Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIV n. 291 (46.833) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 21 dicembre 2014 . Don Oreste Benzi ricordato dal Pontefice nell’udienza alla comunità fondata dal sacerdote romagnolo A gennaio i primi provvedimenti di rimozione dell’embargo Schiavitù e liberazione Obama fissa le tappe del disgelo con Cuba La miseria più pericolosa è quella di chi ha la presunzione di poter fare a meno di Dio Parlano «di schiavitù e di liberazione», di «egoismo» e di «generosità» le voci di quanti, grazie alla comunità Papa Giovanni XXIII, hanno ritrovato speranza e voglia di riscatto da una vita di emarginazione e degrado. Da quelle testimonianze — risuonate nell’Aula Paolo VI sabato mattina, 20 dicembre — ha preso spunto Papa Francesco per denunciare «le tante forme di povertà da cui purtroppo è ferito il nostro mondo». E soprattutto per ricordare che «la mi- seria più pericolosa, causa di tutte le altre», è «la lontananza da Dio, la presunzione di poter fare a meno di lui». Questa — ha sottolineato — «è la miseria cieca di considerare scopo della propria esistenza la ricchezza materiale, la ricerca del potere e del piacere e di asservire la vita del prossimo al conseguimento di questi obiettivi». Di fronte a migliaia di volontari dell’associazione fondata da don Oreste Benzi il Pontefice ha richia- mato insistentemente la testimonianza del sacerdote riminese. Il cui esempio — ha affermato — dimostra che «la fede sposta davvero le montagne dell’indifferenza e dell’apatia, del disinteresse e dello sterile ripiegamento su sé stessi. La fede apre la porta della carità facendoci desiderare di imitare Gesù, ci incita al bene, fornendoci il coraggio per agire». L’amore di don Benzi «per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli abbandonati — ha evidenziato Fran- cesco — era radicato nell’amore a Gesù crocifisso, che si è fatto povero e ultimo per noi. La sua coraggiosa determinazione nel dare vita a tante iniziative di condivisione in diversi Paesi sgorgava dal fiducioso abbandono alla Provvidenza di Dio; scaturiva dalla fede in Cristo risorto, vivo e operante, capace di moltiplicare le poche forze e le risorse disponibili, come un tempo moltiplicò i pani e i pesci per sfamare le folle». Proprio dal desiderio di coinvolgere gli adolescenti — ha ricordato il Papa — nacque nel sacerdote l’idea di organizzare per loro un «incontro simpatico con Cristo», ossia «un incontro vitale e radicale con lui come eroe e amico, mediante testimonianze di vita vissuta, che mostrassero in pienezza il messaggio cristiano, ma in modo gioioso e persino scherzoso». Fu così che prese vita la comunità, oggi presente in 34 Paesi con le sue case-famiglia, le cooperative sociali ed educative, le case di preghiera, i servizi per accompagnare le maternità problematiche e diverse altre iniziative. Una realtà, ha rimarcato il Pontefice, sostenuta dalla Provvidenza e dalla «vitalità del carisma del fondatore», il quale amava ripetere che «per stare in piedi bisogna stare in ginocchio». PAGINE 7 E 8 WASHINGTON, 20. «Le cose a Cuba non cambieranno dall’oggi al domani e continueremo a pressare sul fronte delle riforme democratiche. Ma siamo di fronte a una grande opportunità». Così si è espresso, ricevendo ieri la stampa per gli auguri di fine anno, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in particolare riguardo alla questione della tutela dei diritti umani, specificando di comprendere e condividere le preoccupazioni degli attivisti in questo campo. L’annuncio della normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, dato tre giorni fa contemporaneamente al presidente cubano Raúl Castro, è stato l’argomento principale dell’incontro. Obama ha confermato l’intenzione di accelerare i passi necessari a concretizzarlo e non ha mostrato timore per la possibilità che il partito repubblicano, maggioritario al Congresso, possa bloccare, come annunciato da diversi suoi esponenti, la sua storica decisione di porre fine a un embargo e a un conflitto ideologico durati oltre mezzo secolo. Al riguardo, la Casa Bianca ha indicato che intende varare già all’inizio del 2015 i primi decreti esecutivi che allentino la morsa delle sanzioni politiche ed economiche. Il dipartimento del Tesoro ha pronte le nuove regole per facilitare le esportazioni agricole e ristabilire le relazioni bancarie tra i due Paesi. Quello del Commercio Duecentocinquanta morti e novantamila nuovi sfollati per le violenze nel Nord Kivu Senza pace l’est congolese KINSHASA, 20. Oltre duecento cinquanta morti e quasi altri novantamila sfollati sono le drammatiche conseguenze dei massacri che stanno insanguinando la regione del Nord Kivu e in generale l’est della Repubblica Democratica del Congo, da decenni teatro di una delle maggiori e irrisolte crisi internazionali. In un comunicato dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) si esprime estrema preoccupazione «per le uccisioni e le altre gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei civili a Beni, nella regione del Nord Kivu». L’Unhcr ricorda che la zona è colpita ogni settimana Storia architettonica di un’istituzione universale Quando si viaggiava per biblioteche PAOLO VIAN A PAGINA 5 da violenze, abusi e attacchi con machete sferrati da parte di gruppi armati che hanno provocato finora 256 vittime, tra le quali diversi bambini. Le popolazioni dell’area hanno bisogno di aiuti umanitari immediati. «Se non si interviene subito, questa situazione provocherà livelli crescenti di malnutrizione che potrebbe diventare vera e propria carestia», ha detto il portavoce dell’Unhcr, Adrian Edwards. Le persone sono costrette a vivere nelle scuole e nelle chiese. Inoltre, sono stati distribuiti volantini che minacciano nuovi attacchi e che stanno terrorizzando la popolazione, innescando così altre fughe verso città più grandi. I gruppi armati cercano infatti di terrorizzare la popolazione in modo tale da farla scappare e avere libero accesso alle importanti risorse minerarie della regione, da sempre causa dei conflitti che la lacerano. L’Unhcr esorta quindi il governo della Repubblica Democratica del Congo e i caschi blu della Monusco, la missione dell’Onu in territorio congolese, a fare di più per proteggere la popolazione civile e a ga- Miliziani di uno dei gruppi armati dell’est congolese (Afp) rantire la sicurezza delle forniture umanitarie. A partire da ottobre, nell’area di Beni ci sono state diverse incursioni dei ribelli delle Forze alleate democratiche - Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu), uno dei tanti gruppi armati, locali e stranieri, che deva- stano da decenni l’est congolese. Tuttavia, l’Unhcr ritiene difficile individuare quale gruppo sia responsabile degli attacchi in questa zona colpita da un altro «grado di illegalità», e con «vari gruppi ribelli con alleanze mutevoli», come ha ricordato Karin de Gruijl, la responsabile delle attività dell’agenzia dell’O nu nell’area. Pochi giorni fa, tra l’altro, è fallita un’operazione concordata tra i Governi di Kinshasa e di Kampala per il rimpatrio di un migliaio di ex combattenti della ribellione congolese del Movimento del 23 marzo (M23) riparati in Uganda un anno fa, dopo la sconfitta inflitta loro dalle forze congiunte dell’esercito congolese e della Monusco. Un migliaio di uomini dell’M23 sono fuggiti dal campo che li accoglieva a Bihanga, durante un’operazione che avrebbe dovuto portare appunto al loro rimpatrio. «Hanno detto di temere per la loro sicurezza se fossero stati rimpatriati» ha comunicato il portavoce dell’esercito ugandese, Paddy Ankunda. Le credenziali degli ambasciatori dei Paesi Bassi, della Repubblica di San Marino e di Argentina Bandiere esposte al balcone di una casa all’Avana (LaPresse/Ap) sta già lavorando a un provvedimento per eliminare una serie di limiti alle esportazioni, a partire da attrezzature per costruzioni, strumenti per telecomunicazioni, ricambi per auto e prodotti di bellezza. È previsto che a questi acquisti siano autorizzati privati e non imprese di proprietà del Governo cubano. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Altezza Reale Jaime Bernardo Principe de Bourbon de Parme, Ambasciatore dei Paesi Bassi, per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Clelio Galassi, Ambasciatore della Repubblica di San Marino, per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Eduardo Félix Valdés, Ambasciatore di Argentina, per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il Santo Padre ha nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Giampiero Gloder, Arcivescovo titolare di Telde, Nunzio Apostolico, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica. y(7HA3J1*QSSKKM( +&!=!$!$!=! Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Ciudad Juárez (Messico), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Renato Ascencio León, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Nella mattina di sabato 20 dicembre il Papa ha ricevuto Sua Altezza Reale Jaime Bernardo principe de Bourbon de Parme, ambasciatore dei Paesi Bassi, per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede. Nella mattina di sabato 20 dicembre Francesco ha ricevuto Sua Eccellenza il Signor Clelio Galassi, ambasciatore della Repubblica di San Marino, per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede. Nella mattina di sabato 20 dicembre il Pontefice ha ricevuto Sua Eccellenza il Signor Eduardo Félix Valdés, ambasciatore di Argentina, per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Ciudad Juárez (Messico) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor José Guadalupe Torres Campos, finora Vescovo di Gómez Palacio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 21 dicembre 2014 La cerimonia del 6 agosto davanti al memoriale delle vittime di Hiroshima (Afp) I nuovi ambasciatori Paesi Bassi Intervento della Santa Sede La sfida etica del disarmo nucleare Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 9 dicembre a Vienna dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede a Ginevra presso l’ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni specializzate in occasione della conferenza di Vienna sull’impatto umanitario delle armi nucleari. Le armi nucleari sono un problema globale. Non riguardano solo gli Stati dotati di armi nucleari, ma anche gli altri firmatari non nucleari del Trattato di non proliferazione, i non firmatari, gli altri Stati possessori non riconosciuti e gli alleati «sotto l’ombrello nucleare». Hanno un impatto sulle future generazioni e sull’intero pianeta, che è la nostra casa. La riduzione della minaccia nucleare e il disarmo esigono un’eti- ca globale. Ora più che mai, i fatti dell’interdipendenza tecnologica e politica richiedono un’etica di solidarietà nella quale lavorare gli uni con gli altri per un futuro globale meno pericoloso e moralmente responsabile. La risposta data dalla comunità internazionale interesserà le generazioni future e il nostro pianeta. Tutti conosciamo i rischi collegati alle armi nucleari, non ultimo quello dell’instabilità che esse causano. È ragionevole pensare che l’equilibrio del terrore è la base migliore per la stabilità politica, economica e culturale del nostro mondo? Lo status quo è insostenibile e indesiderabile. Se non è pensabile immaginare un mondo in cui le armi nucleari siano a disposizione di tutti, è però ragionevole immaginare un mondo in cui nessuno le possiede. Inoltre, è proprio così che leggiamo le parole e lo spirito del Trattato di non proliferazione. Sono stati compiuti alcuni passi positivi in direzione dell’obiettivo di un mondo senza armi nucleari (TNP, CTBT, START, NEW START, e così via). La Santa Sede continua però a ritenere che questi passi siano limitati, insufficienti e congelati nello spazio e nel tempo. Le istituzioni che dovrebbero trovare soluzioni e nuovi strumenti sono in una situazione di stallo. Il contesto internazionale attuale, compreso il rapporto tra gli stessi Stati nucleari, non porta all’ottimismo. Il mondo deve affrontare sfide immense (problemi ambientali, flussi migratori, conflitti militari, povertà estrema, regolari crisi economiche e Varate dal Canada e dagli