); segretario di
Stato alle Finanze, Bilancio e Programmazione economica, nonché
delegato ai rapporti con l’Azienda
filatelica - numismatica (1990-2002);
governatore del Fondo monetario
internazionale (Imf), «avendone curato l’ingresso della Repubblica di
San Marino» (1998-2002); governatore della Banca mondiale (World
Bank), «avendone curato l’ingresso
della Repubblica di San Marino»
(2000-2002); presidente della commissione Affari Costituzionali del
Consiglio Grande e Generale
(2002-2012); membro della commissione Politiche territoriali del Consiglio Grande e Generale (20022012).
A Sua Eccellenza il Signor Clelio
Galassi, nuovo ambasciatore della
Repubblica di San Marino presso
la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a ricoprire
l’alto incarico, le felicitazioni del
nostro giornale.
Argentina
Sua Eccellenza il Signor Eduardo
Félix Valdés, nuovo ambasciatore di
Argentina presso la Santa Sede, è
nato il 16 febbraio 1956. È sposato e
ha tre figli.
Si è laureato in legge all’Universidad de Buenos Aires e ha conseguito un master in relazioni internazionali all’Universidad de Murcia
y Georgetown. Ha ricoperto, tra gli
altri, i seguenti incarichi: segretario
generale del Governo della città di
Buenos Aires (1989-1990); vice presidente del Partido Justicialista
(1987-1990); consigliere di Quartiere
della città di Buenos Aires (19911993); membro della Costituente
nazionale (1994); direttore e fondatore della Scuola nazionale di Governo dell’Istituto nazionale della
Pubblica amministrazione (19951998); deputato per la città di Buenos Aires e presidente del Bloque
dei deputati della città, Frente justicialista (2000-2003); capo di Gabinetto della Cancelleria (2003-2005);
consultore del Corredor Bioceánico
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Aconcahua (2005-2014). Attualmente svolge la professione di avvocato.
A Sua Eccellenza il Signor
Eduardo Félix Valdés, nuovo ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, giungano, nel momento in
cui si accinge a ricoprire l’alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale.
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Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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domenica 21 dicembre 2014
pagina 3
I peshmerga infliggono una dura sconfitta all’Is
L’inverno aggrava la crisi
degli sfollati iracheni
In Tunisia
si torna alle urne
per il ballottaggio
presidenziale
TUNISI, 20. Tunisia nuovamente
alle urne domani per eleggere il
primo presidente della Repubblica
del dopo Ben Ali, che rimarrà in
carica cinque anni. Si tratta del
ballottaggio per un voto molto
sentito dai tunisini e che conclude
il processo di transizione democratica iniziato dal Paese nordafricano oltre tre anni fa con le elezioni del 23 ottobre 2011. Un passo verso quella normalizzazione
della vita politica particolarmente
auspicata dalla popolazione, viste
le pesanti sfide poste dalla crisi
economica e dalla minaccia del
terrorismo.
A sfidarsi sono il leader del partito laico Nidaa Tounes, maggioritario nel Paese, Béji Caïd Essebsi,
e l’attuale presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, sostenuto dagli islamici. I due sfidanti al
primo turno avevano ottenuto rispettivamente il 39,46 per cento e
il 33,43 per cento delle preferenze
degli elettori.
Essebsi, 88 anni, avvocato e uomo di Stato, veterano della politica, ha rivestito varie cariche ministeriali sotto la presidenza di Habib Bourguiba, «padre dell’indipendenza tunisina». Dopo una
prolungata assenza dalle scene politiche è stato alla guida del Governo fino al novembre 2011,
quando ha lasciato il posto ad
Hamadi Jebali di Ennhadha. Nel
2012 ha fondato il partito Nidaa
Tounes per creare una grande forza di centro. Strenuo sostenitore
dello Stato di diritto, si considera
erede di Bourguiba e dei suoi valori.
Moncef
Marzouki,
medico,
scrittore, militante dei diritti
dell’uomo, ha vissuto molti anni
in Francia. Rientrato in Tunisia
subito dopo la rivolta contro Ben
Ali, è stato eletto dalla coalizione
al potere presidente della Repubblica. Ha impostato tutta la sua
campagna elettorale sulla difesa
dei valori della rivoluzione contro
il ritorno del vecchio regime, a
suo modo di vedere, impersonato
proprio dal suo avversario.
Stando alle dichiarazioni dei
partiti e considerati i risultati del
primo turno, Essebsi continua a
rimanere favorito, con Marzouki
obbligato a recuperare quei sei
punti che lo separano dall’avversario. Il futuro presidente avrà il
compito affidare l’incarico di formare il Governo al premier espresso dal partito di maggioranza.
BAGHDAD, 20. L’inverno sta aggravando la crisi delle popolazioni irachene, in particolare dei quasi due
milioni di sfollati causati dall’attacco
del cosiddetto Stato islamico (Is). E
l’Onu avverte di aver ottenuto meno
della metà dei fondi richiesti per
fronteggiare l’emergenza.
L’alto commissariato dell’Onu per
i rifugiati (Unhcr) specifica infatti
che mancano ancora settanta dei
centodieci milioni di euro necessari.
«In Iraq, a causa del violento conflitto in corso, si sta consumando
una delle più gravi crisi umanitarie
degli ultimi vent’anni. Siamo grati
del contributo dato finora dai Governi, ma non è abbastanza», si legge in un appello lanciato da Carlot-
ta Sami, la portavoce in Italia,
dell’Unhcr. Secondo gli ultimi dati,
oltre seicentomila persone vivono in
tende allestite in otto campi
dell’Unhcr, mentre altre settecentomila si trovano in condizioni di
estrema precarietà all’interno di edifici abbandonati o ancora in costruzione e persino nei parchi pubblici.
La popolazione irachena ha bisogno
di cibo, acqua potabile, servizi igienici, medicinali, materassi, coperte e
stoviglie.
Sul piano militare, intanto, le forze peshmerga curde hanno annunciato di aver inflitto una dura sconfitta alle milizie dell’Is nella battaglia per il controllo dell’area di
Zammar, a ovest di Mosul, il capo-
luogo della provincia settentrionale
di Ninive, al confine con la Siria.
«L’esito dell’attacco peshmerga nei
villaggi di Kirkamish, Karez, Kopanki, Qsrrig, Fiqirok, Hamo Kolo
e Haknam è di 126 miliziani dell’Is
uccisi», ha detto Saeed Mamousine,
portavoce del partito dei lavoratori
del Kurdistan, principale forza politica dei curdi. L’offensiva, che in
due giorni ha permesso alle forze
curde e a quelle governative irachene di riprendere il possesso di settecento chilometri quadrati di territorio, è proseguita ieri anche in direzione di Tal Afar, dopo che è stato
spezzato l’assedio posto dall’Is alle
migliaia di yazidi fuggiti da Sinjar e
riparati sull’omonimo monte.
L’avanzata fa seguito ad altri successi riportati dalle forze che combattono l’Is nelle ultime settimane
nelle province di Salahuddin e di
Diyala. Ma l’Isis continua a controllare Mosul e vaste porzioni della
provincia di Al Anbar, a ovest di Baghdad, confinante anch’essa con la
Siria.
Un campo di rifugiati nei pressi di Kirkuk (Reuters)
Alla vigilia della tregua unilaterale annunciata dal gruppo guerrigliero
Cinque militari colombiani uccisi dalle Farc
Dopo il lancio di un missile da parte palestinese
Raid aereo di Israele
sulla Striscia di Gaza
TEL AVIV, 20. L’aviazione israeliana
ha compiuto la notte scorsa un
raid contro un centro di addestramento dell’ala militare di Hamas
vicino a Khan Yunis, località nel
sud della Striscia di Gaza. Un portavoce dell’esercito ha confermato
l’attacco contro strutture di addestramento della fazione islamica
nella Striscia, spiegando che si è
trattato di una risposta al missile
sparato ieri contro Israele.
Il raid della scorsa notte è il primo compiuto dalle forze israeliane
dalla fine dell’intervento militare a
Gaza in agosto. In cinquanta giorni di combattimenti, i morti sono
stati 2.140 tra i palestinesi e settantatré israeliani, in maggioranza sol-
Appello all’Onu
dei Paesi del Sahel
sul conflitto libico
Ultima fase
delle elezioni
in Kashmir
NOUAKCHOTT, 20. I cinque Paesi
del Sahel, Mauritania, Ciad, Niger, Mali e Burkina Faso, riuniti
ieri a Nouakchott, chiedono «un
intervento internazionale» contro i
gruppi armati in Libia, «in accordo con il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite». Lo ha annunciato il presidente mauritano,
Mohamed Ould Abdel Aziz, citato dall’agenzia Mena. Alcuni Paesi
limitrofi, ha aggiunto senza citarli,
«hanno espresso delle riserve» su
un eventuale intervento internazionale, ma «la decisione spetta
alla Libia che lo ha richiesto».
D’altra parte nel recente primo
Forum per la pace e la sicurezza
di Dakar, i cinque Paesi del Sahel
avevano auspicato di dare una risposta coordinata ai fondamentalisti islamici armati.
SRINAGAR, 20. Urne aperte stamane negli Stati del Jammu e Kashmir e del Jharkhand per la
quinta e ultima giornata delle elezioni regionali. Come nelle precedenti fasi, iniziate il 25 novembre,
si prevede un’alta affluenza alle
urne, nonostante il rischio di violenze, soprattutto nella regione
del Kashmir, contesa tra India e
Pakistan, dove sono attivi diversi
gruppi separatisti. Nel Kashmir
oltre 1,8 milioni di elettori votano
per rinnovare venti degli ottantasette seggi del Parlamento locale.
Dichiarata la massima allerta per
il rischio di infiltrazione di militanti islamici. Nel piccolo Stato
centrale del Jharkhand si rinnovano invece sedici collegi elettorali.
Lo spoglio dei risultati del voto è
previsto fra tre giorni.
dati. Sia il missile di ieri, il terzo
sparato dalla Striscia dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che
il raid di stanotte non hanno comunque provocato vittime o feriti
gravi. Lo hanno confermato fonti
sanitarie riprese dalla stampa.