Stati Uniti per la crisi ucraina Altre sanzioni contro la Russia KIEV, 20. Non si attenua la pressione dei Paesi occidentali nei confronti del Cremlino per il suo comportamento nella crisi ucraina. Il Canada ha annunciato ieri sera nuove sanzioni contro la Russia per il sostegno di Mosca ai ribelli separatisti del sud-est dell’Ucraina. Le sanzioni riguardano il settore petrolifero e del gas nonché il divieto per 20 dirigenti politici russi di viaggiare in Canada. E sempre ieri il presidente statunitense, Barack Obama, ha firmato un ordine esecutivo che proibisce l’esportazione e l’importazione «di beni, tecnologia o servizi in Crimea, e anche gli investimenti in Crimea». Lo rende noto la Casa Bianca. L’ordine esecutivo, ha affermato il presidente americano «ha lo scopo di fare chiarezza per le aziende americane che fanno affari nella regione e di riaffermare che gli Stati Uniti non accettano l’occupazione russa e l’annessione della Crimea». Obama esorta quindi «di nuovo la Russia a mettere fine alla sua occupazione e ai tentativi di annessione della Crimea, a far cessare il sostegno ai separatisti nell’Ucraina orientale e ad adempiere i suoi impegni in base agli accordi di Minsk». L’Amministrazione di Washington, conclude la nota rilasciata dalla Casa Bianca, «continuerà ad aggiornare e calibrare le sanzioni, in stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, per rispondere alle azioni russe». Intanto, il conflitto in Ucraina ha causato — dal primo settembre — la chiusura di almeno 147 scuole nelle aree della provincia di Donetsk dove sono in corso i combattimenti e ha impedito a 50.000 bambini di ricevere un’istruzione. Molte scuole sono state danneggiate e altre sono ancora chiuse per problemi di sicurezza. Nell’area controllata da Kiev, 187 istituti scolastici sono stati danneggiati o distrutti. Lo ha sottolineato ieri in una nota il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). «È fondamentale che i bambini tornino a scuola e riprendano a studiare. I bambini continuano a sopportare il peso del conflitto perché l’istruzione viene sospesa e l’accesso ai servizi di base ostacolato. Molti hanno assistito a combattimenti violenti e bombardamenti. Ricordiamo alle parti in conflitto in Ucraina di garantire a tutti i bambini la protezione dalle violenze in corso», ha dichiarato Marie-Pierre Poirier, direttore regionale dell’Unicef per l’Asia centrale e l’Europa centrale e orientale. «Durante un’emergenza, le scuole sono fondamentali per mantenere stabilità, organizzazione e normalità. In Ucraina, l’istruzione aiuta a superare i traumi e lo stress ai bambini che vivono nelle zone di conflitto», rileva ancora l’Unicef. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va «Per oltre 1,7 milioni di bambini colpiti dalla crescente crisi in Ucraina orientale — aggiunge la nota dell’Unicef — la situazione rimane molto grave. Da marzo 2014, oltre un milione di persone sono sfollate dalle aree di conflitto, incluse le circa 530.000 persone che sono rimaste all’interno dell’Ucraina, 130.000 delle quali sono bambini». L’Unicef chiede 32,4 milioni di dollari per ampliare la risposta umanitaria alle famiglie ucraine. Tre bambini tra i nove morti nel naufragio di un barcone Ancora vite disperse in Mediterraneo MADRID, 20. Nove migranti, compresi tre bambini, sono morti ieri nel naufragio in Mediterraneo, al largo delle coste marocchine, del barcone sul quale stavano tentando di raggiungere la Spagna. Altre ventuno persone sono state tratte in salvo. Sempre ieri era stato respinto il tentativo di oltre duecento migranti, tutti di origine subsahariana, di entrare a Melilla, una delle due enclavi spagnole, con Ceuta, in territorio marocchino. Secondo fonti della prefettura locale, il tentativo di massa di scavalcare la doppia barriera metallica di protezione frontaliera, alta sei metri, è avvenuto a Villa Pilar, dove vari migranti sono riusciti ad arrampicarsi, sfidando i controlli della polizia, che poi li ha respinti. Si tratta del terzo episodio analogo in una settimana. Secondo stime della prefettura, oltre ventimila migranti hanno tentato quest’anno di entrare a Ceuta e Melilla. In duemila vi sono riusciti. Migranti nel Mar Mediterraneo (Ansa) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va così via). Solo la cooperazione e la solidarietà tra le nazioni sono in grado di farvi fronte. È paradossale continuare a investire in costosi sistemi di armi. In particolare, è illogico continuare a investire nella produzione e nella modernizzazione delle armi nucleari. Ogni anno vengono sprecati miliardi per sviluppare e mantenere scorte che, si suppone, non verranno mai usate. Si può giustificare un costo così elevato solo per ragioni di status? L’espressione sicurezza nazionale salta fuori spesso nei dibattiti sulle armi nucleari. Pare che questo concetto venga utilizzato in maniera parziale e tendenziosa. Tutti gli Stati hanno il diritto alla sicurezza nazionale. Perché la sicurezza di alcuni può essere garantita solo con un particolare tipo di arma, mentre altri Stati devono fare senza? D’altro canto, ridurre, in pratica, la sicurezza degli Stati alla sua dimensione militare è artificiale e semplicistico. Lo sviluppo socioeconomico, la partecipazione politica, il rispetto dei diritti umani fondamentali, il rafforzamento dello Stato di diritto, la cooperazione e la solidarietà a livello regionale e internazionale, e così via, sono essenziali per la sicurezza nazionale degli Stati. Non è forse urgente rivedere, in modo trasparente, come gli Stati, specialmente quelli dotati di armi nucleari, definiscono la propria sicurezza nazionale? Stiamo ora assistendo, dopo due decenni persi, a una rinnovata sensibilità alla causa del disarmo nucleare. Durante l’ultimo decennio della guerra fredda, Chiese, Ong, accademie, gruppi di esperti e movimenti popolari si sono impegnati per un mondo senza armi nucleari. L’obiettivo, le intenzioni e gli argomenti continuano ad essere validi anche se il contesto internazionale è mutato. L’«iniziativa umanitaria» è una nuova speranza per compiere passi decisivi verso un mondo privo di armi nucleari. La collaborazione tra Stati, società civile, Cicr, organizzazioni internazionali e Nazioni Unite è un’ulteriore garanzia di inclusione, cooperazione e solidarietà. Non si tratta di un’azione di circostanza. È un cambiamento fondamentale che risponde alla ricerca profonda di molte popolazioni del mondo, che sarebbero le prime vittime di un evento nucleare. Sin dagli inizi dell’era nucleare, la Santa Sede sostiene l’abolizione di queste armi che, a quanto pare, sono prive di qualsiasi logica militare. D all’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) la Santa Sede continua a mettere in discussione la base etica della cosiddetta dottrina della deterrenza nucleare. Le conseguenze etiche e umanitarie del possesso e dell’utilizzo di armi nucleari sono catastrofiche e vanno ben oltre la razionalità e la ragionevolezza. Questa Delegazione è consapevole che l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari non è facile da raggiungere. Per questo sono necessarie tutte le energie e l’impegno. Lo sono ancora di più in questo tempo di tensioni internazionali. Il ruolo delle Chiese e delle comunità religiose, della società civile e delle istituzioni accademiche è essenziale per non far morire la speranza, per non permettere al cinismo e alla realpolitik di prendere il sopravvento. Un’etica basata sulla minaccia e sulla mutua distruzione assicurata non è degna delle generazioni future. Solo un’etica radicata nella solidarietà e nella pacifica coesistenza è un grande progetto per il futuro dell’umanità. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Sua Altezza Reale Jaime Bernardo Principe de Bourbon de Parme, nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, è nato a Nijmegen il 3 ottobre 1972. È sposato e ha una figlia. Laureato in relazioni internazionali alla Brown University, negli Stati Uniti d’America, ha intrapreso la carriera diplomatica nel 2001, lavorando prima a Baghdad e poi presso la direzione dei Diritti Umani del ministero degli Affari Esteri. In seguito, ha ricoperto i seguenti incarichi: segretario particolare dell’Euro commissario Kroes presso la Commissione europea a Bruxelles (2005-2007); collaboratore politico senior presso la sezione Gestione di crisi e Operazioni di pace del ministero degli Affari Esteri (20072011); rappresentante speciale per le Risorse naturali presso la direzione Ambiente, Clima ed Energia del ministero degli Affari Esteri (dal 2011 a oggi). A Sua Altezza Reale Jaime Bernardo Principe de Bourbon de Parme, nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a ricoprire l’alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale. Repubblica di San Marino Sua Eccellenza il Signor Clelio Galassi, nuovo ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede, è nato a a Serravalle il 2 marzo 1950. È sposato e ha due figli. Ha conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale presso l’istituto San Gabriele, a Roma, nel 1970. Oltre ad aver svolto la libera professione di commercialista, ha ricoperto, tra gli altri, i seguenti incarichi: membro del Consiglio Grande e Generale della Repubblica di San Marino (1974-2012); capitano reggente della Repubblica nel semestre aprile-ottobre 1976; depu- tato all’Industria, Artigianato e Commercio (1978); membro del consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio della Repubblica di San Marino (1978-1988); vice segretario del Partito Democratico Cristiano (1985-1988); deputato al Commercio, ai rapporti con le Giunte di Castello e ai rapporti con l’Azienda di Stato servizi produzione (Assp) (1989-1990); segretario di Stato alle Finanze, Bilancio e Programmazione economica, nonché delegato ai rapporti con l’Azienda filatelica - numismatica (1990-2002); governatore del Fondo monetario internazionale (Imf), «avendone curato l’ingresso della Repubblica di San Marino» (1998-2002); governatore della Banca mondiale (World Bank), «avendone curato l’ingresso della Repubblica di San Marino» (2000-2002); presidente della commissione Affari Costituzionali del Consiglio Grande e Generale (2002-2012); membro della commissione Politiche territoriali del Consiglio Grande e Generale (20022012). A Sua Eccellenza il Signor Clelio Galassi, nuovo ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a ricoprire l’alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale. Argentina Sua Eccellenza il Signor Eduardo Félix Valdés, nuovo ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, è nato il 16 febbraio 1956. È sposato e ha tre figli. Si è laureato in legge all’Universidad de Buenos Aires e ha conseguito un master in relazioni internazionali all’Universidad de Murcia y Georgetown. Ha ricoperto, tra gli altri, i seguenti incarichi: segretario generale del Governo della città di Buenos Aires (1989-1990); vice presidente del Partido Justicialista (1987-1990); consigliere di Quartiere della città di Buenos Aires (19911993); membro della Costituente nazionale (1994); direttore e fondatore della Scuola nazionale di Governo dell’Istituto nazionale della Pubblica amministrazione (19951998); deputato per la città di Buenos Aires e presidente del Bloque dei deputati della città, Frente justicialista (2000-2003); capo di Gabinetto della Cancelleria (2003-2005); consultore del Corredor Bioceánico Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Aconcahua (2005-2014). Attualmente svolge la professione di avvocato. A Sua Eccellenza il Signor Eduardo Félix Valdés, nuovo ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, giungano, nel momento in cui si accinge a ricoprire l’alto incarico, le felicitazioni del nostro giornale. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 21 dicembre 2014 pagina 3 I peshmerga infliggono una dura sconfitta all’Is L’inverno aggrava la crisi degli sfollati iracheni In Tunisia si torna alle urne per il ballottaggio presidenziale TUNISI, 20. Tunisia nuovamente alle urne domani per eleggere il primo presidente della Repubblica del dopo Ben Ali, che rimarrà in carica cinque anni. Si tratta del ballottaggio per un voto molto sentito dai tunisini e che conclude il processo di transizione democratica iniziato dal Paese nordafricano oltre tre anni fa con le elezioni del 23 ottobre 2011. Un passo verso quella normalizzazione della vita politica particolarmente auspicata dalla popolazione, viste le pesanti sfide poste dalla crisi economica e dalla minaccia del terrorismo. A sfidarsi sono il leader del partito laico Nidaa Tounes, maggioritario nel Paese, Béji Caïd Essebsi, e l’attuale presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, sostenuto dagli islamici. I due sfidanti al primo turno avevano ottenuto rispettivamente il 39,46 per cento e il 33,43 per cento delle preferenze degli elettori. Essebsi, 88 anni, avvocato e uomo di Stato, veterano della politica, ha rivestito varie cariche ministeriali sotto la presidenza di Habib Bourguiba, «padre dell’indipendenza tunisina». Dopo una prolungata assenza dalle scene politiche è stato alla guida del Governo fino al novembre 2011, quando ha lasciato il posto ad Hamadi Jebali di Ennhadha. Nel 2012 ha fondato il partito Nidaa Tounes per creare una grande forza di centro. Strenuo sostenitore dello Stato di diritto, si considera erede di Bourguiba e dei suoi valori. Moncef Marzouki, medico, scrittore, militante dei diritti dell’uomo, ha vissuto molti anni in Francia. Rientrato in Tunisia subito dopo la rivolta contro Ben Ali, è stato eletto dalla coalizione al potere presidente della Repubblica. Ha impostato tutta la sua campagna elettorale sulla difesa dei valori della rivoluzione contro il ritorno del vecchio regime, a suo modo di vedere, impersonato proprio dal suo avversario. Stando alle dichiarazioni dei partiti e considerati i risultati del primo turno, Essebsi continua a rimanere favorito, con Marzouki obbligato a recuperare quei sei punti che lo separano dall’avversario. Il futuro presidente avrà il compito affidare l’incarico di formare il Governo al premier espresso dal partito di maggioranza. BAGHDAD, 20. L’inverno sta aggravando la crisi delle popolazioni irachene, in particolare dei quasi due milioni di sfollati causati dall’attacco del cosiddetto Stato islamico (Is). E l’Onu avverte di aver ottenuto meno della metà dei fondi richiesti per fronteggiare l’emergenza. L’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) specifica infatti che mancano ancora settanta dei centodieci milioni di euro necessari. «In Iraq, a causa del violento conflitto in corso, si sta consumando una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi vent’anni. Siamo grati del contributo dato finora dai Governi, ma non è abbastanza», si legge in un appello lanciato da Carlot- ta Sami, la portavoce in Italia, dell’Unhcr. Secondo gli ultimi dati, oltre seicentomila persone vivono in tende allestite in otto campi dell’Unhcr, mentre altre settecentomila si trovano in condizioni di estrema precarietà all’interno di edifici abbandonati o ancora in costruzione e persino nei parchi pubblici. La popolazione irachena ha bisogno di cibo, acqua potabile, servizi igienici, medicinali, materassi, coperte e stoviglie. Sul piano militare, intanto, le forze peshmerga curde hanno annunciato di aver inflitto una dura sconfitta alle milizie dell’Is nella battaglia per il controllo dell’area di Zammar, a ovest di Mosul, il capo- luogo della provincia settentrionale di Ninive, al confine con la Siria. «L’esito dell’attacco peshmerga nei villaggi di Kirkamish, Karez, Kopanki, Qsrrig, Fiqirok, Hamo Kolo e Haknam è di 126 miliziani dell’Is uccisi», ha detto Saeed Mamousine, portavoce del partito dei lavoratori del Kurdistan, principale forza politica dei curdi. L’offensiva, che in due giorni ha permesso alle forze curde e a quelle governative irachene di riprendere il possesso di settecento chilometri quadrati di territorio, è proseguita ieri anche in direzione di Tal Afar, dopo che è stato spezzato l’assedio posto dall’Is alle migliaia di yazidi fuggiti da Sinjar e riparati sull’omonimo monte. L’avanzata fa seguito ad altri successi riportati dalle forze che combattono l’Is nelle ultime settimane nelle province di Salahuddin e di Diyala. Ma l’Isis continua a controllare Mosul e vaste porzioni della provincia di Al Anbar, a ovest di Baghdad, confinante anch’essa con la Siria. Un campo di rifugiati nei pressi di Kirkuk (Reuters) Alla vigilia della tregua unilaterale annunciata dal gruppo guerrigliero Cinque militari colombiani uccisi dalle Farc Dopo il lancio di un missile da parte palestinese Raid aereo di Israele sulla Striscia di Gaza TEL AVIV, 20. L’aviazione israeliana ha compiuto la notte scorsa un raid contro un centro di addestramento dell’ala militare di Hamas vicino a Khan Yunis, località nel sud della Striscia di Gaza. Un portavoce dell’esercito ha confermato l’attacco contro strutture di addestramento della fazione islamica nella Striscia, spiegando che si è trattato di una risposta al missile sparato ieri contro Israele. Il raid della scorsa notte è il primo compiuto dalle forze israeliane dalla fine dell’intervento militare a Gaza in agosto. In cinquanta giorni di combattimenti, i morti sono stati 2.140 tra i palestinesi e settantatré israeliani, in maggioranza sol- Appello all’Onu dei Paesi del Sahel sul conflitto libico Ultima fase delle elezioni in Kashmir NOUAKCHOTT, 20. I cinque Paesi del Sahel, Mauritania, Ciad, Niger, Mali e Burkina Faso, riuniti ieri a Nouakchott, chiedono «un intervento internazionale» contro i gruppi armati in Libia, «in accordo con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Lo ha annunciato il presidente mauritano, Mohamed Ould Abdel Aziz, citato dall’agenzia Mena. Alcuni Paesi limitrofi, ha aggiunto senza citarli, «hanno espresso delle riserve» su un eventuale intervento internazionale, ma «la decisione spetta alla Libia che lo ha richiesto». D’altra parte nel recente primo Forum per la pace e la sicurezza di Dakar, i cinque Paesi del Sahel avevano auspicato di dare una risposta coordinata ai fondamentalisti islamici armati. SRINAGAR, 20. Urne aperte stamane negli Stati del Jammu e Kashmir e del Jharkhand per la quinta e ultima giornata delle elezioni regionali. Come nelle precedenti fasi, iniziate il 25 novembre, si prevede un’alta affluenza alle urne, nonostante il rischio di violenze, soprattutto nella regione del Kashmir, contesa tra India e Pakistan, dove sono attivi diversi gruppi separatisti. Nel Kashmir oltre 1,8 milioni di elettori votano per rinnovare venti degli ottantasette seggi del Parlamento locale. Dichiarata la massima allerta per il rischio di infiltrazione di militanti islamici. Nel piccolo Stato centrale del Jharkhand si rinnovano invece sedici collegi elettorali. Lo spoglio dei risultati del voto è previsto fra tre giorni. dati. Sia il missile di ieri, il terzo sparato dalla Striscia dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che il raid di stanotte non hanno comunque provocato vittime o feriti gravi. Lo hanno confermato fonti sanitarie riprese dalla stampa. Nel corso di una recente manifestazione a Gaza, il movimento palestinese — che governa la Striscia dal 2007 — ha mostrato numerosi razzi e lanciamissili. Lanci sporadici vengono solitamente rivendicati da gruppi minori di miliziani e non da Hamas. I colloqui, che si sarebbero dovuti tenere al Cairo il mese scorso per rafforzare la tregua, sono stati rimandati. BO GOTÁ, 20. I guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno ucciso ieri cinque soldati in un attacco alla vigilia del cessate il fuoco unilaterale da loro proclamato. Una tregua salutata da molti analisti politici internazionali come un passo cruciale e decisivo nei negoziati di pace con il Governo di Bogotá. Secondo fonti dell’esercito, una pattuglia di militari è caduta in un agguato nella zona rurale di Santander de Quilichao, nel dipartimento di Cauca, nella Colombia occidentale. Nell’agguato, cinque militari sono morti, mentre altri diciassette sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. L’attacco è stato condannato dal capo negoziatore governativo, Humberto de la Calle. «Dobbiamo ribadire che l’obiettivo dei colloqui è fermare le violenze», ha sottolineato nel corso di una conferenza stampa. L’episodio è avvenuto alla vigilia dell’avvio, oggi, della tregua unilaterale dichiarata mercoledì scorso dalla guerriglia, una decisione lodata dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite sulla strada per accelerare i colloqui di pace, volti a mettere fine a cinquant’anni di sanguinosa guerra civile. «Un regalo pieno di spine», l’ha invece definito il presidente colombiano, Juan Manuel Santos. In una nota, il capo dello Stato ha nuovamente respinto la richiesta dei ribelli di un cessate il fuoco bilaterale delle Farc, il gruppo armato più longevo dell’America latina. Secondo Santos, la tregua servirebbe ai guerriglieri per riorganizzarsi. I negoziati di pace in corso di svolgimento all’Avana (Cuba) da due anni hanno incontrato forti ostacoli nelle ultime settimane. In particolare, con la cattura da parte delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia di un generale dell’esercito, il più alto in grado mai catturato, rilasciato poi il 30 novembre scorso nel tentativo di fare ripartire i colloqui di pace. Nelle trattative all’Avana le due parti hanno comunque già trovato un’intesa sulla riforma agraria, sulla partecipazione nella vita politica colombiana degli ex guerriglieri e sulla lotta al narcotraffico. Buenos Aires chiede a Londra di negoziare sulle Falkland-Malvinas BUENOS AIRES, 20. La presidente argentina, Cristina Fernández de Kirchner, ha chiesto al Governo di Londra di «negoziare sulla sovranità delle Malvinas», le isole nell’Atlantico contese alla Gran Bretagna, che le chiama Falkland. Facendo riferimento alla svolta nei rapporti tra Stati Uniti e Cuba, annunciata mercoledì scorso da Barack Obama e Raúl Castro, la pre- sidente argentina ha invitato il premier britannico David Cameron a seguire l’esempio del capo della Casa Bianca. Per il possesso dell’arcipelago i due Paesi combatterono nel 1982 una guerra, vinta da Londra. Da allora i due Governi non hanno mai aperto trattative, sollecitate dall’Argentina in sede Onu, né tantomeno trovato un accordo. Ancora violenze della polizia a New York Bombardamento statunitense nel Nord Waziristan ISLAMABAD, 20. Almeno sei sospetti militanti islamici sono stati uccisi oggi in un attacco di un drone americano nel distretto tribale del Nord Waziristan, nel nord-ovest del Pakistan, dove da metà giugno è in corso una massiccia offensiva dell’esercito contro i talebani. Lo riportano fonti di sicurezza sul posto. Il velivolo avrebbe colpito con quattro missili un covo del gruppo talebano di Hafiz Gul Bahadur, nell’area di Datta Khel, una delle roccaforti dei jihadisti, dove da mesi è in corso una battaglia tra insorti e forze governative. Si tratta del secondo raid con un drone dopo quello di ieri che ha ucciso otto talebani sulla frontiera con l’Afghanistan nella Khyber Agency dove si sospetta sia nascosto il leader del gruppo Teherek-e-taleban Pakistan (Tti), il mullah Fazlullah, che avrebbe ordinato la strage nella scuola di Pesha- war costata la vita a oltre 140 persone, quasi tutti bambini. In seguito alla carneficina di martedì, il Governo di Islamabad ha deciso di intensificare la lotta contro gli estremisti islamici nelle aree tribali pashtun lungo la frontiera afghana. Del resto, dopo la tragedia di Peshawar, il comandante in capo dell’esercito, generale Raheel Sharif, ha detto che l’attentato ha rafforzato la determinazione delle forze di sicurezza di arrivare alla «definitiva eliminazione» degli estremisti. E, ieri, le autorità pakistane avrebbero eseguito le prime due condanne a morte dopo aver annunciato la fine della moratoria in vigore dal 2008. Lo ha annunciato la televisione di Stato pakistana, spiegando che l’impiccagione dei due terroristi sarebbe stata eseguita nella prigione della città di Faisalabad, nella provincia centrale del Punjab. Proteste davanti al municipio di New York City (Afp) WASHINGTON, 20. È successo ancora. La polizia di New York è di nuovo nella bufera dopo un video shock che mostra un agente in borghese che picchia un dodicenne di colore. L’episodio è avvenuto in