Nel corso di una recente manifestazione a Gaza, il movimento palestinese — che governa la Striscia
dal 2007 — ha mostrato numerosi
razzi e lanciamissili.
Lanci sporadici vengono solitamente rivendicati da gruppi minori
di miliziani e non da Hamas. I colloqui, che si sarebbero dovuti
tenere al Cairo il mese scorso per
rafforzare la tregua, sono stati rimandati.
BO GOTÁ, 20. I guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno ucciso ieri cinque soldati in un attacco alla vigilia
del cessate il fuoco unilaterale da loro proclamato. Una tregua salutata
da molti analisti politici internazionali come un passo cruciale e decisivo nei negoziati di pace con il Governo di Bogotá. Secondo fonti
dell’esercito, una pattuglia di militari
è caduta in un agguato nella zona
rurale di Santander de Quilichao,
nel dipartimento di Cauca, nella Colombia occidentale. Nell’agguato,
cinque militari sono morti, mentre
altri diciassette sono rimasti feriti, alcuni in modo grave.
L’attacco è stato condannato dal
capo
negoziatore
governativo,
Humberto de la Calle. «Dobbiamo
ribadire che l’obiettivo dei colloqui è
fermare le violenze», ha sottolineato
nel corso di una conferenza stampa.
L’episodio è avvenuto alla vigilia
dell’avvio, oggi, della tregua unilaterale dichiarata mercoledì scorso
dalla guerriglia, una decisione lodata
dall’Unione europea e dalle Nazioni
Unite sulla strada per accelerare i
colloqui di pace, volti a mettere fine
a cinquant’anni di sanguinosa guerra
civile. «Un regalo pieno di spine»,
l’ha invece definito il presidente
colombiano, Juan Manuel Santos.
In una nota, il capo dello Stato ha
nuovamente respinto la richiesta dei
ribelli di un cessate il fuoco
bilaterale delle Farc, il gruppo
armato più longevo dell’America
latina. Secondo Santos, la tregua
servirebbe ai guerriglieri per riorganizzarsi.
I negoziati di pace in corso di
svolgimento all’Avana (Cuba) da
due anni hanno incontrato forti
ostacoli nelle ultime settimane. In
particolare, con la cattura da parte
delle Forze armate rivoluzionarie
della Colombia di un generale
dell’esercito, il più alto in grado mai
catturato, rilasciato poi il 30 novembre scorso nel tentativo di fare ripartire i colloqui di pace.
Nelle trattative all’Avana le due
parti hanno comunque già trovato
un’intesa sulla riforma agraria, sulla
partecipazione nella vita politica colombiana degli ex guerriglieri e sulla
lotta al narcotraffico.
Buenos Aires chiede a Londra
di negoziare sulle Falkland-Malvinas
BUENOS AIRES, 20. La presidente
argentina, Cristina Fernández de
Kirchner, ha chiesto al Governo di
Londra di «negoziare sulla sovranità delle Malvinas», le isole
nell’Atlantico contese alla Gran
Bretagna, che le chiama Falkland.
Facendo riferimento alla svolta nei
rapporti tra Stati Uniti e Cuba, annunciata mercoledì scorso da Barack Obama e Raúl Castro, la pre-
sidente argentina ha invitato il premier britannico David Cameron a
seguire l’esempio del capo della
Casa Bianca.
Per il possesso dell’arcipelago i
due Paesi combatterono nel 1982
una guerra, vinta da Londra. Da
allora i due Governi non hanno
mai aperto trattative, sollecitate
dall’Argentina in sede Onu, né
tantomeno trovato un accordo.
Ancora violenze della polizia a New York
Bombardamento statunitense
nel Nord Waziristan
ISLAMABAD, 20. Almeno sei sospetti
militanti islamici sono stati uccisi
oggi in un attacco di un drone americano nel distretto tribale del Nord
Waziristan, nel nord-ovest del Pakistan, dove da metà giugno è in corso una massiccia offensiva dell’esercito contro i talebani. Lo riportano
fonti di sicurezza sul posto.
Il velivolo avrebbe colpito con
quattro missili un covo del gruppo
talebano di Hafiz Gul Bahadur,
nell’area di Datta Khel, una delle
roccaforti dei jihadisti, dove da mesi
è in corso una battaglia tra insorti e
forze governative. Si tratta del secondo raid con un drone dopo quello di ieri che ha ucciso otto talebani
sulla frontiera con l’Afghanistan nella Khyber Agency dove si sospetta
sia nascosto il leader del gruppo
Teherek-e-taleban Pakistan (Tti), il
mullah Fazlullah, che avrebbe ordinato la strage nella scuola di Pesha-
war costata la vita a oltre 140 persone, quasi tutti bambini.
In seguito alla carneficina di martedì, il Governo di Islamabad ha deciso di intensificare la lotta contro
gli estremisti islamici nelle aree tribali pashtun lungo la frontiera afghana. Del resto, dopo la tragedia
di Peshawar, il comandante in capo
dell’esercito, generale Raheel Sharif,
ha detto che l’attentato ha rafforzato la determinazione delle forze di
sicurezza di arrivare alla «definitiva
eliminazione» degli estremisti.
E, ieri, le autorità pakistane
avrebbero eseguito le prime due
condanne a morte dopo aver annunciato la fine della moratoria in vigore dal 2008. Lo ha annunciato la televisione di Stato pakistana, spiegando che l’impiccagione dei due
terroristi sarebbe stata eseguita nella
prigione della città di Faisalabad,
nella provincia centrale del Punjab.
Proteste davanti al municipio di New York City (Afp)
WASHINGTON, 20. È successo ancora. La polizia di New York è di
nuovo nella bufera dopo un video
shock che mostra un agente in borghese che picchia un dodicenne di
colore. L’episodio è avvenuto in
pieno giorno sotto gli occhi increduli dei passanti. Le immagini mostrano alcuni agenti che tentano di
ammanettare un ragazzo. All’improvviso spunta un agente in borghese che, ignorando i suoi colle-
ghi, si scaglia contro il dodicenne e
inizia a percuoterlo ripetutamente.
La polizia di New York, che nel
frattempo ha avviato un’indagine,
ha fatto sapere che il ragazzo, insieme a un altro, è stato arrestato
con l’accusa di aver aggredito un
compagno di classe. L’arresto del
giovane è avvenuto a meno di un
mese dall’omicidio di Tamir Rice,
un altro dodicenne ucciso da un
poliziotto a Cleveland, in Ohio.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 21 dicembre 2014
Tutto il Paese è consapevole
che non saranno sufficienti
i trent’anni a suo tempo previsti
per amalgamare completamente
le due comunità
Venticinque anni dopo la riunificazione tedesca
Il muro
nella testa
di ANGELO PAOLUZI
venticinque anni dal crollo
del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, propongono
una più matura riflessione
sull’attuale stato delle cose
nella Repubblica federale. Per molti
anni si è parlato di un “muro nelle
teste” che persisteva a dividere i tedeschi delle due parti, i wessi
all’Ovest e gli ossi all’Est.
Ancora nel 2004 alla domanda se
l’unificazione avesse prodotto maggiore soddisfazione o preoccupazione, gli occidentali rispondevano in
negativo al 37 per cento e in positivo
al 44, contro il 22 e il 60 di quelli
orientali. Si è trattato del livello più
basso di incomprensione, al punto
di preoccupare classe dirigente e
opinione pubblica. A distanza di
dieci anni la situazione appare nettamente migliorata: per 67 soddisfatti
all’Ovest ci sono soltanto 8 insoddisfatti all’Est, rispettivamente 72 e 5.
Ciò non significa l’eliminazione di
una sensazione, nella parte orientale,
I
Mstislav Rostropovich suona davanti al Muro di
(10 novembre 1989)
che si sia stati in qualche maniera
colonizzati da quella occidentale.
Per la verità, specialmente nei primi
anni dopo l’unificazione, si sono verificati parecchi episodi di cannibalismo economico a danno della Germania ex comunista che hanno lasciato ferite psicologiche non ancora
completamente sanate. Ma quella
che a lungo è stata definita «ostalgia» (un neologismo che indicava la
nostalgia dell’Est) ha ceduto il campo al sentimento, specialmente nelle
giovani generazioni, di essere ormai
partecipi di una patria sufficientemente condivisa.
E questo nonostante le statistiche
parlino di un tasso di disoccupazione all’Est del 9,7 per cento (dieci anni fa al 18,4) contro il 6 all’Ovest; di
un reddito individuale medio di
23.700 euro (comunque più 154 per
cento rispetto al 1990) contro 33.400
(più 52). I cinque Laender dell’ex
Germania comunista hanno subito
dall’unificazione un calo della popolazione da 16 a 12,5 milioni, in una
corsa all’Occidente confermata da
un sondaggio secondo il quale 58
cittadini dell’Est su cento rispondono sì alla domanda se preferirebbero
trasferirsi, per esempio, in Baviera o
nel Baden Wuerttenberg, dove sono
corrisposti salari mediamente più alti
di un terzo.
Al momento dell’unificazione il
cancelliere Helmut Kohl aveva promesso, in uno slancio di ottimismo,
«paesaggi fiorenti» a breve per l’altra Germania. La realtà è stata meno
generosa, anche se la maggioranza
degli ossi riconosce i vantaggi del
nuovo sistema, se non altro sul piano delle libertà individuali, molto
apprezzate dai giovani
che non hanno ricordi
dell’oppressione del regime comunista. Gli anziani invece sono critici specialmente per quanto riguarda il sistema sanitario, l’assistenza del welfare e l’istruzione, che sostengono fossero più efficienti. In effetti, nell’insieme della Repubblica
federale si allarga la forbice delle possibilità tra i
figli dei ceti benestanti e
medio alti e quelli delle
classi inferiori.
Eravamo in Germania
proprio nei giorni in cui
si commemorava il venticinquesimo anniversario
del crollo del muro e — a
parte le liturgie ufficiali e
la manifestazione suonoe-luci di Berlino — non
Berlino
abbiamo riscontrato una
particolare enfasi popolare nel ricordare la data,
sobriamente commentata anche dai
media.