pieno giorno sotto gli occhi increduli dei passanti. Le immagini mostrano alcuni agenti che tentano di ammanettare un ragazzo. All’improvviso spunta un agente in borghese che, ignorando i suoi colle- ghi, si scaglia contro il dodicenne e inizia a percuoterlo ripetutamente. La polizia di New York, che nel frattempo ha avviato un’indagine, ha fatto sapere che il ragazzo, insieme a un altro, è stato arrestato con l’accusa di aver aggredito un compagno di classe. L’arresto del giovane è avvenuto a meno di un mese dall’omicidio di Tamir Rice, un altro dodicenne ucciso da un poliziotto a Cleveland, in Ohio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 21 dicembre 2014 Tutto il Paese è consapevole che non saranno sufficienti i trent’anni a suo tempo previsti per amalgamare completamente le due comunità Venticinque anni dopo la riunificazione tedesca Il muro nella testa di ANGELO PAOLUZI venticinque anni dal crollo del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, propongono una più matura riflessione sull’attuale stato delle cose nella Repubblica federale. Per molti anni si è parlato di un “muro nelle teste” che persisteva a dividere i tedeschi delle due parti, i wessi all’Ovest e gli ossi all’Est. Ancora nel 2004 alla domanda se l’unificazione avesse prodotto maggiore soddisfazione o preoccupazione, gli occidentali rispondevano in negativo al 37 per cento e in positivo al 44, contro il 22 e il 60 di quelli orientali. Si è trattato del livello più basso di incomprensione, al punto di preoccupare classe dirigente e opinione pubblica. A distanza di dieci anni la situazione appare nettamente migliorata: per 67 soddisfatti all’Ovest ci sono soltanto 8 insoddisfatti all’Est, rispettivamente 72 e 5. Ciò non significa l’eliminazione di una sensazione, nella parte orientale, I Mstislav Rostropovich suona davanti al Muro di (10 novembre 1989) che si sia stati in qualche maniera colonizzati da quella occidentale. Per la verità, specialmente nei primi anni dopo l’unificazione, si sono verificati parecchi episodi di cannibalismo economico a danno della Germania ex comunista che hanno lasciato ferite psicologiche non ancora completamente sanate. Ma quella che a lungo è stata definita «ostalgia» (un neologismo che indicava la nostalgia dell’Est) ha ceduto il campo al sentimento, specialmente nelle giovani generazioni, di essere ormai partecipi di una patria sufficientemente condivisa. E questo nonostante le statistiche parlino di un tasso di disoccupazione all’Est del 9,7 per cento (dieci anni fa al 18,4) contro il 6 all’Ovest; di un reddito individuale medio di 23.700 euro (comunque più 154 per cento rispetto al 1990) contro 33.400 (più 52). I cinque Laender dell’ex Germania comunista hanno subito dall’unificazione un calo della popolazione da 16 a 12,5 milioni, in una corsa all’Occidente confermata da un sondaggio secondo il quale 58 cittadini dell’Est su cento rispondono sì alla domanda se preferirebbero trasferirsi, per esempio, in Baviera o nel Baden Wuerttenberg, dove sono corrisposti salari mediamente più alti di un terzo. Al momento dell’unificazione il cancelliere Helmut Kohl aveva promesso, in uno slancio di ottimismo, «paesaggi fiorenti» a breve per l’altra Germania. La realtà è stata meno generosa, anche se la maggioranza degli ossi riconosce i vantaggi del nuovo sistema, se non altro sul piano delle libertà individuali, molto apprezzate dai giovani che non hanno ricordi dell’oppressione del regime comunista. Gli anziani invece sono critici specialmente per quanto riguarda il sistema sanitario, l’assistenza del welfare e l’istruzione, che sostengono fossero più efficienti. In effetti, nell’insieme della Repubblica federale si allarga la forbice delle possibilità tra i figli dei ceti benestanti e medio alti e quelli delle classi inferiori. Eravamo in Germania proprio nei giorni in cui si commemorava il venticinquesimo anniversario del crollo del muro e — a parte le liturgie ufficiali e la manifestazione suonoe-luci di Berlino — non Berlino abbiamo riscontrato una particolare enfasi popolare nel ricordare la data, sobriamente commentata anche dai media. Probabilmente perché, al di là dal dato dell’unificazione, tutto il Paese è consapevole che non saranno sufficienti i trent’anni a suo tempo previsti per un completo amalgama delle due comunità che, non dimentichiamolo, a lungo hanno percorso cammini divisi. Come dimostra la persistente differenza di linguaggi quotidiani: dello stesso classico dizionario, il Duden, sono ancora in uso due versioni, rispettivamente pubblicate a suo tempo nella Repubblica federale e nella Repubblica democratica tedesca, con definizioni di- verse degli stessi termini, e la prima stenta a imporre il proprio carattere di ufficialità. Un altro settore di disagio è quello della criminalità. I cittadini dell’Est si sentivano più tutelati dal potere, che utilizzava, certamente, mezzi di repressione assai spicci e meno rispettosi dei diritti individuali. Nell’ex Germania comunista, sinio e alla strage. Ci sono ancor oggi città e villaggi proclamati «zone nazionali liberate», nelle quali cioè gli stranieri non possono entrare e la stessa forza pubblica teme di intervenire: fra l’altro, il capo della polizia di un distretto fra i più a rischio è staNei primi tempi dopo l’unificazione to assassinato da un commando di fanatici estremisi sono verificati parecchi episodi sti di destra, gli stessi che di cannibalismo economico spesso organizzano marce a danno della Germania ex comunista e si abbandonano ad atti di teppismo e saccheggi. Non troppo tempo fa sei giovani su dieci affermavadall’unificazione, si è assistito, parti- no di simpatizzare per i princìpi nacolarmente in Brandeburgo e in zisti; e alcuni anni orsono gli abitanMecklenburgo, alla maggior parte ti di Rostock per diverse notti misedegli episodi di razzismo di tutto il ro a ferro e fuoco un quartiere della Paese, in qualche caso sino all’assas- città per impedire l’insediamento di È morto Michael Kunzler Il teologo tedesco Michael Kunzler, considerato tra i maggiori storici della liturgia, è morto lunedì 15 all’età di 63 anni. Dal 1988 era ordinario di scienza liturgica presso la facoltà teologica di Paderborn, in Germania. Tra i suoi libri tradotti in italiano figurano Carisma e liturgia. Teologia e forma dei ministeri liturgici laicali (Eupress, 2006), La liturgia della Chiesa (Jaca Book, 2003) e «Mistero della fede». Introduzione alla celebrazione eucaristica (Eupress, 2003). Kunzler si era affermato negli ultimi venticinque anni come storico del culto cristiano in occidente e in oriente, che aveva indagato cercando di rendere conto dell’esigenza spirituale connessa agli atti liturgici, e di rispondere agli interrogativi relativi alla forma futura della liturgia. Nato nel 1951 a Saarbrücken, aveva studiato teologia a Treviri e a Monaco di Baviera. Dopo il diploma e vari studi attinenti alle lingue slave, nel 1978 aveva conseguito il dottorato con una tesi sulla teologia eucaristica dell’umanista Gerhard Lorich. Nel 1980 era stato ordinato sacerdote e dal 2005 era consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. un ufficio di registrazione per stranieri che richiedevano asilo. Del resto le statistiche affermano che in Germania la percentuale degli episodi di xenofobia è fra le più alte in Europa. Non a caso ciò avviene più di frequente in quella parte del Paese che per oltre cinquantacinque anni ha assistito al succedersi di due ideologie, nazionalsocialista e comunista, che hanno lasciato un’impronta moralmente negativa basata sull’uso della violenza come fatto politico. E appunto uno dei più preoccupanti elementi di scissione culturale fra le due parti della Germania sta nell’emarginazione del fatto religioso: se in Occidente l’indifferentismo confessionale raggiunge, anno dopo anno, percentuali preoccupanti, nell’ex zona comunista 6 su 10 (8 su 10 in Sassonia-Anhalt) si dicono non credenti, e fra gli altri la pratica religiosa è bassissima. Paradossalmente, una sorta di pietà popolare generalizzata compensa il diffuso ateismo di fatto. Come è dimostrato dalla ripresa di pellegrinaggi verso gli alti luoghi della cristianità tedesca: un esempio per tutti la chiesa di Nostra Signora a Dresda, un tempio barocco che fu raso al suolo dai bombardamenti alleati nel 1945 e che (mai restaurato dalle autorità comuniste) è stato ricostruito, dopo la riunificazione, nello splendore originario con milioni di contributi, anche modesti, di tutti i cittadini, dell’Ovest e dell’Est, e persino dei piloti alleati che l’avevano distrutta. Una nuova monografia contribuisce al recupero critico di Tiepolo Allegria e bravura di ANTONIO PAOLUCCI Giambattista Tiepolo nacque a Venezia, nel popolare quartiere di Castello, nel 1696. Nel 1717, a 21 anni, risulta iscritto nella corporazione dei pittori. Esiste una fatalità nelle date. Il 1717 è la vigilia della grande pace con il Turco firmata l’anno dopo a Passarowitz dai plenipotenziari austriaci russi e veneziani. Dopo quasi un secolo di incessante e spesso eroico affrontamento militare con la potenza ottomana (prima la guerra di Candia, poi quella di Morea) ora la Repubblica del Leone, perduto per sempre l’impero coloniale, ha di fronte a sé un lungo periodo di splendida tranquillità. La Venezia del Settecento è quella descritta da Canova nelle sue Memorie e da Voltaire nel Candide. È una città dove prosperano l’industria del lusso e il turismo internazionale, dove il carnevale dura la maggior parte dell’anno, dove si possono perdere o guadagnare fortune nel gioco d’azzardo e incontrare le donne più belle, gli uomini più affascinanti, gli avventurieri più spregiudicati d’Europa e dell’intero Levante. In questa città raffinata, cosmopolita e gaudente l’arte gioca un ruolo, anche economico, importante. Da Dresda a San Pietroburgo, da Vienna a Parigi gli artisti veneziani sono corteggiati, collezionati, quasi sempre pagati molto bene. Sono pittori di figura, di storie sacre e profane come il Pellegrini, come Pittoni, come Amigoni, come Sebastiano Ricci, sono vedutisti come Canaletto e Bellotto. Da Venezia spediscono le loro opere nelle capitali d’Europa. Spesso si trasferiscono all’estero, onorati e riveriti come i rappresentanti della grande arte del secolo. Anche Tiepolo si trasferì per lunghi periodi all’estero; prima in Germania a Würzburg a dipingere ad affresco la residenza del Principe Vescovo (1750-52), poi in Spagna dove morì nel 1770 al servizio del re Carlo III di Borbone. Attraverso un arco di tempo lungo cinquanta anni, da Udine a Milano, da Venezia a Vicenza, dalla Germania alla Spagna, Tiepolo dispiegò con inesausta «prontezza» e «facilità» la sua pittura destinata a regalare nella gloria del colore e nella memoria di Paolo Veronese, niente altro che la «felicità». Sono parole del critico settecentesco Antonio Maria Zanetti, l’interprete più intelligente della sua pittura. L’Ottocento classicista e il Novecento naturalista non hanno amato Tiepolo. Famosa è rimasta la stroncatura di Roberto Longhi nel Viatico (1946). Il recupero critico, iniziato nella seconda metà del secolo scorso (Mariuz, Pavanello), tocca ora il suo esito migliore e in un certo senso necessario nella splendida monografia Tiepolo (Milano, Silvana Editoriale, 2014, pagine 272, euro 25) firmata da Renzo e Giovanni Villa. L’opera è stata finanziata dalla Menarini, l’industria farmaceutica italiana che da sempre promuove con saggia lungimiranza l’editoria d’arte di qualità. Il merito principale del libro è quello di aver collocato Tiepolo al centro del Settecento veneziano, anzi di averne fatto il protagonista principale, il vero rappresentante del secolo. L’età di Voltaire e di Francesco Algarotti, di Mozart e di Metastasio, dell’Enciclopedia e del Rococò — da una parte lo scientismo laico, secolare di D’Alambert e di Diderot, dall’altra uno stile fluido, pervasivo, policromo e polimorfo destinato a consolare le fatiche dei sapienti e a dare gioia alla vita — questa stagione straordinaria della civiltà europea è rappresentata da Tiepolo più che da qualsiasi altro. Coadiuvato dai figli Lorenzo e Giandomenico, Tiepolo ha dipinto, nell’arco della sua carriera, molte migliaia di metri qua- Tiepolo, «Mecenate presenta le arti ad Augusto» (1744) vora nelle ville della Terraferma, nella Cappella Colleoni di Bergamo, nei palazzi Clerici e Casati di Milano. Nel 1786 Goethe, nel suo viaggio in Italia, attraversa il Dominio Veneto e si ferma nella Villa Valmarana alle porte di Vicenza che il Tiepolo con il figlio Giandomenico aveva affrescato una trentina di anni prima (1757) con la storia di Ifigenia e con la favola ariostesca degli amori di Angelica e Medoro. Così ne parla nelle sue memorie: «Oggi ho visitato la Villa Valmarana che il Tiepolo ha decorato lasciando liSecondo Winckelmann bero campo a tutte le sue virtù e ai suoi difetti. Lo stile subliil veneziano sarebbe stato dimenticato me non gli è riuscito come il mentre il tedesco Mengs naturale ma in questo vi sono cose deliziose; come decoratore era destinato all’immortalità in generale è pieno di allegria e Ma si sbagliava di bravura». Nelle parole di Goethe c’è l’ombra del giudizio del suo drati in affresco e su tela. Lavora per il amico, il teorico classicista Winckelmann: patriziato di antico lignaggio come i Dol- «Il Tiepolo fa più in un giorno che Menfin (nella loro casa di San Pantalon e per gs in una settimana, ma quegli appena il patriarca Dionisio nell’arcivescovado di veduto è dimenticato, mentre questi riUdine) e lavora per i nouveaux riches co- mane immortale». Winckelmann si sbame gli Zanobi diventati nobili “per soldo” gliava. A essere dimenticato è, tre secoli quando la Repubblica, nel Seicento, per dopo, l’algido Mengs, non certo il felicisrimpinguare le finanze dissanguate dalla simo Tiepolo. guerra, vendeva l’ingresso nel Maggior Tuttavia Goethe aveva capito l’essenConsiglio per la somma davvero vertiginosa di centomila ducati d’oro. Lavora per i ziale di quelle pitture mirabili quando Labia e per i Rezzonico, la famiglia che parla delle «cose deliziose» presenti nello ha dato un Papa (Clemente XIII) alla stile «naturale» della Valmarana. Goethe Chiesa ma, all’occorrenza, lavora anche non sapeva che quel linguaggio più intiper i ricchi borghesi veneziani. Nella casa mo e meditato, espressione di una sensidell’avvocato Sandi, professionista famoso bilità dimessamente feriale, di timbro già ai suoi giorni, dipinge nel soffitto del sa- preromantico, era opera di Giandomenilone d’onore l’allegoria dell’Eloquenza. La- co Tiepolo, il figlio di Giambattista. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 21 dicembre 2014 pagina 5 La rivoluzione digitale rappresenta un trapasso epocale Forse più radicale del passaggio dal rotolo al codice O dal manoscritto alla stampa André Palmeiro e i gesuiti in Asia nel Quando si viaggiava per biblioteche tiamo diventando pigri. La possibilità di disporre, con una semplice pressione del dito sulla tastiera, di innumerevoli cataloghi on line ma anche di crescenti moltitudini di manoscritti e stampati digitalizzati e consultabili, spesso in più che dignitosa risoluzione, sui computer di casa ha chiuso un’epoca e ne ha aperto un’altra. Gli itinera eruditi, le Archivreisen sembrano definitivamente tramontati. S Il libro cambierà ma non sparirà perché connaturato all’umano al suo bisogno di sapere e pensare di incontrare il passato E di sognare il futuro Stiamo vivendo una de-materializzazione delle biblioteche, destinate a divenire un non-luogo perché ormai sono ovunque e da nessuna parte. Un trapasso epocale, quello della rivoluzione digitale, forse più radicale del passaggio dal rotolo al codice o dal manoscritto alla stampa, paragonabile per la sua inedita novità alla soglia oltrepassata quando dall’oralità si passò alla scrittura. Se per il mondo delle biblioteche gli scenari del futuro sono imprevedibili, quelli del passato sono ben rappresentati dal volume dello storico oxoniense dell’architettura James W.P. Campbell e del fotografo Will Pryce La biblioteca. Una storia mondiale (Torino, Einaudi, 2014, pagine 328, euro 75). Pubblicato nel 2013 da Thames & Hudson, il volume è un inedito viaggio nelle biblioteche come luoghi fisici, dagli archivi mesopotamici alle biblioteche cinesi contemporanee. Un «panorama dell’intera storia dell’architettura bibliotecaria» che ancora mancava, a parte le classiche ma ormai invecchiate pagine di John Willis Clark in The Care of Books (1901) e quelle più recenti (1976) di Nikolaus Pevsner in A History of Building Types (1986). Campbell e Pryce hanno visitato ottantadue biblioteche in ventuno Paesi. Per una sintesi, che racchiude migliaia di anni in poco più di trecento pagine articolate in otto capitoli con centinaia di straordinarie fotografie, hanno selezionato le biblioteche più significative, fra Oriente e Occidente, con impostazione prevalentemente cronologica e ampie digressioni su temi particolari. La storia degli edifici comporta l’esame della forma del libro, delle terminologie utilizzate per descrivere le biblioteche, dell’arredamento che le caratterizza, delle diverse modalità di conservazione libraria. Ma non si creda che i mutamenti si riducano al passaggio dalla biblioteca «a leggio» o «a stalli» al «sistema a muro», che è poi quello oggi prevalente, o dalla posizione orizzontale a quella verticale dei volumi. Il merito di Campbell è di evitare un’ottica esclusivamente eurocentrica per gettare sguardi curiosi e informati anche sulle biblioteche orientali, dalle raccolte dei «Tripitaka Koreana» alle collezioni dei «sutra» buddisti, dalle ricche collezioni dell’Asia sud-orientale alle biblioteche islamiche di Córdoba, Baghdad e del Cairo. E si constata che, se bello e ricco è il contenuto, talvolta spettacolare è il contenitore, fra i capolavori dell’architettura anche novecentesca (si rimane, per esempio, senza parole davanti alle immagini degli interni della Beinecke Library dell’Università di Yale, 1963). Cassapanche, nicchie, «armaria», leggii e catene, lettori in piedi e seduti, piante longitudinali e centrali, bibliotecari versus architetti... Il senso di vertigine che accompagna il lettore nel viaggio rapido ma accurato è dominato dalla coscienza di un di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI costante mutamento. Se oggi viviamo un’accelerazione particolare, la storia ci insegna che ogni epoca ha vissuto mutamenti profondi e costanti. E se oggi il libro e quindi la biblioteca appaiono in pericolo (per la convergente concomitanza di avvento del digitale, crisi economica e dell’istruzione, tagli alla spesa pubblica che colpiscono le biblioteche sovvenzionate e fanno parlare di morte della biblioteca come istituzione sociale), Campbell sembra convinto che il suo volume non sia «una sorta di monumento commemorativo a un tipo di edificio ormai abbandonato». Mentre in Europa si assiste alla chiusura di biblioteche pubbliche, in altre parti del mondo, come in Cina, se ne costruiscono di nuove (come la biblioteca Liyuan, a Jiaojiehe, a due ore di automobile da Pechino). Di libri se ne stampano ogni anno più che in ogni era precedente (la loro lettura è un altro discorso e varia da Paese a Paese). «Forse, in futuro, il mondo passerà completamente ai libri digitali, nel frattempo, però, si renderà necessaria la conservazione di una quantità di libri cartacei senza precedenti». Insomma, sembrano affermare Campbell e Pryce, libro e biblioteche sicuramente cambieranno ma non spariranno perché connaturali all’umano, al suo bisogno di sapere, conoscere e pensare, di incontrare il passato e di sognare il futuro. Non a caso biblioteche, templi e chiese non esistono nel regno animale. Valore terapeutico di cinema e letteratura I raggi infrarossi dell’arte di SILVIA GUIDI Per capire il presente c’è qualcosa di più utile che leggere il giornale: aiuta molto di più vedere un film di Éric Rohmer, passare del tempo davanti a un quadro di Braque e leggere un romanzo di Patrick Modiano, scrive Pierre Cahne nel contributo pubblicato su Lire, écouter voir, frutto del lavoro dell’Observatoire foi et culture dei vescovi francesi (il numero 8 del 2014) dedicato all’approfondimento del valore terapeutico, non solo artistico, di cinema, letteratura e pittura. Le opere d’arte sono da sempre una strada privilegiata verso inedite visioni del mondo, e questo è ancora più vero per la cultura moderna e contemporanea. Amare i libri — si legge nella raccolta di saggi Lire, écouter, voir — significa «amare la carne e amare le cose». Perché Rohmer e non un altro regista? Perché per lui il cinema è l’analisi della realtà e delle sue contraddizioni. Per questo indaga i sentimenti e gli aspetti più banali Una scena tratta dal film di Éric Rohmer «La Boulangère de Monceau» (1962) secolo Il Visitatore Storia architettonica di un’istituzione universale di PAOLO VIAN XVI della vita quotidiana, i rapporti interpersonali, spaziando dalla solitudine all’amore in tutte le sue declinazioni e già il suo primo lungometraggio Il segno del leone (1959) presenta la caratteristica che ha reso originale l’intera sua opera: mostrare il sentire delle persone attraverso il loro sguardo sulle cose. La poetica di questo grande maestro del cinema europeo, uno degli innovatori del linguaggio cinematografico all’epoca della nouvelle vague, ha molto in comune con la «sperdutezza» che si respira nei romanzi di Modiano, in cui l’assenza del padre (con la minuscola ma anche, e forse soprattutto, con la maiuscola) condanna i personaggi a un generico senso di colpa tanto vago quanto angosciante, difficile da esorcizzare. Ma l’attesa snervante che vivono i personaggi è il segno più evidente del mistero nascosto al fondo di ogni situazione, vissuta o solo immaginata. «Ho sempre pensato — ha detto Modiano nel suo discorso di ringraziamento dopo aver ricevuto il premio Nobel, il 7 dicembre scorso — che il poeta e il romanziere conferiscono mistero a esseri umani che sembrano sopraffatti dalla vita quotidiana, a oggetti apparentemente banali, e questo a forza di osservarli con un’attenzione intensa e in modo quasi ipnotico. Sotto lo sguardo dello scrittore la vita di tutti i giorni finisce per avvolgersi di mistero e assumere una specie di luminescenza che a prima vista non c’era e rimaneva nascosta in profondità. Il ruolo del poeta e del romanziere, e anche del pittore — sottolinea Modiano — è di svelare il mistero e la luminescenza che si trovano in ogni persona. Penso al mio lontano cugino, il pittore Amedeo Modigliani: le sue tele più commoventi sono quelle in cui ha scelto come modelli persone anonime, bambini e ragazze della strada, serve, piccoli contadini, giovani apprendisti. Li ha dipinti con precise pennellate che richiamano la grande tradizione toscana, quella di Botticelli e dei pittori senesi del Quattrocento. In questo modo ha dato loro — o meglio ha svelato loro — tutta la grazia e la Il romanziere conferisce mistero a esseri umani sopraffatti dalla vita quotidiana A forza di osservarli in modo quasi ipnotico nobiltà celate dietro umili apparenze. Il lavoro del romanziere deve andare nella stessa direzione. La sua immaginazione, ben lungi dal deformare la realtà, deve svelare la sua vera natura, grazie alla potenza degli infrarossi e degli ultravioletti che captano ciò che si nasconde dietro le apparenze». A fine ottobre di quest’anno un veicolo spaziale commerciale progettato dalla Virgin Galactic è precipitato durante un volo di prova. L’idea del progetto era quello di offrire a centinaia di passeggeri, al costo di duecentomila dollari per posto, l’eccezionale esperienza di osservare la Terra da un’altezza di oltre cento chilometri. Nell’incidente solo uno dei due piloti che erano ai comandi della navicella si è salvato. Mutatis mutandis è questo lo scenario che si trovava davanti chi nel XVI secolo intendeva intraprendere un viaggio dall’Europa all’Asia, un viaggio il cui coefficiente di difficoltà è paragonabile agli odierni tentativi di raggiungere lo spazio. Il successo dell’impresa marittima transcontinentale veniva considerato al tempo una tale incognita che alcune navi venivano perfino ribattezzate “la tomba” in ragione del numero di morti che — tra uomini di equipaggio e passeggeri — avvenivano su quelle imbarcazioni. Malattie, pirati, tribù indigene, tempeste, erano i maggiori ostacoli che questi pionieri del globetrotting