Probabilmente perché, al di là dal
dato dell’unificazione, tutto il Paese
è consapevole che non saranno sufficienti i trent’anni a suo tempo previsti per un completo amalgama delle
due comunità che, non dimentichiamolo, a lungo hanno percorso cammini divisi. Come dimostra la persistente differenza di linguaggi quotidiani: dello stesso classico dizionario, il Duden, sono ancora in uso
due versioni, rispettivamente pubblicate a suo tempo nella Repubblica
federale e nella Repubblica democratica tedesca, con definizioni di-
verse degli stessi termini, e la prima
stenta a imporre il proprio carattere
di ufficialità.
Un altro settore di disagio è quello della criminalità. I cittadini
dell’Est si sentivano più tutelati dal
potere, che utilizzava, certamente,
mezzi di repressione assai spicci e
meno rispettosi dei diritti individuali. Nell’ex Germania comunista,
sinio e alla strage. Ci sono ancor oggi città e villaggi proclamati «zone
nazionali liberate», nelle quali cioè
gli stranieri non possono entrare e la
stessa forza pubblica teme di intervenire: fra l’altro, il capo
della polizia di un distretto fra i più a rischio è staNei primi tempi dopo l’unificazione
to assassinato da un commando di fanatici estremisi sono verificati parecchi episodi
sti di destra, gli stessi che
di cannibalismo economico
spesso organizzano marce
a danno della Germania ex comunista e si abbandonano ad atti
di teppismo e saccheggi.
Non troppo tempo fa sei
giovani su dieci affermavadall’unificazione, si è assistito, parti- no di simpatizzare per i princìpi nacolarmente in Brandeburgo e in zisti; e alcuni anni orsono gli abitanMecklenburgo, alla maggior parte ti di Rostock per diverse notti misedegli episodi di razzismo di tutto il ro a ferro e fuoco un quartiere della
Paese, in qualche caso sino all’assas- città per impedire l’insediamento di
È morto Michael Kunzler
Il teologo tedesco Michael Kunzler, considerato tra i maggiori
storici della liturgia, è morto lunedì 15 all’età di 63 anni. Dal 1988
era ordinario di scienza liturgica presso la facoltà teologica di
Paderborn, in Germania. Tra i suoi libri tradotti in italiano figurano
Carisma e liturgia. Teologia e forma dei ministeri liturgici laicali
(Eupress, 2006), La liturgia della Chiesa (Jaca Book, 2003) e
«Mistero della fede». Introduzione alla celebrazione eucaristica (Eupress,
2003). Kunzler si era affermato negli ultimi venticinque anni come
storico del culto cristiano in occidente e in oriente, che aveva
indagato cercando di rendere conto dell’esigenza spirituale connessa
agli atti liturgici, e di rispondere agli interrogativi relativi alla forma
futura della liturgia. Nato nel 1951 a Saarbrücken, aveva studiato
teologia a Treviri e a Monaco di Baviera. Dopo il diploma e vari
studi attinenti alle lingue slave, nel 1978 aveva conseguito il
dottorato con una tesi sulla teologia eucaristica dell’umanista
Gerhard Lorich. Nel 1980 era stato ordinato sacerdote e dal 2005 era
consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei
sacramenti.
un ufficio di registrazione per stranieri che richiedevano asilo. Del resto le statistiche affermano che in
Germania la percentuale degli episodi di xenofobia è fra le più alte in
Europa.
Non a caso ciò avviene più di frequente in quella parte del Paese che
per oltre cinquantacinque anni ha
assistito al succedersi di due ideologie, nazionalsocialista e comunista,
che hanno lasciato un’impronta moralmente negativa basata sull’uso
della violenza come fatto politico. E
appunto uno dei più preoccupanti
elementi di scissione culturale fra le
due parti della Germania sta
nell’emarginazione del fatto religioso: se in Occidente l’indifferentismo
confessionale raggiunge, anno dopo
anno,
percentuali
preoccupanti,
nell’ex zona comunista 6 su 10 (8 su
10 in Sassonia-Anhalt) si dicono non
credenti, e fra gli altri la pratica religiosa è bassissima.
Paradossalmente, una sorta di pietà popolare generalizzata compensa
il diffuso ateismo di fatto. Come è
dimostrato dalla ripresa di pellegrinaggi verso gli alti luoghi della cristianità tedesca: un esempio per tutti
la chiesa di Nostra Signora a Dresda, un tempio barocco che fu raso
al suolo dai bombardamenti alleati
nel 1945 e che (mai restaurato dalle
autorità comuniste) è stato ricostruito, dopo la riunificazione, nello
splendore originario con milioni di
contributi, anche modesti, di tutti i
cittadini, dell’Ovest e dell’Est, e persino dei piloti alleati che l’avevano
distrutta.
Una nuova monografia contribuisce al recupero critico di Tiepolo
Allegria e bravura
di ANTONIO PAOLUCCI
Giambattista Tiepolo nacque a Venezia,
nel popolare quartiere di Castello, nel
1696. Nel 1717, a 21 anni, risulta iscritto
nella corporazione dei pittori. Esiste una
fatalità nelle date. Il 1717 è la vigilia della
grande pace con il Turco firmata l’anno
dopo a Passarowitz dai plenipotenziari
austriaci russi e veneziani. Dopo quasi un
secolo di incessante e spesso eroico affrontamento militare con la potenza ottomana (prima la guerra di Candia, poi
quella di Morea) ora la Repubblica del
Leone, perduto per sempre l’impero coloniale, ha di fronte a sé un lungo periodo
di splendida tranquillità.
La Venezia del Settecento è quella descritta da Canova nelle sue Memorie e da
Voltaire nel Candide. È una città dove
prosperano l’industria del lusso e il turismo internazionale, dove il carnevale dura la maggior parte dell’anno, dove si
possono perdere o guadagnare fortune
nel gioco d’azzardo e incontrare le donne
più belle, gli uomini più affascinanti, gli
avventurieri più spregiudicati d’Europa e
dell’intero Levante.
In questa città raffinata, cosmopolita e
gaudente l’arte gioca un ruolo, anche
economico, importante. Da Dresda a San
Pietroburgo, da Vienna a Parigi gli artisti
veneziani sono corteggiati, collezionati,
quasi sempre pagati molto bene. Sono
pittori di figura, di storie sacre e profane
come il Pellegrini, come Pittoni, come
Amigoni, come Sebastiano Ricci, sono
vedutisti come Canaletto e Bellotto. Da
Venezia spediscono le loro opere nelle capitali d’Europa. Spesso si trasferiscono
all’estero, onorati e riveriti come i rappresentanti della grande arte del secolo. Anche Tiepolo si trasferì per lunghi periodi
all’estero; prima in Germania a Würzburg a dipingere ad affresco la residenza
del Principe Vescovo (1750-52), poi in
Spagna dove morì nel 1770 al servizio del
re Carlo III di Borbone. Attraverso un arco di tempo lungo cinquanta anni, da
Udine a Milano, da Venezia a Vicenza,
dalla Germania alla Spagna, Tiepolo dispiegò con inesausta «prontezza» e «facilità» la sua pittura destinata a regalare
nella gloria del colore e nella memoria di
Paolo Veronese, niente altro che la «felicità». Sono parole del critico settecentesco Antonio Maria Zanetti, l’interprete
più intelligente della sua pittura.
L’Ottocento classicista e il Novecento
naturalista non hanno amato Tiepolo.
Famosa è rimasta la stroncatura di Roberto Longhi nel Viatico (1946). Il recupero critico, iniziato nella seconda metà
del secolo scorso (Mariuz, Pavanello),
tocca ora il suo esito migliore e in un certo senso necessario nella splendida monografia Tiepolo (Milano, Silvana Editoriale, 2014, pagine 272, euro 25) firmata da
Renzo e Giovanni Villa.
L’opera è stata finanziata
dalla Menarini, l’industria
farmaceutica italiana che da
sempre promuove con saggia lungimiranza l’editoria
d’arte di qualità.
Il merito principale del libro è quello di aver collocato Tiepolo al centro del Settecento veneziano, anzi di
averne fatto il protagonista
principale, il vero rappresentante del secolo. L’età di
Voltaire e di Francesco Algarotti, di Mozart e di Metastasio, dell’Enciclopedia e
del Rococò — da una parte lo scientismo
laico, secolare di D’Alambert e di Diderot, dall’altra uno stile fluido, pervasivo,
policromo e polimorfo destinato a consolare le fatiche dei sapienti e a dare gioia
alla vita — questa stagione straordinaria
della civiltà europea è rappresentata da
Tiepolo più che da qualsiasi altro.
Coadiuvato dai figli Lorenzo e Giandomenico, Tiepolo ha dipinto, nell’arco della
sua carriera, molte migliaia di metri qua-
Tiepolo, «Mecenate presenta le arti ad Augusto» (1744)
vora nelle ville della Terraferma, nella
Cappella Colleoni di Bergamo, nei palazzi
Clerici e Casati di Milano.
Nel 1786 Goethe, nel suo viaggio in
Italia, attraversa il Dominio Veneto e si
ferma nella Villa Valmarana alle porte di
Vicenza che il Tiepolo con il figlio Giandomenico aveva affrescato una trentina di
anni prima (1757) con la storia di Ifigenia
e con la favola ariostesca degli amori di
Angelica e Medoro. Così ne parla nelle
sue memorie: «Oggi ho visitato
la Villa Valmarana che il Tiepolo ha decorato lasciando liSecondo Winckelmann
bero campo a tutte le sue virtù
e ai suoi difetti. Lo stile subliil veneziano sarebbe stato dimenticato
me non gli è riuscito come il
mentre il tedesco Mengs
naturale ma in questo vi sono
cose deliziose; come decoratore
era destinato all’immortalità
in generale è pieno di allegria e
Ma si sbagliava
di bravura».