dovevano superare nel tentativo di raggiungere i Paesi che si trovavano più a levante. Date queste premesse, è chiaro che possedere una condizione fisica eccellente era un fattore fondamentale: più si era giovani e in salute più alte erano le probabilità di farcela. Eppure fu proprio in quest’epoca, in cui l’aspettativa di vita non superava i quarant’anni, che il gesuita portoghese André Palmeiro partì per l’Asia alla veneranda età di quarantanove anni. Un’età a quel tempo già avanzata per intraprendere un viaggio di poche centinaia di chilometri da una città all’altra, figuriamoci l’attraversamento in nave di mezzo globo. La Belknap Press ha recentemente pubblicato, con il titolo The Visitor. André Palmeiro and the Jesuits in Asia (Cambridge, Massachusetts, pagine 528, euro 36), un’ottima e dettagliata biografia del poco conosciuto ma notevole gesuita André Palmeiro scritta da Liam Matthew Brockey. Ma chi era costui? Secondo Brockey un uomo mite, ottimo predicatore e un amministratore oculato. Fu, forse, proprio questa sua sobria personalità a farlo risultare il candidato ideale per la delicata missione in Asia di una delle congregazioni più giovani e attive a quei tempi, la Compagnia del Gesù. L’importante compito affidato a Palmeiro era quello di valutare lo stato morale spirituale e materiale della missione gesuitica in Oriente. In special modo doveva analizzare le recenti «innovazioni» — il cosiddetto accomodamento culturale — delle politiche gesuitiche in India e Cina. Alcune regioni dell’Asia rendevano necessarie le regolari visite di un Visitatore (ovvero una sorta di supervisore): la Compagnia del Gesù era una congregazione con un’organizzazione altamente centralizzata, il che voleva dire che tutte le decisioni importanti venivano prese a Roma e poi, da qui, dovevano essere trasmesse a tutte le altre località dove si trovavano a operare i gesuiti. Un’altra ragione che rendeva necessario l’invio di un Visitatore stava nella grande crescita della Compagnia negli ultimi anni del Cinquecento: dai pochi membri che formarono il nucleo iniziale della congregazione si passò, sul finire del secolo XVI, a oltre diecimila. Per prevenire il pericolo che l’espansione della Compagnia portasse a una perdita della sua identità originale era necessario che lo spirito codificato nella sua Costituzione, che risaliva a metà del secolo XVI, venisse conservato: ispezionare gli esercizi pastorali, agire come pacificatore nelle varie dispute tra le diverse fazioni, o perfino tra i diversi ordini missionari, era questa la missione affidata ad André Palmeiro. Per raggiungere questo obiettivo Palmeiro doveva intervistare i tanti membri della Compagnia e valutare, caso per caso, se le norme teologiche e rituali erano state rispettate. In alcune situazioni infatti queste norme venivano del tutto ignorate. Si legge, ad esempio, del caso di Roberto Nobili in India, le cui «tattiche missionarie» l’avevano convinto che il modo migliore di svolgere la sua missione era quello di assumere la “parte” di un asceta indigeno. Avendo saputo di queste pratiche poco ortodosse, Palmeiro attraversò l’India meridionale per ispezionare la missione di Nobili — un viaggio nel viaggio — facendo interessanti osservazioni sulle singolari convenzioni del luogo. All’interno della chiesa che Nobili aveva costruito nella città di Madurai (oggi capitale dello Stato del Tamil Nadu) venivano riservati degli spazi ai credenti a seconda delle caste indiane di appartenenza: i credenti delle caste più elevate si trovavano più vicini all’altare. Si scopre poi l’impressione che ebbe Palmeiro nel venire a conoscenza della semplice dieta di Nobili e l’altro suo compa- Gesuita e nobile giapponese (1600 circa) gno, il gesuita Antonio Vico, dieta composta da una piccola ciotola di riso con vegetali bolliti, dove l’unica concessione alla gola era un bicchiere di latte di mucca. Tra un’ispezione e l’altra nelle varie missioni asiatiche, Palmeiro risiedeva nella città di Macao da dove appunto supervisionava gli “affari” dei gesuiti di tutta l’Asia orientale, e fu da qui che prese una delle decisioni che si rivelarono più importanti ai fini della futura diffusione del Cristianesimo nelle poco esplorate regioni del sud-est asiatico. Decise, infatti, di creare la missione in Cambogia e Vietnam, allora semplicemente conosciuti come Regno di Cocincina, Champa, Tonchino. Questo obiettivo, però, poteva essere raggiunto solo prendendo una drastica e rischiosa decisione: trasferire ingenti risorse economiche, e molti uomini, da una missione che andava ormai indebolendosi, ovvero quella giapponese — per via della brutale repressione del regime Tokugawa — a una che invece sembrava promettere nuovi frutti. Palmeiro si ammalò gravemente durante la settimana santa del 1635, proprio mentre dal Giappone arrivavano altre scoraggianti notizie circa la probabile apostasia di un suo connazionale, quel Cristóvão Ferreira alla cui vicenda si sarebbero poi ispirate opere letterarie e cinematografiche di successo. Secondo Manuel Dias, colui che era destinato a succedere al Visitatore, André Palmeiro, morì «allo stesso modo in cui visse: come una persona che desiderò ardentemente la vita ultraterrena, in quella maniera che noi identifichiamo come la morte dei giusti». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 Messaggio natalizio del patriarca Twal Una promessa di pace per la Terra santa GERUSALEMME, 20. Il «successo» anche ecumenico del viaggio in Terra santa di Papa Francesco, gli echi del Sinodo per la famiglia, le nove ordinazioni sacerdotali e il decreto di canonizzazione per due religiose palestinesi: sono questi per il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, i principali eventi positivi registrati nel corso del 2014. Segni di speranza in un anno purtroppo ancora dolorosamente segnato dal sangue della guerra e delle rappresaglie, così come dalle sofferenze dei tanti profughi provenienti dalla Siria e dall’Iraq. Dodici mesi estremamente difficili, caratterizzati da un alternarsi di tragedie e speranze, in cui si rinnova la novità dell’annuncio cristiano: «La nascita di Gesù è una promessa di misericordia, di amore e di pace per innumerevoli persone che sono nella sofferenza e nella tribolazione, per coloro che vedono le loro vite spezzate e i loro sforzi ostacolati dalla lotta e dall’odio tumultuoso in questi giorni di tempesta». Nel suo messaggio natalizio, diffuso dai media del patriarcato, Twal definisce «un successo pastorale e ecumenico» il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra santa nel maggio scorso. E ricorda che da quella visita è scaturito l’incontro di preghiera nei Giardini vaticani con il presidente Abbas, l’expresidente Peres e il patriarca Bartolomeo. «Anche se non siamo stati in grado di vedere i frutti concreti — aggiunge il patriarca — ogni preghiera è valida e i frutti possono arrivare più tardi, come l’olivo piantato in quella occasione potrebbe dare molti frutti in futuro». La riflessione di Twal si sofferma poi sulle violenze e le tragedie che hanno segnato gli ultimi mesi, dalla guerra devastante a Gaza — «un bagno di sangue» — ai fatti di violenza o di vendetta contro uomini e donne innocenti, come l’uccisione di persone in preghiera in una sinagoga e gli attacchi contro le moschee. «In una stessa settimana — ricorda il patriarca nel suo messaggio — i capi cristiani della Terra santa hanno visitato la sinagoga Har Nof per condannare l’atto disumano perpetrato in quel luogo, e hanno visitato la moschea di Al Aqsa per chiedere il rispetto del vecchio Status quo». Tutto ciò mentre la città santa di Gerusalemme è bagnata da sangue e lacrime e la diffidenza mette a rischio la sua missione di «città della pace e della convivenza inter-religiosa». Il messaggio del patriarca chiama in causa anche le «responsabilità dei dirigenti politici — israeliani e palestinesi — nel trovare e facilitare una soluzione», senza dimenticare l’incapacità della comunità internazionale di «aiutare entrambe le parti ad aiutare se stesse». Riguardo alla violenza jihadista che sconvolge tutto il Medio oriente, il patriarca Twal mette in rilievo la «chiara condanna» dei fondamentalismi, espressa da «leader arabi e musulmani». Riferendosi poi al Sinodo per la famiglia, il patriarca sottolinea che l’assemblea dei vescovi «ha riaffermato l’unità e l’indissolubilità del matrimonio anche se restano passi da compiere nell’ambito della pastorale dei separati e dei risposati». Tuttavia, sempre sul tema della famiglia, Twal ha rimarcato che in Terra santa, il problema principale resta quello «della mancanza di documenti giuridici che consentono alle coppie di vivere insieme quando il matrimonio ha luogo tra un palestinese e un non palestinese. È difficile — ha spiegato — ottenere un visto o lo status di residente per il congiunto non palestinese». Da qui la richiesta del patriarca affinché il Governo ammorbidisca le restrizioni attualmente in vigore sul ricongiungimento familiare. I 593 casi di ricongiungimento accettati da Israele finora rappresentano, per Twal, «una tappa positiva ma non ancora sufficiente davanti all’immensità dei bisogni». Nel suo messaggio natalizio, il patriarca tocca anche il caso della Valle di Cremisan, area messa a rischio dal progetto del muro di separazione. «Ci auguriamo — scrive Twal — che la Corte suprema israeliana lasci i 300 ettari della Valle di Cremisan e i due monasteri salesiani dalla parte palestinese. Oggi siamo preoccupati, perché gli ultimi sviluppi della recente audizione propendono per un’altra parte. Temiamo che la Corte decida che le terre, appartenenti alle 58 famiglie cristiane palestinesi, siano separate da Beit Jala. Tale decisione andrebbe a danneggiare la nostra comunità». Infine, circa la prossima canonizzazione di due donne palestinesi Mariam Bawardi, fondatrice del Carmelo di Betlemme, e della beata Alphonsine Ghattas, co-fondatrice delle suore della Congregazione del Rosario, il patriarca afferma che ciò rappresenta «una fonte di speranza per un futuro di pace in Terra santa». domenica 21 dicembre 2014 I presuli pakistani chiedono celebrazioni sobrie Natale di preghiera e solidarietà con le vittime di Peshawar KARACHI, 20. Una preghiera per la pace in Pakistan. È quanto chiedono ai fedeli i vescovi cattolici a pochi giorni dal massacro di 141 bambini nella scuola di Peshawar. Il Natale — si legge in un messaggio dei presuli — sarà un’occasione per «rivolgere a Dio una speciale preghiera per le vittime di Peshawar, ma anche per i due coniugi cristiani Shahzad e Shama Masih, arsi vivi da una folla di musulmani in Punjab all’inizio di novembre». Nel giorno della nascita di Gesù Cristo, principe della pace — esortano i vescovi — «tutti i cristiani preghino in modo fervente per la pace in Pakistan. È dovere di ogni cristiano promuovere pace, riconciliazione, armonia, unità. I cristiani si uniscano a tutti i cittadini pakistani, di ogni religione, per sconfiggere la violenza e il terrorismo». Dai presu- li anche l’invito rivolto a tutte le comunità del Paese a «celebrare il Natale in modo sobrio, in segno di rispetto per il dolore delle famiglie e dell’intera nazione». In merito alla tragedia avvenuta nella scuola di Peshawar, i vescovi — come riferito dall’agenzia Fides — hanno chiesto non solo al Governo, ma anche ai partiti politici e ai leader religiosi di «restare uniti di fronte al tragico attacco» e hanno invitato le istituzioni a prendere adeguati provvedimenti per garantire sicurezza e protezione alle scuole in tutto il Paese. Una richiesta ribadita dall’arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pachistana, Joseph Coutts, attraverso un comunicato di Aiuto alla Chiesa che soffre: «I servizi di sicurezza devono necessariamente intensificare i controlli. Siamo di fron- Reazioni in Egitto Le intimidazioni ai cristiani danneggiano l’islam Negli auguri del custode Pizzaballa In una parrocchia siriana minacciata dagli estremisti La sete di giustizia e di verità del Medio oriente Festa della speranza anche se le campane non potranno suonare GERUSALEMME, 20. «Anche nel nostro Medio oriente assetato di giustizia e di dignità, di verità e di amore, Cristo si lascia