Nelle parole di Goethe c’è
l’ombra del giudizio del suo
drati in affresco e su tela. Lavora per il amico, il teorico classicista Winckelmann:
patriziato di antico lignaggio come i Dol- «Il Tiepolo fa più in un giorno che Menfin (nella loro casa di San Pantalon e per gs in una settimana, ma quegli appena
il patriarca Dionisio nell’arcivescovado di veduto è dimenticato, mentre questi riUdine) e lavora per i nouveaux riches co- mane immortale». Winckelmann si sbame gli Zanobi diventati nobili “per soldo” gliava. A essere dimenticato è, tre secoli
quando la Repubblica, nel Seicento, per dopo, l’algido Mengs, non certo il felicisrimpinguare le finanze dissanguate dalla simo Tiepolo.
guerra, vendeva l’ingresso nel Maggior
Tuttavia Goethe aveva capito l’essenConsiglio per la somma davvero vertiginosa di centomila ducati d’oro. Lavora per i ziale di quelle pitture mirabili quando
Labia e per i Rezzonico, la famiglia che parla delle «cose deliziose» presenti nello
ha dato un Papa (Clemente XIII) alla stile «naturale» della Valmarana. Goethe
Chiesa ma, all’occorrenza, lavora anche non sapeva che quel linguaggio più intiper i ricchi borghesi veneziani. Nella casa mo e meditato, espressione di una sensidell’avvocato Sandi, professionista famoso bilità dimessamente feriale, di timbro già
ai suoi giorni, dipinge nel soffitto del sa- preromantico, era opera di Giandomenilone d’onore l’allegoria dell’Eloquenza. La- co Tiepolo, il figlio di Giambattista.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 21 dicembre 2014
pagina 5
La rivoluzione digitale
rappresenta un trapasso epocale
Forse più radicale del passaggio
dal rotolo al codice
O dal manoscritto alla stampa
André Palmeiro e i gesuiti in Asia nel
Quando si viaggiava
per biblioteche
tiamo diventando pigri. La possibilità di disporre, con una
semplice pressione del dito sulla
tastiera, di innumerevoli cataloghi on line ma anche di crescenti moltitudini di manoscritti e stampati digitalizzati e consultabili, spesso in più che
dignitosa risoluzione, sui computer di casa ha chiuso un’epoca e ne ha aperto
un’altra. Gli itinera eruditi, le Archivreisen
sembrano definitivamente tramontati.
S
Il libro cambierà ma non sparirà
perché connaturato all’umano
al suo bisogno di sapere e pensare
di incontrare il passato
E di sognare il futuro
Stiamo vivendo una de-materializzazione delle biblioteche, destinate a divenire
un non-luogo perché ormai sono ovunque
e da nessuna parte. Un trapasso epocale,
quello della rivoluzione digitale, forse più
radicale del passaggio dal rotolo al codice
o dal manoscritto alla stampa, paragonabile per la sua inedita novità alla soglia
oltrepassata quando dall’oralità si passò
alla scrittura. Se per il mondo delle biblioteche gli scenari del futuro sono imprevedibili, quelli del passato sono ben
rappresentati dal volume dello storico
oxoniense dell’architettura James W.P.
Campbell e del fotografo Will Pryce La
biblioteca. Una storia mondiale (Torino, Einaudi, 2014, pagine 328, euro 75). Pubblicato nel 2013 da Thames & Hudson, il volume è un inedito viaggio nelle biblioteche come luoghi fisici, dagli archivi mesopotamici alle biblioteche cinesi contemporanee. Un «panorama dell’intera storia
dell’architettura bibliotecaria» che ancora
mancava, a parte le classiche ma ormai invecchiate pagine di John Willis Clark in
The Care of Books (1901) e quelle più recenti (1976) di Nikolaus Pevsner in A History of Building Types (1986).
Campbell e Pryce hanno visitato ottantadue biblioteche in ventuno Paesi. Per
una sintesi, che racchiude migliaia di anni
in poco più di trecento pagine articolate
in otto capitoli con centinaia di straordinarie fotografie, hanno selezionato le biblioteche più significative, fra Oriente e
Occidente, con impostazione prevalentemente cronologica e ampie digressioni su
temi particolari. La storia degli edifici
comporta l’esame della forma del libro,
delle terminologie utilizzate per descrivere
le biblioteche, dell’arredamento che le caratterizza, delle diverse modalità di conservazione libraria. Ma non si creda che i
mutamenti si riducano al passaggio dalla
biblioteca «a leggio» o «a stalli» al «sistema a muro», che è poi quello oggi prevalente, o dalla posizione orizzontale a
quella verticale dei volumi.
Il merito di Campbell è di evitare
un’ottica esclusivamente eurocentrica per
gettare sguardi curiosi e informati anche
sulle biblioteche orientali, dalle raccolte
dei «Tripitaka Koreana» alle collezioni dei
«sutra» buddisti, dalle ricche collezioni
dell’Asia sud-orientale alle biblioteche
islamiche di Córdoba, Baghdad e del Cairo. E si constata che, se bello e ricco è il
contenuto, talvolta spettacolare è il contenitore, fra i capolavori dell’architettura
anche novecentesca (si rimane, per esempio, senza parole davanti alle immagini
degli interni della Beinecke Library
dell’Università di Yale, 1963).
Cassapanche, nicchie, «armaria», leggii
e catene, lettori in piedi e seduti, piante
longitudinali e centrali, bibliotecari versus
architetti... Il senso di vertigine che accompagna il lettore nel viaggio rapido ma
accurato è dominato dalla coscienza di un
di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
costante mutamento. Se oggi viviamo
un’accelerazione particolare, la storia ci
insegna che ogni epoca ha vissuto mutamenti profondi e costanti.
E se oggi il libro e quindi la biblioteca
appaiono in pericolo (per la convergente
concomitanza di avvento del digitale, crisi
economica e dell’istruzione, tagli alla spesa pubblica che colpiscono le biblioteche
sovvenzionate e fanno parlare di morte
della biblioteca come istituzione sociale),
Campbell sembra convinto che il suo volume non sia «una sorta di monumento
commemorativo a un tipo di edificio ormai abbandonato». Mentre in Europa si
assiste alla chiusura di biblioteche pubbliche, in altre parti del mondo, come in Cina, se ne costruiscono di nuove (come la
biblioteca Liyuan, a Jiaojiehe, a due ore
di automobile da Pechino).
Di libri se ne stampano ogni anno più
che in ogni era precedente (la loro lettura
è un altro discorso e varia da Paese a Paese). «Forse, in futuro, il mondo passerà
completamente ai libri digitali, nel frattempo, però, si renderà necessaria la conservazione di una quantità di libri cartacei
senza precedenti». Insomma, sembrano
affermare Campbell e Pryce, libro e biblioteche sicuramente cambieranno ma
non
spariranno
perché
connaturali
all’umano, al suo bisogno di sapere, conoscere e pensare, di incontrare il passato e
di sognare il futuro. Non a caso biblioteche, templi e chiese non esistono nel regno animale.
Valore terapeutico di cinema e letteratura
I raggi infrarossi dell’arte
di SILVIA GUIDI
Per capire il presente c’è qualcosa
di più utile che leggere il giornale:
aiuta molto di più vedere un film
di Éric Rohmer, passare del tempo
davanti a un quadro di Braque e
leggere un romanzo di Patrick Modiano, scrive Pierre Cahne nel contributo pubblicato su Lire, écouter
voir, frutto del lavoro dell’Observatoire foi et culture dei vescovi francesi (il numero 8 del 2014) dedicato all’approfondimento del valore
terapeutico, non solo artistico, di
cinema, letteratura e pittura.
Le opere d’arte sono da sempre
una strada privilegiata verso inedite visioni del mondo, e questo è
ancora più vero per la cultura moderna e contemporanea. Amare i
libri — si legge nella raccolta di
saggi Lire, écouter, voir — significa
«amare la carne e amare le cose».
Perché Rohmer e non un altro regista? Perché per lui il cinema è
l’analisi della realtà e delle sue
contraddizioni. Per questo indaga i
sentimenti e gli aspetti più banali
Una scena tratta dal film di Éric Rohmer «La Boulangère de Monceau» (1962)
secolo
Il Visitatore
Storia architettonica di un’istituzione universale
di PAOLO VIAN
XVI
della vita quotidiana, i rapporti interpersonali, spaziando dalla solitudine all’amore in tutte le sue declinazioni e già il suo primo lungometraggio Il segno del leone (1959)
presenta la caratteristica che ha reso originale l’intera sua opera: mostrare il sentire delle persone attraverso il loro sguardo sulle cose.
La poetica di questo grande
maestro del cinema europeo, uno
degli innovatori del linguaggio cinematografico all’epoca della nouvelle vague, ha molto in comune
con la «sperdutezza» che si respira
nei romanzi di Modiano, in cui
l’assenza del padre (con la minuscola ma anche, e forse soprattutto,
con la maiuscola) condanna i personaggi a un generico senso di colpa tanto vago quanto angosciante,
difficile da esorcizzare. Ma l’attesa
snervante che vivono i personaggi
è il segno più evidente del mistero
nascosto al fondo di ogni situazione, vissuta o solo immaginata.
«Ho sempre pensato — ha detto
Modiano nel suo discorso di ringraziamento dopo aver ricevuto il
premio Nobel, il 7 dicembre scorso
— che il poeta e il romanziere conferiscono mistero a esseri umani
che sembrano sopraffatti dalla vita
quotidiana, a oggetti apparentemente banali, e questo a forza di
osservarli con un’attenzione intensa e in modo quasi ipnotico. Sotto
lo sguardo dello scrittore la vita di
tutti i giorni finisce per avvolgersi
di mistero e assumere una specie
di luminescenza che a prima vista
non c’era e rimaneva nascosta in
profondità. Il ruolo del poeta e del
romanziere, e anche del pittore —
sottolinea Modiano — è di svelare
il mistero e la luminescenza che si
trovano in ogni persona. Penso al
mio lontano cugino, il pittore
Amedeo Modigliani: le sue tele
più commoventi sono quelle in cui
ha scelto come modelli persone
anonime, bambini e ragazze della
strada, serve, piccoli contadini,
giovani apprendisti. Li ha dipinti
con precise pennellate che richiamano la grande tradizione toscana,
quella di Botticelli e dei pittori senesi del Quattrocento. In questo
modo ha dato loro — o meglio ha
svelato loro — tutta la grazia e la
Il romanziere conferisce mistero
a esseri umani sopraffatti
dalla vita quotidiana
A forza di osservarli
in modo quasi ipnotico
nobiltà celate dietro umili apparenze. Il lavoro del romanziere deve
andare nella stessa direzione. La
sua immaginazione, ben lungi dal
deformare la realtà, deve svelare la
sua vera natura, grazie alla potenza
degli infrarossi e degli ultravioletti
che captano ciò che si nasconde
dietro le apparenze».
A fine ottobre di quest’anno un veicolo spaziale commerciale progettato dalla Virgin Galactic è precipitato durante un volo di prova. L’idea
del progetto era quello di offrire a
centinaia di passeggeri, al costo di
duecentomila dollari per posto,
l’eccezionale esperienza di osservare
la Terra da un’altezza di oltre cento
chilometri. Nell’incidente solo uno
dei due piloti che erano ai comandi
della navicella si è salvato.
Mutatis mutandis è questo lo scenario che si trovava davanti chi nel
XVI secolo intendeva intraprendere
un viaggio dall’Europa all’Asia, un
viaggio il cui coefficiente di difficoltà è paragonabile agli odierni
tentativi di raggiungere lo spazio.
Il successo dell’impresa marittima
transcontinentale veniva considerato al tempo una tale incognita che
alcune navi venivano perfino ribattezzate “la tomba” in ragione del
numero di morti che — tra uomini
di equipaggio e passeggeri — avvenivano su quelle imbarcazioni. Malattie, pirati, tribù indigene, tempeste, erano i maggiori ostacoli che
questi pionieri del globetrotting dovevano superare nel tentativo di
raggiungere i Paesi che si trovavano
più a levante.
Date queste premesse, è chiaro
che possedere una condizione fisica
eccellente era un fattore fondamentale: più si era giovani e in salute
più alte erano le probabilità di farcela. Eppure fu proprio in quest’epoca, in cui l’aspettativa di vita
non superava i quarant’anni, che il
gesuita portoghese André Palmeiro
partì per l’Asia alla veneranda età
di quarantanove anni. Un’età a
quel tempo già avanzata per intraprendere un viaggio di poche centinaia di chilometri da una città
all’altra, figuriamoci l’attraversamento in nave di mezzo globo.
La Belknap Press ha recentemente pubblicato, con il titolo The Visitor. André Palmeiro and the Jesuits in
Asia (Cambridge, Massachusetts,
pagine 528, euro 36), un’ottima e
dettagliata biografia del poco conosciuto ma notevole gesuita André
Palmeiro scritta da Liam Matthew
Brockey.
Ma chi era costui? Secondo
Brockey un uomo mite, ottimo predicatore e un amministratore oculato. Fu, forse, proprio questa sua sobria personalità a farlo risultare il
candidato ideale per la delicata
missione in Asia di una delle congregazioni più giovani e attive a
quei tempi, la Compagnia del Gesù. L’importante compito affidato a
Palmeiro era quello di valutare lo
stato morale spirituale e materiale
della missione gesuitica in Oriente.
In special modo doveva analizzare
le recenti «innovazioni» — il cosiddetto accomodamento culturale —
delle politiche gesuitiche in India e
Cina. Alcune regioni dell’Asia rendevano necessarie le regolari visite
di un Visitatore (ovvero una sorta
di supervisore): la Compagnia del
Gesù era una congregazione con
un’organizzazione altamente centralizzata, il che voleva dire che tutte
le decisioni importanti venivano
prese a Roma e poi, da qui, dovevano essere trasmesse a tutte le altre
località dove si trovavano a operare
i gesuiti.
Un’altra ragione che rendeva necessario l’invio di un Visitatore stava nella grande crescita della Compagnia negli ultimi anni del Cinquecento: dai pochi membri che
formarono il nucleo iniziale della
congregazione si passò, sul finire
del secolo XVI, a oltre diecimila. Per
prevenire il pericolo che l’espansione della Compagnia portasse a una
perdita della sua identità originale
era necessario che lo spirito codificato nella sua Costituzione, che risaliva a metà del secolo XVI, venisse
conservato: ispezionare gli esercizi
pastorali, agire come pacificatore
nelle varie dispute tra le diverse fazioni, o perfino tra i diversi ordini
missionari, era questa la missione
affidata ad André Palmeiro.
Per raggiungere questo obiettivo
Palmeiro doveva intervistare i tanti
membri della Compagnia e valutare, caso per caso, se le norme teologiche e rituali erano state rispettate.
In alcune situazioni infatti queste
norme venivano del tutto ignorate.
Si legge, ad esempio, del caso di
Roberto Nobili in India, le cui
«tattiche missionarie» l’avevano
convinto che il modo migliore di
svolgere la sua missione era quello
di assumere la “parte” di un asceta
indigeno. Avendo saputo di queste
pratiche poco ortodosse, Palmeiro
attraversò l’India meridionale per
ispezionare la missione di Nobili —
un viaggio nel viaggio — facendo
interessanti osservazioni sulle singolari convenzioni del luogo. All’interno della chiesa che Nobili aveva
costruito nella città di Madurai (oggi capitale dello Stato del Tamil
Nadu) venivano riservati degli spazi
ai credenti a seconda delle caste indiane di appartenenza: i credenti
delle caste più elevate si trovavano
più vicini all’altare. Si scopre poi
l’impressione che ebbe Palmeiro nel
venire a conoscenza della semplice
dieta di Nobili e l’altro suo compa-
Gesuita e nobile giapponese (1600 circa)
gno, il gesuita Antonio Vico, dieta
composta da una piccola ciotola di
riso con vegetali bolliti, dove l’unica concessione alla gola era un bicchiere di latte di mucca.
Tra un’ispezione e l’altra nelle
varie missioni asiatiche, Palmeiro risiedeva nella città di Macao da dove appunto supervisionava gli “affari” dei gesuiti di tutta l’Asia orientale, e fu da qui che prese una delle
decisioni che si rivelarono più importanti ai fini della futura diffusione del Cristianesimo nelle poco
esplorate regioni del sud-est asiatico. Decise, infatti, di creare la missione in Cambogia e Vietnam, allora semplicemente conosciuti come
Regno di Cocincina, Champa, Tonchino.
Questo obiettivo, però, poteva
essere raggiunto solo prendendo
una drastica e rischiosa decisione:
trasferire ingenti risorse economiche, e molti uomini, da una missione che andava ormai indebolendosi,
ovvero quella giapponese — per via
della brutale repressione del regime
Tokugawa — a una che invece sembrava promettere nuovi frutti.
Palmeiro si ammalò gravemente
durante la settimana santa del 1635,
proprio mentre dal Giappone arrivavano altre scoraggianti notizie
circa la probabile apostasia di un
suo connazionale, quel Cristóvão
Ferreira alla cui vicenda si sarebbero poi ispirate opere letterarie e cinematografiche di successo. Secondo Manuel Dias, colui che era destinato a succedere al Visitatore,
André Palmeiro, morì «allo stesso
modo in cui visse: come una persona che desiderò ardentemente la vita ultraterrena, in quella maniera
che noi identifichiamo come la
morte dei giusti».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
Messaggio natalizio del patriarca Twal
Una promessa di pace
per la Terra santa
GERUSALEMME, 20. Il «successo»
anche ecumenico del viaggio in
Terra santa di Papa Francesco, gli
echi del Sinodo per la famiglia, le
nove ordinazioni sacerdotali e il
decreto di canonizzazione per due
religiose palestinesi: sono questi
per il patriarca di Gerusalemme dei
Latini, Fouad Twal, i principali
eventi positivi registrati nel corso
del 2014. Segni di speranza in un
anno purtroppo ancora dolorosamente segnato dal sangue della
guerra e delle rappresaglie, così come dalle sofferenze dei tanti profughi provenienti dalla Siria e
dall’Iraq. Dodici mesi estremamente difficili, caratterizzati da un alternarsi di tragedie e speranze, in
cui si rinnova la novità dell’annuncio cristiano: «La nascita di Gesù è
una promessa di misericordia, di
amore e di pace per innumerevoli
persone che sono nella sofferenza e
nella tribolazione, per coloro che
vedono le loro vite spezzate e i loro sforzi ostacolati dalla lotta e
dall’odio tumultuoso in questi
giorni di tempesta».
Nel suo messaggio natalizio, diffuso dai media del patriarcato,
Twal definisce «un successo pastorale e ecumenico» il pellegrinaggio
di Papa Francesco in Terra santa
nel maggio scorso. E ricorda che
da quella visita è scaturito l’incontro di preghiera nei Giardini vaticani con il presidente Abbas, l’expresidente Peres e il patriarca Bartolomeo. «Anche se non siamo stati in grado di vedere i frutti concreti — aggiunge il patriarca — ogni
preghiera è valida e i frutti possono arrivare più tardi, come l’olivo
piantato in quella occasione potrebbe dare molti frutti in futuro».
La riflessione di Twal si sofferma
poi sulle violenze e le tragedie che
hanno segnato gli ultimi mesi, dalla guerra devastante a Gaza — «un
bagno di sangue» — ai fatti di violenza o di vendetta contro uomini
e donne innocenti, come l’uccisione di persone in preghiera in una
sinagoga e gli attacchi contro le
moschee. «In una stessa settimana
— ricorda il patriarca nel suo messaggio — i capi cristiani della Terra
santa hanno visitato la sinagoga
Har Nof per condannare l’atto disumano perpetrato in quel luogo, e
hanno visitato la moschea di Al
Aqsa per chiedere il rispetto del
vecchio Status quo». Tutto ciò
mentre la città santa di Gerusalemme è bagnata da sangue e lacrime
e la diffidenza mette a rischio la
sua missione di «città della pace e
della convivenza inter-religiosa».
Il messaggio del patriarca chiama in causa anche le «responsabilità dei dirigenti politici — israeliani
e palestinesi — nel trovare e facilitare una soluzione», senza dimenticare l’incapacità della comunità internazionale di «aiutare entrambe
le parti ad aiutare se stesse». Riguardo alla violenza jihadista che
sconvolge tutto il Medio oriente, il
patriarca Twal mette in rilievo la
«chiara condanna» dei fondamentalismi, espressa da «leader arabi e
musulmani».