trovare». È quanto sottolinea, nel messaggio augurale per il Natale 2014, il custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa, il quale invita non a guardare «all’attesa e alla ricerca errate degli Erode di oggi, ma a quella di cui sono ricchi i Magi». Infatti — questo è l’invito — «non guardiamo all’ingannevole scrutare dei segni dei dotti della Gerusalemme di ogni tempo, ma allo stupore che rende pronti e capaci di accoglienza i pastori di Betlemme. Non ascoltiamo le paure del mondo, ma il coro degli angeli che ci annunciano la salvezza». Il tradizionale messaggio prende spunto da un versetto evangelico: «Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo» (Luca, 3, 15). Il tema è dunque quello dell’attesa che alberga nel cuore di ogni persona. E in questa prospettiva, medita il padre custode, «la nostra vita di fede è una vita in attesa: sappiamo in cuor nostro che il messia nato a Betlemme è la risposta di Dio alla nostra attesa. Tuttavia sentiamo che, nonostante impegno e ideali, la nostra resta una debole fede, e siamo come chiusi in una gabbia a causa del peccato». Il compito è dunque quello di «lasciarci convertire dal tempo dell’attesa dando a esso i sogni e le fatiche, il coraggio e la serenità nella concretezza dei giorni. Perché sappiamo che il Cristo che nasce a Betlemme è la risposta di Dio. Solo lui può spegnere la nostra sete, il nostro bisogno di senso». Non solo, «di questa certezza dobbiamo ogni volta nutrire i nostri dubbi, risollevare le nostre stanchezze. Il tempo dell’attesa di cieli e terra nuovi è il tempo della nostra fede, anche quando siamo chiamati a sperare contro ogni speranza. Perché alla sete del nostro cuore sappiamo che corrisponde la fedeltà di D io». Nel messaggio c’è soprattutto l’invito a uno sguardo realistico sulla realtà, che nasce proprio dall’emergere della novità cristiana. «Non cambieremo le sorti del mondo. Non risolveremo i problemi di questi nostri popoli lacerati e divisi. Ma nessuno ci potrà impedire di amarli, di fare la giustizia nel nostro piccolo contesto. Nessuno può rubarci la dignità che ci è stata data. Nessuno può toglierci l’amore e la speranza che sono stati riversati nei nostri cuori e che non ci deludono mai». Se dunque la vita di fede è una «vita in attesa», come è eterna l’attesa presente nel cuore dell’uomo, «il tempo di Natale — sottolinea il padre custode — ci richiama, nella fedeltà gioiosa all’accoglienza del dono di Dio, a lasciare il nostro cuore aperto, spalancato, alla speranza, alla giustizia, all’amore. È questo che ci dice il Natale. Ogni anno. Anche quest’anno, nel turbine dei drammi che ci circondano, lasciamoci stupire. Lasciamoci ritrovare dal Dio-connoi, che ci attende sulla soglia del nostro cuore». BEIRUT, 20. «Possiamo celebrare messe e funzioni, ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l’albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci il 24 dicembre. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace». È quanto ha dichiarato all’agenzia Sir, il francescano Hanna Jallouf, siriano, 62 anni, parroco della chiesa di san Giuseppe, nel villaggio di Knayeh, nella valle dell’O ronte, te a persone accecate dall’odio e senza alcuna coscienza». Mercoledì scorso, come è noto, su iniziativa promossa dall’episcopato, le scuole cattoliche in tutto il Pakistan hanno osservato un minuto di silenzio e di raccoglimento durante la preghiera del mattino, ricordando le vittime dell’attacco dei talebani nella scuola di Peshawar. In un messaggio i vescovi hanno condannato con fermezza «la violenza brutale» e hanno espresso «piena solidarietà alle famiglie delle vittime». Nell’immediatezza della tragedia, la Human Rights Commission of Pakistan (Hrcp), la principale ong pakistana impegnata per la difesa dei diritti umani e diffusa capillarmente in tutto il Paese, sottolinea in una nota che il massacro di Peshawar «costituisce uno spartiacque nella storia del Pakistan e stabilisce in modo incontrovertibile che i talebani e il Pakistan sono inconciliabili. Quella di Peshawar è una tragedia nazionale che deve far aprire gli occhi a chiunque». Secondo la Hrcp, si tratta di «una tragedia nazionale di proporzioni immense, la peggiore della storia, soprattutto per l’obiettivo prescelto, i bambini. Niente giustifica un massacro così brutale contro i bambini», fa notare il testo. La tragedia dimostra ancora una volta che il Pakistan non conoscerà pace finché la follia talebana, in tutte le sue manifestazioni, non sarà sconfitta. Così come i vescovi, anche la ong ha chiesto al Governo federale di «proseguire questa battaglia, rendendola una priorità, a tutti i livelli e di punire quanti hanno ordinato il massacro dei bambini». vicino al confine con la Turchia (Siria settentrionale), dove i frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti da oltre 125 anni. Da tempo sotto il controllo delle forze integraliste islamiche, il villaggio, e i suoi dintorni, abitato da circa 800 fedeli, si appresta a vivere il Natale tra paura e speranza. «La guerra e la violenza — ha raccontato il religioso — hanno spinto molte persone, tra cui tanti nostri cristiani, a partire, a cercare rifugio altrove, anche per permettere ai propri figli di con- tinuare a studiare. Nelle scuole del villaggio, ormai, si insegna solo il Corano». Da quando la zona è in mano alle brigate islamiste vessazioni e soprusi ai danni della popolazione locale sono all’ordine del giorno. A farne le spese lo stesso parroco, sequestrato dai miliziani armati, lo scorso ottobre, insieme ad altri parrocchiani, e rilasciato dopo qualche giorno. Nonostante la gravità della situazione, la parrocchia di san Giuseppe è rimasta attiva anche se deve rinunciare a suonare le campane ed è tenuta a rispettare l’obbligo di coprire le statue e le immagini sacre esposte all’aperto. E il Natale imminente acuisce questa sofferenza senza impedire, però, alla piccola comunità cristiana di vivere la nascita di Gesù Cristo. «Da giorni — ha sottolineato il parroco — i nostri fedeli hanno cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel che si può, e rendere dignitosa la festa. La nostra messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Alla comunità dirò che Cristo è la pace e solo da Lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza per sostenere tanta sofferenze. Alla mia gente — ha concluso — dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà ancora il sole sorgere. La notte sta passando e una nuova alba è vicina». IL CAIRO, 20. Minacce che fanno paura, che non vanno sottovalutate, ma che, paradossalmente, «danno modo a tanti musulmani sinceri di uscire dal silenzio e di reagire»: il vescovo di Guizeh dei Copti, Antonios Aziz Mina, spiega all’agenzia Fides che anche quest’anno, alla vigilia delle feste natalizie, la rete internet diviene veicolo di attacchi e intimidazioni nei confronti delle comunità cristiane in Egitto. Ma «non ci facciamo intimidire e cerchiamo di vivere con serenità i giorni che ci separano dal Natale». Le correnti estremiste per anni hanno approfittato della passività e del silenzio. «Adesso — osserva monsignor Mina — si nota una resistenza diffusa. In tanti hanno preso coscienza che tali derive fanatiche fanno male a tutti, sia ai cristiani sia ai musulmani». In questi giorni siti islamisti richiamano i musulmani a esimersi da ogni forma di partecipazione, anche indiretta, alle feste cristiane, attaccando coloro che presentano gli auguri ai propri vicini in occasione del Natale. Per non parlare delle minacce di morte e delle istigazioni a organizzare attentati contro le chiese in occasione delle affollate celebrazioni liturgiche, con particolare riferimento alle comunità cristiane presenti nei governatorati di Al-Minya, Alessandria e Fayoum. La gravità delle minacce ha spinto autorevoli rappresentanti del mondo accademico islamico a scendere in campo per denunciare e condannare le intimidazioni contro i cristiani. È il caso di Amna Nosseir, già decana della facoltà di Studi islamici all’università di Al Azhar, che ha invitato cristiani e musulmani a proteggere insieme le chiese da qualsiasi possibile attacco, e di Fawzi Al Zafzaf, già presidente del Comitato permanente di Al Azhar per il dialogo con la Santa Sede, per il quale l’istigazione all’odio religioso proviene da «nemici della patria» che rinnegano il vero islam. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 21 dicembre 2014 pagina 7 Nomina episcopale in Messico La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Messico. La testimonianza di pace che, da gennaio, Letizia, Marcello e Carlo porteranno per le strade di Baghdad e l’accoglienza agli ultimi nelle tre nuove case appena aperte in Camerun, Nepal e Grecia. Ecco i due “regali di Natale” che la comunità Giovanni XXIII , fondata da don Oreste Benzi, ha presentato a Francesco sabato mattina, 20 dicembre, durante l’incontro nell’aula Paolo VI. Ma il vero, grande dono per il Papa è stato l’abbraccio di questo «popolo dei poveri e degli ultimi» che vede insieme emarginati, disabili, persone che hanno vissuto sulla loro pelle i drammi della prostituzione, del carcere, della droga. E stamani, davanti a Francesco, sono stati Joy, una ragazza nigeriana che è stata costretta a prostituirsi, e una famiglia rom «a dare voce alle tante storie di dolore che diventano speranza». Così Joy, senza giri di parole, ha raccontato di essere stata venduta dal padre e accompagnata, con l’inganno, nella periferia di Torino. Costretta da suoi aguzzini a vendere il suo corpo per strada, «dopo un anno e mezzo — dice — sono rimasta incinta e i miei sfruttatori voleva farmi abortire: mi sono opposta con tutta me stessa». Quella vita che stava per sbocciare, però, è diventata un’ulteriore arma di ricatto nelle mani di chi teneva Joy prigioniera. E quando la donna ha capito che rischiava di perderla, ha deciso di scappare chiedendo aiuto a Luca, un volontario della comunità Giovanni XXIII che già da tempo le proponeva di cambiare vita, andandola a trovare per strada e pregando con lei il rosario. «Oggi lavoro come assistente a una persona disabile — racconta — e ho una casa dove vivo con mia figlia». È stata, poi, particolarmente toccante anche la testimonianza di Daniele Dragutinovic, accompagnato dalla moglie Mira e dai figli Natasha, Walter, Marcela, Miriam e Vale- La Comunità Giovanni XXIII ha incontrato Papa Francesco L’abbraccio degli ultimi ria. Questa famiglia rom ha vissuto «in campi di periferia pieni di fango, in mezzo ai topi» e «ammassati in macchina in un parcheggio, senza servizi di nessun genere». Daniele non ha nascosto di essere pure finito in carcere, ammettendo di aver rubato «per dare da mangiare ai bambini mentre mia moglie leggeva la mano». Anche per loro, proprio come è accaduto a Joy, è stato l’incontro con un volontario della comunità Giovanni XXIII a segnare la svolta decisiva. Ora questa famiglia ha finalmente una casa nel Villaggio della gioia a Forlì. Sono due delle tantissime storie di speranza che fanno parte della storia della comunità. E in attesa dell’incontro con il Papa, sono state presentate altre testimonianze: ha preso la parola anche don Girolamo Flamigni, il confessore di don Benzi, che ne ha fatto rivivere la sua «fede semplice: era come un bambino pur essendo un mistico». Inoltre nell’aula erano presenti i cardinali Sgreccia e Ryłko, che ha poi celebrato la messa nella basilica vaticana. Con loro anche numerosi presuli e, tra questi, monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, che ha ricordato con emozione l’esempio di don Benzi. A raccogliere tutte queste storie «per presentarle in dono al Papa» è stato il responsabile generale della comunità, Giovanni Paolo Ramonda: «Siamo laici, coppie di sposi, ma anche sacerdoti diocesani e consacrati che vogliono rispondere alla chiamata alla santità». Il suo pensiero è andato anzitutto a don Benzi, il parroco dalla «tonaca lisa» della diocesi di Rimini, per il quale si è aperta di recente la causa di cano- In piazza San Pietro inaugurati il presepe, l’albero e la nuova illuminazione della basilica Simboli che uniscono Tre appuntamenti in uno: l’inaugurazione dell’albero e del presepe allestiti in piazza San