Riferendosi poi al Sinodo per la
famiglia, il patriarca sottolinea che
l’assemblea dei vescovi «ha riaffermato l’unità e l’indissolubilità del
matrimonio anche se restano passi
da compiere nell’ambito della pastorale dei separati e dei risposati».
Tuttavia, sempre sul tema della famiglia, Twal ha rimarcato che in
Terra santa, il problema principale
resta quello «della mancanza di
documenti giuridici che consentono alle coppie di vivere insieme
quando il matrimonio ha luogo tra
un palestinese e un non palestinese. È difficile — ha spiegato — ottenere un visto o lo status di residente per il congiunto non palestinese». Da qui la richiesta del patriarca affinché il Governo ammorbidisca le restrizioni attualmente in vigore sul ricongiungimento familiare. I 593 casi di ricongiungimento
accettati da Israele finora rappresentano, per Twal, «una tappa positiva ma non ancora sufficiente davanti all’immensità dei bisogni».
Nel suo messaggio natalizio, il
patriarca tocca anche il caso della
Valle di Cremisan, area messa a rischio dal progetto del muro di separazione. «Ci auguriamo — scrive
Twal — che la Corte suprema israeliana lasci i 300 ettari della Valle di
Cremisan e i due monasteri salesiani dalla parte palestinese. Oggi siamo preoccupati, perché gli ultimi
sviluppi della recente audizione
propendono per un’altra parte. Temiamo che la Corte decida che le
terre, appartenenti alle 58 famiglie
cristiane palestinesi, siano separate
da Beit Jala. Tale decisione andrebbe a danneggiare la nostra comunità».
Infine, circa la prossima canonizzazione di due donne palestinesi
Mariam Bawardi, fondatrice del
Carmelo di Betlemme, e della beata Alphonsine Ghattas, co-fondatrice delle suore della Congregazione
del Rosario, il patriarca afferma
che ciò rappresenta «una fonte di
speranza per un futuro di pace in
Terra santa».
domenica 21 dicembre 2014
I presuli pakistani chiedono celebrazioni sobrie
Natale di preghiera e solidarietà
con le vittime di Peshawar
KARACHI, 20. Una preghiera per la
pace in Pakistan. È quanto chiedono ai fedeli i vescovi cattolici a pochi giorni dal massacro di 141 bambini nella scuola di Peshawar. Il Natale — si legge in un messaggio dei
presuli — sarà un’occasione per «rivolgere a Dio una speciale preghiera
per le vittime di Peshawar, ma anche per i due coniugi cristiani
Shahzad e Shama Masih, arsi vivi
da una folla di musulmani in Punjab all’inizio di novembre».
Nel giorno della nascita di Gesù
Cristo, principe della pace — esortano i vescovi — «tutti i cristiani preghino in modo fervente per la pace
in Pakistan. È dovere di ogni cristiano promuovere pace, riconciliazione, armonia, unità. I cristiani si uniscano a tutti i cittadini pakistani, di
ogni religione, per sconfiggere la
violenza e il terrorismo». Dai presu-
li anche l’invito rivolto a tutte le comunità del Paese a «celebrare il Natale in modo sobrio, in segno di rispetto per il dolore delle famiglie e
dell’intera nazione».
In merito alla tragedia avvenuta
nella scuola di Peshawar, i vescovi —
come riferito dall’agenzia Fides —
hanno chiesto non solo al Governo,
ma anche ai partiti politici e ai leader religiosi di «restare uniti di
fronte al tragico attacco» e hanno
invitato le istituzioni a prendere
adeguati provvedimenti per garantire sicurezza e protezione alle scuole
in tutto il Paese. Una richiesta ribadita dall’arcivescovo di Karachi e
presidente della Conferenza episcopale pachistana, Joseph Coutts, attraverso un comunicato di Aiuto alla Chiesa che soffre: «I servizi di sicurezza devono necessariamente intensificare i controlli. Siamo di fron-
Reazioni in Egitto
Le intimidazioni
ai cristiani
danneggiano l’islam
Negli auguri del custode Pizzaballa
In una parrocchia siriana minacciata dagli estremisti
La sete di giustizia e di verità
del Medio oriente
Festa della speranza
anche se le campane non potranno suonare
GERUSALEMME, 20. «Anche nel nostro Medio oriente assetato di giustizia e di dignità, di verità e di
amore, Cristo si lascia trovare». È
quanto sottolinea, nel messaggio
augurale per il Natale 2014, il custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa, il quale invita non
a guardare «all’attesa e alla ricerca
errate degli Erode di oggi, ma a
quella di cui sono ricchi i Magi».
Infatti — questo è l’invito — «non
guardiamo all’ingannevole scrutare
dei segni dei dotti della Gerusalemme di ogni tempo, ma allo stupore
che rende pronti e capaci di accoglienza i pastori di Betlemme. Non
ascoltiamo le paure del mondo, ma
il coro degli angeli che ci annunciano la salvezza».
Il tradizionale messaggio prende
spunto da un versetto evangelico:
«Poiché il popolo era in attesa e
tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo» (Luca, 3, 15). Il tema è dunque quello dell’attesa che
alberga nel cuore di ogni persona.
E in questa prospettiva, medita il
padre custode, «la nostra vita di fede è una vita in attesa: sappiamo in
cuor nostro che il messia nato a Betlemme è la risposta di Dio alla nostra attesa. Tuttavia sentiamo che,
nonostante impegno e ideali, la nostra resta una debole fede, e siamo
come chiusi in una gabbia a causa
del peccato». Il compito è dunque
quello di «lasciarci convertire dal
tempo dell’attesa dando a esso i sogni e le fatiche, il coraggio e la serenità nella concretezza dei giorni.
Perché sappiamo che il Cristo che
nasce a Betlemme è la risposta di
Dio. Solo lui può spegnere la nostra sete, il nostro bisogno di senso». Non solo, «di questa certezza
dobbiamo ogni volta nutrire i nostri
dubbi, risollevare le nostre stanchezze. Il tempo dell’attesa di cieli
e terra nuovi è il tempo della nostra
fede, anche quando siamo chiamati
a sperare contro ogni speranza. Perché alla sete del nostro cuore sappiamo che corrisponde la fedeltà di
D io».
Nel messaggio c’è soprattutto
l’invito a uno sguardo realistico sulla realtà, che nasce proprio
dall’emergere della novità cristiana.
«Non cambieremo le sorti del mondo. Non risolveremo i problemi di
questi nostri popoli lacerati e divisi.
Ma nessuno ci potrà impedire di
amarli, di fare la giustizia nel nostro piccolo contesto. Nessuno può
rubarci la dignità che ci è stata data. Nessuno può toglierci l’amore e
la speranza che sono stati riversati
nei nostri cuori e che non ci deludono mai». Se dunque la vita di fede è una «vita in attesa», come è
eterna l’attesa presente nel cuore
dell’uomo, «il tempo di Natale —
sottolinea il padre custode — ci richiama, nella fedeltà gioiosa all’accoglienza del dono di Dio, a lasciare il nostro cuore aperto, spalancato, alla speranza, alla giustizia,
all’amore. È questo che ci dice il
Natale. Ogni anno. Anche quest’anno, nel turbine dei drammi che
ci circondano, lasciamoci stupire.
Lasciamoci ritrovare dal Dio-connoi, che ci attende sulla soglia del
nostro cuore».
BEIRUT, 20. «Possiamo celebrare
messe e funzioni, ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare
il presepe, allestire l’albero. Ma
questo non ci impedirà di riunirci il 24 dicembre. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo
di una piccola culla per deporre
il Re della pace». È quanto ha
dichiarato all’agenzia Sir, il francescano Hanna Jallouf, siriano,
62 anni, parroco della chiesa di
san Giuseppe, nel villaggio di
Knayeh, nella valle dell’O ronte,
te a persone accecate dall’odio e
senza alcuna coscienza».
Mercoledì scorso, come è noto, su
iniziativa promossa dall’episcopato,
le scuole cattoliche in tutto il
Pakistan hanno osservato un minuto
di silenzio e di raccoglimento durante la preghiera del mattino, ricordando le vittime dell’attacco dei talebani nella scuola di Peshawar. In
un messaggio i vescovi hanno condannato con fermezza «la violenza
brutale» e hanno espresso «piena
solidarietà
alle
famiglie
delle
vittime».
Nell’immediatezza della tragedia,
la Human Rights Commission of
Pakistan (Hrcp), la principale ong
pakistana impegnata per la difesa
dei diritti umani e diffusa capillarmente in tutto il Paese, sottolinea in
una nota che il massacro di Peshawar «costituisce uno spartiacque
nella storia del Pakistan e stabilisce
in modo incontrovertibile che i talebani e il Pakistan sono inconciliabili. Quella di Peshawar è una tragedia nazionale che deve far aprire gli
occhi a chiunque».
Secondo la Hrcp, si tratta di
«una tragedia nazionale di proporzioni immense, la peggiore della
storia, soprattutto per l’obiettivo
prescelto, i bambini. Niente giustifica un massacro così brutale contro i
bambini», fa notare il testo. La tragedia dimostra ancora una volta che
il Pakistan non conoscerà pace finché la follia talebana, in tutte le sue
manifestazioni, non sarà sconfitta.
Così come i vescovi, anche la ong
ha chiesto al Governo federale di
«proseguire questa battaglia, rendendola una priorità, a tutti i livelli
e di punire quanti hanno ordinato il
massacro dei bambini».
vicino al confine con la Turchia
(Siria settentrionale), dove i frati
minori della Custodia di Terra
Santa sono presenti da oltre 125
anni. Da tempo sotto il controllo
delle forze integraliste islamiche,
il villaggio, e i suoi dintorni, abitato da circa 800 fedeli, si appresta a vivere il Natale tra paura e
speranza.
«La guerra e la violenza — ha
raccontato il religioso — hanno
spinto molte persone, tra cui tanti nostri cristiani, a partire, a cercare rifugio altrove, anche per
permettere ai propri figli di con-
tinuare a studiare. Nelle scuole
del villaggio, ormai, si insegna
solo il Corano».
Da quando la zona è in mano
alle brigate islamiste vessazioni e
soprusi ai danni della popolazione locale sono all’ordine del giorno. A farne le spese lo stesso parroco, sequestrato dai miliziani armati, lo scorso ottobre, insieme
ad altri parrocchiani, e rilasciato
dopo qualche giorno. Nonostante la gravità della situazione, la
parrocchia di san Giuseppe è rimasta attiva anche se deve rinunciare a suonare le campane ed è
tenuta a rispettare l’obbligo di
coprire le statue e le immagini
sacre esposte all’aperto. E il Natale imminente acuisce questa
sofferenza senza impedire, però,
alla piccola comunità cristiana di
vivere la nascita di Gesù Cristo.
«Da giorni — ha sottolineato il
parroco — i nostri fedeli hanno
cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel
che si può, e rendere dignitosa la
festa. La nostra messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Alla
comunità dirò che Cristo è la pace e solo da Lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza
per sostenere tanta sofferenze.
Alla mia gente — ha concluso —
dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà
ancora il sole sorgere. La notte
sta passando e una nuova alba è
vicina».
IL CAIRO, 20. Minacce che fanno
paura, che non vanno sottovalutate,
ma che, paradossalmente, «danno
modo a tanti musulmani sinceri di
uscire dal silenzio e di reagire»: il
vescovo di Guizeh dei Copti, Antonios Aziz Mina, spiega all’agenzia
Fides che anche quest’anno, alla vigilia delle feste natalizie, la rete internet diviene veicolo di attacchi e
intimidazioni nei confronti delle comunità cristiane in Egitto. Ma «non
ci facciamo intimidire e cerchiamo
di vivere con serenità i giorni che ci
separano dal Natale». Le correnti
estremiste per anni hanno approfittato della passività e del silenzio.
«Adesso — osserva monsignor Mina
— si nota una resistenza diffusa. In
tanti hanno preso coscienza che tali
derive fanatiche fanno male a tutti,
sia ai cristiani sia ai musulmani».
In questi giorni siti islamisti richiamano i musulmani a esimersi da
ogni forma di partecipazione, anche
indiretta, alle feste cristiane, attaccando coloro che presentano gli auguri ai propri vicini in occasione del
Natale. Per non parlare delle minacce di morte e delle istigazioni a organizzare attentati contro le chiese
in occasione delle affollate celebrazioni liturgiche, con particolare riferimento alle comunità cristiane presenti nei governatorati di Al-Minya,
Alessandria e Fayoum.
La gravità delle minacce ha spinto autorevoli rappresentanti del
mondo accademico islamico a scendere in campo per denunciare e
condannare le intimidazioni contro i
cristiani. È il caso di Amna Nosseir,
già decana della facoltà di Studi
islamici all’università di Al Azhar,
che ha invitato cristiani e musulmani a proteggere insieme le chiese da
qualsiasi possibile attacco, e di Fawzi Al Zafzaf, già presidente del
Comitato permanente di Al Azhar
per il dialogo con la Santa Sede,
per il quale l’istigazione all’odio religioso proviene da «nemici della
patria» che rinnegano il vero islam.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 21 dicembre 2014
pagina 7
Nomina episcopale
in Messico
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Messico.
La testimonianza di pace che, da
gennaio, Letizia, Marcello e Carlo
porteranno per le strade di Baghdad
e l’accoglienza agli ultimi nelle tre
nuove case appena aperte in Camerun, Nepal e Grecia. Ecco i due “regali di Natale” che la comunità Giovanni XXIII , fondata da don Oreste
Benzi, ha presentato a Francesco sabato mattina, 20 dicembre, durante
l’incontro nell’aula Paolo VI. Ma il
vero, grande dono per il Papa è stato l’abbraccio di questo «popolo dei
poveri e degli ultimi» che vede insieme emarginati, disabili, persone
che hanno vissuto sulla loro pelle i
drammi della prostituzione, del carcere, della droga. E stamani, davanti
a Francesco, sono stati Joy, una ragazza nigeriana che è stata costretta
a prostituirsi, e una famiglia rom «a
dare voce alle tante storie di dolore
che diventano speranza».
Così Joy, senza giri di parole, ha
raccontato di essere stata venduta
dal padre e accompagnata, con l’inganno, nella periferia di Torino. Costretta da suoi aguzzini a vendere il
suo corpo per strada, «dopo un anno e mezzo — dice — sono rimasta
incinta e i miei sfruttatori voleva farmi abortire: mi sono opposta con
tutta me stessa». Quella vita che stava per sbocciare, però, è diventata
un’ulteriore arma di ricatto nelle mani di chi teneva Joy prigioniera. E
quando la donna ha capito che rischiava di perderla, ha deciso di
scappare chiedendo aiuto a Luca, un
volontario della comunità Giovanni
XXIII che già da tempo le proponeva
di cambiare vita, andandola a trovare per strada e pregando con lei il
rosario. «Oggi lavoro come assistente a una persona disabile — racconta
— e ho una casa dove vivo con mia
figlia».
È stata, poi, particolarmente toccante anche la testimonianza di Daniele Dragutinovic, accompagnato
dalla moglie Mira e dai figli Natasha, Walter, Marcela, Miriam e Vale-
La Comunità Giovanni
XXIII
ha incontrato Papa Francesco
L’abbraccio degli ultimi
ria. Questa famiglia rom ha vissuto
«in campi di periferia pieni di fango, in mezzo ai topi» e «ammassati
in macchina in un parcheggio, senza
servizi di nessun genere». Daniele
non ha nascosto di essere pure finito
in carcere, ammettendo di aver rubato «per dare da mangiare ai bambini
mentre mia moglie leggeva la mano». Anche per loro, proprio come è
accaduto a Joy, è stato l’incontro
con un volontario della comunità
Giovanni XXIII a segnare la svolta
decisiva. Ora questa famiglia ha finalmente una casa nel Villaggio della gioia a Forlì.
Sono due delle tantissime storie di
speranza che fanno parte della storia
della comunità. E in attesa dell’incontro con il Papa, sono state presentate altre testimonianze: ha preso
la parola anche don Girolamo Flamigni, il confessore di don Benzi,
che ne ha fatto rivivere la sua «fede
semplice: era come un bambino pur
essendo un mistico». Inoltre nell’aula erano presenti i cardinali Sgreccia
e Ryłko, che ha poi celebrato la
messa nella basilica vaticana. Con
loro anche numerosi presuli e, tra
questi, monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, che ha ricordato con emozione l’esempio di
don Benzi.
A raccogliere tutte queste storie
«per presentarle in dono al Papa» è
stato il responsabile generale della
comunità, Giovanni Paolo Ramonda: «Siamo laici, coppie di sposi,
ma anche sacerdoti diocesani e consacrati che vogliono rispondere alla
chiamata alla santità». Il suo pensiero è andato anzitutto a don Benzi, il
parroco dalla «tonaca lisa» della
diocesi di Rimini, per il quale si è
aperta di recente la causa di cano-
In piazza San Pietro inaugurati il presepe, l’albero e la nuova illuminazione della basilica
Simboli che uniscono
Tre appuntamenti in uno: l’inaugurazione dell’albero e del presepe allestiti in piazza San Pietro e l’accensione della nuova illuminazione a
led della cupola e della facciata della basilica vaticana. La cerimonia si
è svolta venerdì pomeriggio, 19 dicembre, alla presenza del cardinale
Giuseppe Bertello e del vescovo
Fernando Vérgez Alzaga, rispettivamente presidente e segretario generale del Governatorato dello Stato
della Città del Vaticano.
Con loro, tra gli altri, anche l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace,
Vincenzo Bertolone, il vescovo di
Verona, Giuseppe Zenti, il presidente della Regione Calabria, Gerardo
Mario Oliverio, il sindaco di Verona, Flavio Tosi, il presidente della
provincia di Catanzaro, Vincenzo
Bruno, il direttore di Calabra verde
(l’azienda regionale per la forestazione e le politiche per la montagna), Paolo Furgiuele, e il presidente dell’Acea, Catia Tomasetti.
All’inizio della cerimonia il cardinale Bertello ha ringraziato a nome
del Papa le regioni Veneto e Calabria, che hanno donato rispettivamente presepe e albero, e le maestranze del Governatorato che hanno provveduto al loro allestimento.
Da parte sua il vescovo Vérgez Alzaga ha sottolineato la particolarità
di quest’anno, perché «unisce sim-
Lutto nell’episcopato
Monsignor Stephen Hector Y.
Doueihi, vescovo emerito dell’eparchia di Saint Maron of Brooklyn
dei Maroniti (Stati Uniti d’America), è morto lo scorso 17 dicembre,
all’età di 87 anni.
Il compianto presule era nato a
Zghortha, nell’eparchia di Batrun
dei Maroniti, il 25 giugno 1927 ed
era stato ordinato sacerdote il 14
agosto 1955. L’11 novembre 1996 era
stato nominato vescovo di Saint
Maron of Brooklyn dei Maroniti e
l’11 gennaio successivo aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Il 10
gennaio 2004 aveva rinunciato al
governo pastorale dell’eparchia.
I funerali saranno celebrati lunedì 22, nella cattedrale di Our Lady
of Lebanon a Brooklyn.
bolicamente a Roma tutta l’Italia,
spaziando da nord a sud, dal Veneto alla Calabria, nel vero spirito del
Natale» che è quello «dell’unione,
della condivisione che non ci fa certo dimenticare le difficoltà e i problemi di ogni giorno, ma almeno ci
fa sentire uniti, in comunione universale». Anche il vescovo di Verona
ha messo l’accento sui legami tra il
nord e il sud del Paese, mentre l’arcivescovo Bertolone ha evidenziato
come i simboli del Natale siano segno di fraternità universale.
Successivamente, il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica vaticana, ha acceso, attraverso un
ipad, la nuova illuminazione della
cupola e della facciata di
San Pietro. Nel suo intervento il porporato, sottolineando in particolare il
prezioso lavoro svolto dai
tecnici dell’Acea, ha richiamato
l’importanza
della basilica vaticana e
ha ricordato «la continuità della missione» affidata da Gesù a Pietro.