Pietro e l’accensione della nuova illuminazione a led della cupola e della facciata della basilica vaticana. La cerimonia si è svolta venerdì pomeriggio, 19 dicembre, alla presenza del cardinale Giuseppe Bertello e del vescovo Fernando Vérgez Alzaga, rispettivamente presidente e segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Con loro, tra gli altri, anche l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, il presidente della Regione Calabria, Gerardo Mario Oliverio, il sindaco di Verona, Flavio Tosi, il presidente della provincia di Catanzaro, Vincenzo Bruno, il direttore di Calabra verde (l’azienda regionale per la forestazione e le politiche per la montagna), Paolo Furgiuele, e il presidente dell’Acea, Catia Tomasetti. All’inizio della cerimonia il cardinale Bertello ha ringraziato a nome del Papa le regioni Veneto e Calabria, che hanno donato rispettivamente presepe e albero, e le maestranze del Governatorato che hanno provveduto al loro allestimento. Da parte sua il vescovo Vérgez Alzaga ha sottolineato la particolarità di quest’anno, perché «unisce sim- Lutto nell’episcopato Monsignor Stephen Hector Y. Doueihi, vescovo emerito dell’eparchia di Saint Maron of Brooklyn dei Maroniti (Stati Uniti d’America), è morto lo scorso 17 dicembre, all’età di 87 anni. Il compianto presule era nato a Zghortha, nell’eparchia di Batrun dei Maroniti, il 25 giugno 1927 ed era stato ordinato sacerdote il 14 agosto 1955. L’11 novembre 1996 era stato nominato vescovo di Saint Maron of Brooklyn dei Maroniti e l’11 gennaio successivo aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Il 10 gennaio 2004 aveva rinunciato al governo pastorale dell’eparchia. I funerali saranno celebrati lunedì 22, nella cattedrale di Our Lady of Lebanon a Brooklyn. bolicamente a Roma tutta l’Italia, spaziando da nord a sud, dal Veneto alla Calabria, nel vero spirito del Natale» che è quello «dell’unione, della condivisione che non ci fa certo dimenticare le difficoltà e i problemi di ogni giorno, ma almeno ci fa sentire uniti, in comunione universale». Anche il vescovo di Verona ha messo l’accento sui legami tra il nord e il sud del Paese, mentre l’arcivescovo Bertolone ha evidenziato come i simboli del Natale siano segno di fraternità universale. Successivamente, il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica vaticana, ha acceso, attraverso un ipad, la nuova illuminazione della cupola e della facciata di San Pietro. Nel suo intervento il porporato, sottolineando in particolare il prezioso lavoro svolto dai tecnici dell’Acea, ha richiamato l’importanza della basilica vaticana e ha ricordato «la continuità della missione» affidata da Gesù a Pietro. I canti natalizi che hanno fatto da cornice all’inaugurazione sono stati eseguiti dalla banda musicale del Corpo della Gendarmeria vaticana e da musicisti provenienti dalle due regioni. Le luci dell’albero sono state accese al suono del canto popolare Calabrisella e il presepe sulle note di Adeste fideles. † A quanti conservano ancor vivi i doni della sua amicizia e della sua fede testimoniata nel mondo della cultura, i nipoti Adriano e Massimo con le loro famiglie ricordano ROMANA GUARNIERI nel 10o anniversario della morte. Una Santa Messa di suffragio sarà celebrata il 23 dicembre in Bologna, chiesa di Santa Maria della Misericordia, ore 19. nizzazione. Come pure è in corso la causa per Sandra Sabattini, morta ad appena ventitré anni, e già riconosciuta serva di Dio. «Proprio don Oreste — spiega Ramonda — ci ha condotti, fin dagli anni Sessanta, a chinarci sulle sofferenze dell’umanità, nelle periferie esistenziali, dicendo che ci sono tanti poveri che non verranno mai a cercarci e per questo dobbiamo andare a cercarli noi». A Ramonda piace definire la comunità «un’isola ecologica della Chiesa, dove arrivano tutti gli scarti che però ricuperiamo». E così ecco l’impegno accanto «ai poveri, ai tanti bimbi con handicap gravissimi che hanno trovato un papà e una mamma, ai tanti giovani schiavi della droga che sono rinati». «Nelle nostre case famiglie — afferma — si diventa padre e madre, fratello e sorella di quanti sono in condizioni disperate, di coloro a cui nessuno pensa e di cui nessuno effettivamente si innamora: i dimessi dal carcere e dagli ospedali psichiatrici, i profughi in fuga da guerre e carestie che ritrovano una famiglia e una comunità in cui sono riconosciuti come persone». E, ancora, «i tanti anziani che erano nelle case di riposo e oggi sono nostri familiari come le oltre settemila ragazze liberate dalla schiavitù della prostituzione che hanno finalmente figli, un lavoro, un sogno di vita da costruire». Senza dimenticare «i carcerati che hanno avuto modo di scontare una pena alternativa, vivendo e lavorando nelle cooperative sociali della comunità». Del resto, rimarca Ramonda, «non abbiamo fatto altro che rispondere al grido dei poveri aprendo le nostre famiglie, dando vita a case famiglia, comunità terapeutiche, case di accoglienza, poliambulatori gratuiti». In questo modo, aggiunge, «non lasciamo soffrire nessuno da solo perché, come dice il Papa, i poveri non possono aspettare e nessuno di noi ha le mani pulite di fronte ai poveri». Questo impegno sul campo è oggi vivo in 34 Paesi di tutti i continenti. «In questo itinerario — ricorda il responsabile generale della comunità — l’obiezione di coscienza all’opzione militare ci ha portato a essere sentinelle di riconciliazione in Palestina e Israele, in Colombia e in Albania». Resta, inoltre, prioritaria la battaglia «perché venga riconosciuto l’inestimabile dono della maternità», tanto che la comunità ha bussato alla porta dell’Onu e di chi ha in mano le leve del potere economico e finanziario. Ma, alla fine, Ramonda ha anche rivelato il segreto di questa grande missione, così come lo ha trasmesso don Benzi: «Per stare coi poveri bisognare stare col Signore e per questo per stare in piedi bisogna stare in ginocchio». José Guadalupe Torres Campos vescovo di Ciudad Juárez Nato il 19 gennaio 1960, ha studiato filosofia e teologia nel seminario di León. Ha ottenuto la licenza in storia della Chiesa presso la Pontificia università Gregoriana. Il 2 luglio 1984 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Ha svolto i seguenti incarichi pastorali: prefetto nel seminario minore di León, segretario particolare del vescovo, notaio del tribunale ecclesiastico, vicario parrocchiale, cancelliere della curia diocesana, parroco, vicario episcopale e vicario generale della diocesi di Irapueto, nella quale è stato incardinato nel 2004. Il 10 dicembre 2005 è stato eletto vescovo ausiliare di Quiza e ausiliare di Ciudad Juárez. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 febbraio 2006. Il 25 novembre 2008 è stato nominato primo vescovo della diocesi di Gómez Palacio. Diplomati al corso dello Studio rotale Sono cinque i candidati che quest’anno hanno conseguito il diploma di avvocato rotale nella sessione autunnale del corso dello Studio rotale. Si tratta di Elena Ariu, Paolo Carraro, Maria Pasqualina Grauso, Valeria Mina Anna Mastropierro e Jacques-Yves Pertin. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 21 dicembre 2014 Don Oreste Benzi ricordato dal Pontefice nell’udienza alla comunità fondata dal sacerdote romagnolo Schiavitù e liberazione La miseria più pericolosa è quella di chi ha la presunzione di poter fare a meno di Dio Sabato 20 dicembre Papa Francesco ha ricevuto in udienza l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, e dopo aver ascoltato alcune testimonianze che «parlano di schiavitù e di liberazione», ha sottolineato che certe esperienze «mettono in luce le tante forme di povertà da cui purtroppo è ferito il nostro mondo; e rivelano la miseria più pericolosa, causa di tutte le altre: la lontananza da Dio, la presunzione di poter fare a meno di lui». Cari fratelli e sorelle, vi accolgo con gioia e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza. Ringrazio il responsabile, Giovanni Paolo Ramonda, per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti; e grazie tante a voi che avete dato la vostra testimonianza. I vostri racconti parlano di schiavitù e di liberazione, parlano dell’egoismo di quanti pensano di costruirsi l’esistenza sfruttando gli altri e della generosità di coloro che aiutano il prossimo a risollevarsi dal degrado materiale e morale. Sono esperienze che mettono in luce le tante forme di povertà da cui purtroppo è ferito il nostro mondo; e rivelano la miseria più pericolosa, causa di tutte le altre: la lontananza da Dio, la presunzione di poter fare a meno di Lui. Questa è la miseria cieca di considerare scopo della propria esistenza la ricchezza materiale, la ricerca del potere e del piacere e di asservire la vita del prossimo al conseguimento di questi obiettivi. Sì, amici, è la presenza del Signore che segna la differenza tra la libertà del bene e la schiavitù del male, che può metterci in grado di compiere opere buone e di trarne una gioia intima, capace di irradiarsi anche su quelli che ci stanno vicino. La presenza del Signore allarga gli orizzonti, risana i pensieri e le emozioni, ci dà la forza necessaria per superare difficoltà e prove. Là dove c’è il Signore Gesù, c’è risurrezione, c’è vita, perché Lui è la risurrezione e la vita. La fede sposta davvero le montagne dell’indifferenza e dell’apatia, del disinteresse e dello sterile ripiegamento su se stessi. La fede apre la porta della carità facendoci desiderare di imitare Gesù, ci incita al bene, fornendoci il coraggio per agire sull’esempio del Buon Samaritano. Lo sapeva molto bene Don Oreste Benzi, il fondatore della vostra Associazione. Il suo amore per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli abbandonati, era radicato nell’amore a Gesù crocifisso, che si è fatto povero e ultimo per noi. La sua coraggiosa determinazione nel dare vita a tante iniziative di condivisione in diversi Paesi sgorgava dal fiducioso abbandono alla Provvidenza di Dio; scaturiva dalla fede in Cristo risorto, vivo e operante, capace di moltiplicare le poche forze e le risorse disponibili, come un tempo moltiplicò i pani e i pesci per sfamare le folle. Dalla missione di coinvolgere gli adolescenti e interessarli alla persona di Gesù, nacque nel servo di Dio Don Oreste Benzi l’idea di organizzare per loro un “incontro simpatico con Cristo”, vale a dire un incontro vitale e radicale con Lui come eroe e amico, mediante testimonianze di vita vissuta, che mostrassero in pienezza il messaggio cristiano, ma in modo gioioso e persino scherzoso. Nacque così la vostra comunità, oggi presente in 34 Paesi con le sue Casefamiglia, le cooperative sociali ed educative, le Case di preghiera, i servizi per accompagnare le maternità problematiche, e altre iniziative. La Provvidenza vi ha fatto crescere, provando la vitalità del carisma del Fondatore, il quale amava ripetere – come ha detto il Responsabile generale – che «per stare in piedi bisogna stare in ginocchio». Cari fratelli e sorelle, faccio mio l’invito che vi rivolse san Giovanni Paolo II a curare la vostra formazione spirituale e l’assidua frequenza ai Sacramenti e a fare, in particolare, dell’Eucaristia il cuore delle Case-famiglia e di ogni altra attività sociale ed educativa (cfr. Insegnamenti XXVII, 2, 2004, 632). È da un cuore colmo dell’amore di Dio che sgorga la carità per i fratelli e le sorelle. Vi chiedo per favore di pregare per me. Vi affido tutti alla Madonna, che vi conceda un Natale pieno di amore e di gioia, e di cuore vi benedico. Preghiamo la Madonna per ricevere la benedizione, tutti insieme: Ave o Maria, ... Il Papa per i detenuti di Rebibbia In segno di augurio per il Natale, Papa Francesco regalerà ai detenuti di Rebibbia il libretto Preghiere distribuito domenica scorsa in piazza San Pietro. A consegnare materialmente il suo dono sarà l’elemosiniere pontificio, l’arcivescovo Konrad Krajewski, che domenica 21 dicembre si recherà nel carcere romano, su incarico del Papa, per celebrare la messa con i reclusi, che attualmente sono 2500, di cui 2100 uomini e 350 donne, con 20 bambini di età non superiore ai 3 anni. Il 38 per cento di essi non sono italiani. Nel penitenziario operano 6 cappellani e 150 volontari.