I canti natalizi che
hanno fatto da cornice
all’inaugurazione
sono
stati eseguiti dalla banda
musicale del Corpo della
Gendarmeria vaticana e
da musicisti provenienti
dalle due regioni. Le luci
dell’albero sono state accese al suono del canto
popolare Calabrisella e il
presepe sulle note di Adeste fideles.
†
A quanti conservano ancor vivi i doni
della sua amicizia e della sua fede testimoniata nel mondo della cultura, i nipoti Adriano e Massimo con le loro famiglie ricordano
ROMANA GUARNIERI
nel 10o anniversario della morte. Una
Santa Messa di suffragio sarà celebrata
il 23 dicembre in Bologna, chiesa di
Santa Maria della Misericordia, ore 19.
nizzazione. Come pure è in corso la
causa per Sandra Sabattini, morta
ad appena ventitré anni, e già riconosciuta serva di Dio.
«Proprio don Oreste — spiega Ramonda — ci ha condotti, fin dagli
anni Sessanta, a chinarci sulle sofferenze dell’umanità, nelle periferie
esistenziali, dicendo che ci sono tanti poveri che non verranno mai a
cercarci e per questo dobbiamo andare a cercarli noi». A Ramonda
piace definire la comunità «un’isola
ecologica della Chiesa, dove arrivano tutti gli scarti che però ricuperiamo». E così ecco l’impegno accanto
«ai poveri, ai tanti bimbi con handicap gravissimi che hanno trovato un
papà e una mamma, ai tanti giovani
schiavi della droga che sono rinati».
«Nelle nostre case famiglie — afferma — si diventa padre e madre,
fratello e sorella di quanti sono in
condizioni disperate, di coloro a cui
nessuno pensa e di cui nessuno effettivamente si innamora: i dimessi
dal carcere e dagli ospedali psichiatrici, i profughi in fuga da guerre e
carestie che ritrovano una famiglia e
una comunità in cui sono riconosciuti come persone». E, ancora, «i
tanti anziani che erano nelle case di
riposo e oggi sono nostri familiari
come le oltre settemila ragazze liberate dalla schiavitù della prostituzione che hanno finalmente figli, un lavoro, un sogno di vita da costruire».
Senza dimenticare «i carcerati che
hanno avuto modo di scontare una
pena alternativa, vivendo e lavorando nelle cooperative sociali della comunità».
Del resto, rimarca Ramonda,
«non abbiamo fatto altro che rispondere al grido dei poveri aprendo le nostre famiglie, dando vita a
case famiglia, comunità terapeutiche,
case di accoglienza, poliambulatori
gratuiti». In questo modo, aggiunge, «non lasciamo soffrire nessuno
da solo perché, come dice il Papa, i
poveri non possono aspettare e nessuno di noi ha le mani pulite di
fronte ai poveri».
Questo impegno sul campo è oggi vivo in 34 Paesi di tutti i continenti. «In questo itinerario — ricorda il responsabile generale della comunità — l’obiezione di coscienza
all’opzione militare ci ha portato a
essere sentinelle di riconciliazione in
Palestina e Israele, in Colombia e in
Albania». Resta, inoltre, prioritaria
la battaglia «perché venga riconosciuto l’inestimabile dono della maternità», tanto che la comunità ha
bussato alla porta dell’Onu e di chi
ha in mano le leve del potere economico e finanziario. Ma, alla fine,
Ramonda ha anche rivelato il segreto di questa grande missione, così
come lo ha trasmesso don Benzi:
«Per stare coi poveri bisognare stare
col Signore e per questo per stare in
piedi bisogna stare in ginocchio».
José Guadalupe
Torres Campos
vescovo di Ciudad Juárez
Nato il 19 gennaio 1960, ha studiato filosofia e teologia nel seminario di León. Ha ottenuto la licenza in storia della Chiesa presso
la Pontificia università Gregoriana. Il 2 luglio 1984 ha ricevuto
l’ordinazione sacerdotale. Ha svolto i seguenti incarichi pastorali:
prefetto nel seminario minore di
León, segretario particolare del vescovo, notaio del tribunale ecclesiastico, vicario parrocchiale, cancelliere della curia diocesana, parroco, vicario episcopale e vicario
generale della diocesi di Irapueto,
nella quale è stato incardinato nel
2004. Il 10 dicembre 2005 è stato
eletto vescovo ausiliare di Quiza e
ausiliare di Ciudad Juárez. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il
22 febbraio 2006. Il 25 novembre
2008 è stato nominato primo vescovo della diocesi di Gómez Palacio.
Diplomati
al corso
dello Studio rotale
Sono cinque i candidati che quest’anno hanno conseguito il diploma di avvocato rotale nella sessione autunnale del corso dello Studio rotale. Si tratta di Elena Ariu,
Paolo Carraro, Maria Pasqualina
Grauso, Valeria Mina Anna Mastropierro e Jacques-Yves Pertin.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 21 dicembre 2014
Don Oreste Benzi ricordato dal Pontefice nell’udienza alla comunità fondata dal sacerdote romagnolo
Schiavitù e liberazione
La miseria più pericolosa è quella di chi ha la presunzione di poter fare a meno di Dio
Sabato 20 dicembre Papa Francesco ha
ricevuto in udienza l’Associazione
Comunità Papa Giovanni XXIII, e
dopo aver ascoltato alcune
testimonianze che «parlano di schiavitù
e di liberazione», ha sottolineato che
certe esperienze «mettono in luce le
tante forme di povertà da cui
purtroppo è ferito il nostro mondo; e
rivelano la miseria più pericolosa,
causa di tutte le altre: la lontananza
da Dio, la presunzione di poter fare a
meno di lui».
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo con gioia e vi ringrazio
per la vostra calorosa accoglienza.
Ringrazio il responsabile, Giovanni
Paolo Ramonda, per le parole che
mi ha rivolto a nome di tutti; e grazie tante a voi che avete dato la vostra testimonianza.
I vostri racconti parlano di schiavitù e di liberazione, parlano
dell’egoismo di quanti pensano di
costruirsi l’esistenza sfruttando gli
altri e della generosità di coloro che
aiutano il prossimo a risollevarsi dal
degrado materiale e morale.
Sono esperienze che mettono in
luce le tante forme di povertà da cui
purtroppo è ferito il nostro mondo;
e rivelano la miseria più pericolosa,
causa di tutte le altre: la lontananza
da Dio, la presunzione di poter fare
a meno di Lui. Questa è la miseria
cieca di considerare scopo della propria esistenza la ricchezza materiale,
la ricerca del potere e del piacere e
di asservire la vita del prossimo al
conseguimento di questi obiettivi.
Sì, amici, è la presenza del Signore che segna la differenza tra la libertà del bene e la schiavitù del male, che può metterci in grado di
compiere opere buone e di trarne
una gioia intima, capace di irradiarsi
anche su quelli che ci stanno vicino.
La presenza del Signore allarga gli
orizzonti, risana i pensieri e le emozioni, ci dà la forza necessaria per
superare difficoltà e prove. Là dove
c’è il Signore Gesù, c’è risurrezione,
c’è vita, perché Lui è la risurrezione
e la vita.
La fede sposta davvero le montagne dell’indifferenza e dell’apatia,
del disinteresse e dello sterile ripiegamento su se stessi. La fede apre la
porta della carità facendoci desiderare di imitare Gesù, ci incita al bene,
fornendoci il coraggio per agire
sull’esempio del Buon Samaritano.
Lo sapeva molto bene Don Oreste Benzi, il fondatore della vostra
Associazione. Il suo amore per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli
abbandonati, era radicato nell’amore
a Gesù crocifisso, che si è fatto povero e ultimo per noi. La sua coraggiosa determinazione nel dare vita a
tante iniziative di condivisione in diversi Paesi sgorgava dal fiducioso
abbandono alla Provvidenza di Dio;
scaturiva dalla fede in Cristo risorto,
vivo e operante, capace di moltiplicare le poche forze e le risorse disponibili, come un tempo moltiplicò
i pani e i pesci per sfamare le folle.
Dalla missione di coinvolgere gli
adolescenti e interessarli alla persona
di Gesù, nacque nel servo di Dio
Don Oreste Benzi l’idea di organizzare per loro un “incontro simpatico
con Cristo”, vale a dire un incontro
vitale e radicale con Lui come eroe e
amico, mediante testimonianze di vita vissuta, che mostrassero in pienezza il messaggio cristiano, ma in modo gioioso e persino scherzoso. Nacque così la vostra comunità, oggi
presente in 34 Paesi con le sue Casefamiglia, le cooperative sociali ed
educative, le Case di preghiera, i servizi per accompagnare le maternità
problematiche, e altre iniziative. La
Provvidenza vi ha fatto crescere,
provando la vitalità del carisma del
Fondatore, il quale amava ripetere –
come ha detto il Responsabile generale – che «per stare in piedi bisogna stare in ginocchio».
Cari fratelli e sorelle, faccio mio
l’invito che vi rivolse san Giovanni
Paolo II a curare la vostra formazione spirituale e l’assidua frequenza ai
Sacramenti e a fare, in particolare,
dell’Eucaristia il cuore delle Case-famiglia e di ogni altra attività sociale
ed educativa (cfr. Insegnamenti XXVII,
2, 2004, 632). È da un cuore colmo
dell’amore di Dio che sgorga la carità per i fratelli e le sorelle.
Vi chiedo per favore di pregare
per me. Vi affido tutti alla Madonna, che vi conceda un Natale pieno
di amore e di gioia, e di cuore vi benedico.
Preghiamo la Madonna per ricevere la benedizione, tutti insieme:
Ave o Maria, ...
Il Papa per i detenuti di Rebibbia
In segno di augurio per il Natale, Papa Francesco regalerà ai detenuti di
Rebibbia il libretto Preghiere distribuito domenica scorsa in piazza San
Pietro. A consegnare materialmente il suo dono sarà l’elemosiniere pontificio, l’arcivescovo Konrad Krajewski, che domenica 21 dicembre si recherà nel carcere romano, su incarico del Papa, per celebrare la messa con i
reclusi, che attualmente sono 2500, di cui 2100 uomini e 350 donne, con
20 bambini di età non superiore ai 3 anni. Il 38 per cento di essi non sono italiani. Nel penitenziario operano 6 cappellani e 150 volontari.
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